Oggi è l’anniversario delle Fosse Ardeatine, sommesso e silenzioso. Nei giorni scorsi alcuni cialtroni di Casa Pound, tollerati e blanditi non solo in città guidate dalla destra, hanno menato selvaggiamente dei ragazzi che manifestavano. Un giovane omosessuale è stato oggetto di un’aggressione. Il fascismo è poliedrico. C’è quello che si declina con la repressione o l’isolamento delle rappresentanze sindacali, quello col maglione che arraffa i nostri soldi e scappa, sottraendoli ai servizi, all’istruzione, alla sanità. C’è quello che siccome la mafia non ha bisogno di ammazzare fisicamente, tanto ha occupato i centri vitali dell’economia e della società, si accontenta di qualche arresto illuminato dai riflettori perché nell’apparente armonia tra lecito e illecito tutto è permesso.
C’è il fascismo dello sfascismo: questo è un popolo indisciplinato, clientelare, immaturo e facile al servilismo, diamogli quello che si merita, un’autorità superiore in grado di mettere ordine. C’è quello “legalitario”: bisogna imporre nuove regole, mettere mano a quelle che ci sono, fare delle leggi magari ancora più rigide e complesse, così invece si applicare l’esistente e rendendo impossibile il rispetto del nuovo, si permette la salvifica trasgressione.
A nessuno sfugge che i governi neo-liberisti sconfinano nel fascismo. Assumono atteggiamenti autocratici e accentratori, ripudiano la concertazione, svuotano le rappresentanze, minano l’edificio dei diritti costituzionali, assumono il potere tramite acrobatiche scorciatoie irrispettose della prassi democratica, praticano l’ingiustizia sociale a favore di pochi e a danno di molti. La loro sospensione della democrazia viene legittimata da uno stato di crisi che imporrebbe misure di carattere e portata “marziale”. Solo che stanno dalla parte del sovrano e dell’esercito nemico e non sarebbe peregrino pensare a una resistenza. Democratica, ma resistenza.
I soldatini di piombo del mercato giustificano tutto in nome della necessità per ristabilirne l’egemonia: l’eclissi di garanzie e diritti, l’esclusione dal lavoro di giovani e meno giovani, uomini e donne, persuase all’abbandono del posto anche per l’obbligo di sostituirsi a uno stato sociale compromesso, l’alimentazione di conflitti che distruggono vincoli di solidarietà.
Ma un altro macabro successo risiede nell’aver stabilito in modo del tutto arbitrario e discrezionale gerarchie e graduatorie tra quanto è irrinunciabile, irrinviabile, prioritario e tutto quello che invece può venire dopo e solo a condizione resti qualche risorsa. In questo minuetto dei due tempi, quello che si potrà fare in seconda battuta riguarda noi, la cittadinanza, il popolo non più sovrano, i suoi bisogni, l’optional per non dire il superfluo che allora si può lasciare al parlamento che tanto sopravvive solo per sbrigare i lavori sporchi, cercare di dirimere contenziosi, sempre più dichiaratamente impotente e inadeguato.
Così è primario eseguire certi ordini “superiori” secchi e perentori, proseguire sulla strada già segnata, applicando “riforme” vergognose, superare i maestri di discrezionalità e interesse privato riproponendo leggi in materia giudiziaria o esautorando l’espressione popolare. Lo è manomettere il sistema pensionistico, istituzionalizzare la precarietà, creare una pratica iniqua di cedimento a interessi privati e padronali, esautorare lo Stato ma alimentare il più rapace sistema finanziario.
Invece è pacificamente secondario promuovere la crescita e l’occupazione, nutrire e valorizzare istruzione e cultura, ripristinare un clima favorevole alla tutela dei beni comuni, l’ambiente primo tra tutti. E secondario sembra anche attingere le risorse per farlo impegnando governo istituzioni collettività nel recupero di quanto è stato sottratto: la corruzione, il furto delle risorse pubbliche, sono un delitto se possibile ancora più grave in tempi di crisi economica e sociale.
Non dovrebbe sfuggire a una compagine di economisti come l’evasione che si intreccia alla corruzione abbia gli effetti di una gravissima violazione di tutti principi, non solo quelli morali, etici, giuridici e politici, ma anche quelli economici, in una relazione diretta tra corruzione e impoverimento. Lo scambio di favori agevola privati che operano nell´impresa, in quella delle costruzioni o industriale, commerciale o dei servizi. Come un baro, il corruttore trucca il gioco e si arricchisce con e a spese di tre cose: il denaro dei contribuenti, le leggi e le norme, i potenziali competitori. Prestando attenzione a questa terna (fatale in tutti casi di corruzione) si intuiscono gli effetti devastanti che la corruzione ha sull´economia di un paese. E siccome nel caso della corruzione il danno è sempre fatto a tutte e tre insieme le vittime (le finanze dello stato, le leggi, il mercato) risulta evidente che davvero la corruzione deturpa la società democratica impoverendo l´intera società. Impoverisce per l´ovvia ragione che si alimenta con i soldi che sono di tutti e che violando la trasparenza delle regole (per esempio quelle per l´attribuzione di appalti nelle Grandi opere o nei lavori pubblici ordinari) fa saltare il principio che presiede al contenimento dei costi: competenza su un piede di parità. La corruzione è un caso vero e proprio di attentato monopolistico all´economica di mercato.
Non è malizioso pensare che si nasconda un intento perverso nella trascuratezza rivelata nell’affrontare questo problema, che è, ripeto, è, affrontabile. Soprattutto se altrettanta negligenza si rivela nell’affrontare una riforma elettorale che ristabilisca il patto di fiducia tra cittadini e rappresentanti, ripristinando un circuito di vigilanza e controllo, ridando autorevolezza alla democrazia.
Inadeguatezza dei partiti e governo del presidente fanno di necessità vizio mettendo in secondo piano quello che conta: la democrazia, la tutela dei diritti, il lavoro, la cultura e l’istruzione, fondamentali per restituire valore alle produzioni industriali, alle attività economiche e al paesaggio. Ed anche a quei temi che chiamano sensibili perché preferiscono non toccarli lasciandoci in una condizione di inciviltà e che riguardano le nostre esistenze, le nostre scelte, le nostre inclinazioni, la nostra aspettative di felicità. Espropriati di tutto, non vorrei dovessimo chiedere di noi stessi “se questo è un uomo”.