Non vorrei essere nei panni di Enrico Letta alle prese con la coperta troppo corta della governabilità, celata sotto le mentite spoglie delle larghe intese. Il neo premier ha ed avrà costantemente un bivio di fronte a sè: essere accondiscendente col Pdl e spaccare definitivamente il Pd o seguire il programma del Pd e alienarsi l’appoggio del Pdl.
A voler pensare male, si potrebbe dire che Napolitano abbia voluto dare, con l’incarico a Letta, il colpo di grazia definitivo al Pd. Dubito fortemente, infatti, che il governo possa nascere e operare senza dare garanzie a Berlusconi; nel qual caso, i democratici si spaccherebbero o comunque sarebbero destinati a un ulteriore progressivo calo di popolarità, con l’impossibilità d’invertire la tendenza. Il cavaliere è in una botte di ferro: è l’unico a potersi permettere il ritorno alle urne e sosterrà un governo solo se il suo operato sarà spendibile in chiave elettorale.
Rispetto a Bersani, Letta ha un miglior rapporto con Scelta Civica, dalla quale dovrebbe avere garantita la fiducia senza mercanteggiamenti. Ma per arrivare ad una maggioranza, siappure esigua, senza insostenibili condizionamenti del Pdl, dovrebbe ottenere la fiducia anche dalla Lega. Questa, al momento, mi pare l’unica ipotesi di governo sostenibile in grado di dare un minimo segnale di cambiamento e consentire al Pd di leccarsi le ferite e riorganizzarsi.
Un governo con ministeri strategici affidati al Pdl significherebbe un massacro per i democratici, per le isituzioni e per il tessuto sociale, con un presumibile costante sganciamento dei deputati giovani e dell’ala sinistra verso l’opposizione, ricreando, a stretto giro, nuovi ed insanabili problemi di maggioranza.