Caterina dice che aspetta ogni mercoledì a partire dal mercoledì sera. Che è il suo piccolo momento di piacere.
Io non mi faccio illusioni, però: dice tante cose.
Quando arrivo ha già messo al loro posto i pezzi sulla scacchiera e i cuscini, visto che giochiamo sul pavimento e ogni partita dura un’ora o più.
“Non tocca a me il nero” faccio, come ogni volta.
“Si invece” dice lei, accarezzando i suoi pedoni bianchi come se fossero un piccolo esercito del bene. In questi momenti diventa come una bambina. Il sorriso le si schiude come un bocciolo di rosa, i muscoli delle spalle si distendono, e le dita dei piedi si sciolgono tamburellando sul mio cuscino. - Com'è andata la settimana? - le chiedo. - Come al solito- risponde lei, corrucciando la fronte. Non mi siedo ancora. Dall'alto osservo i suoi capelli, una distesa di spighe di grano e grappoli d'uva maturi. Immagino quanto sarebbe dolce accarezzarli e mi mordo un labbro per frenare i pensieri. Muovo un passo, poi due, fino alla soglia della sua camera da letto. Il manoscritto – anche se forse è un po' eccessiva come definizione – è ancora lì, immacolato dalla settimana scorsa. Se lo toccassi, probabilmente il mio dito si intingerebbe di un filo di polvere. - Non hai più continuato? - le domando, mentre lei abbozza un sorriso e giocherella con i capelli. - Solo nella mia testa – risponde lei. - Dobbiamo parlarne per forza?- - Sei tu che hai cominciato a raccontarmene, la prima volta- replico io. Lei sorride ancora, stavolta in modo più malizioso. - Dai, siediti e iniziamo.- Solleva lo sguardo su di me e mi sento arrossire. - Al primo pedone che mi mangi ti racconto tutto.- Caterina è maledettamente brava a scacchi. Gliel'ha insegnato una vecchia zia di suo padre che non si è mai sposata, ma viveva in una cascina con sette fra cani e gatti, più alcune galline. Andava da lei in campagna ogni estate per almeno due settimane. Io non penso di avere tutto questo talento, credo anzi che di tanto in tanto lei mi faccia vincere per non offendermi. Conosco bene le regole, ma non mi entusiasma la metafora guerresca. Fosse per me, giocherei con una scacchiera di soli cavalli. Il movimento del cavallo mi fa pensare alla vita, e a quanto sia importante saper svoltare gli angoli, cambiare di colpo direzione e vedere cosa c'è dall'altra parte. I pezzi principali sono per tutti il re e la regina, perché possono muoversi in tutti i sensi, ma il loro percorso lineare a tutti i costi mi appare così limitante... Il cavallo invece è il solo che può sempre permettersi di guardare al di là e cercare un punto di svolta. Ed è proprio con uno dei cavalli che mangio il suo primo pedone (lei nel frattempo ne ha già mangiati tre dei miei, ma non ha importanza). - Forza, hai promesso – le dico schioccandole un tallone, ancora appoggiato a pochi centimetri dalle mie gambe. Lei sorride. - Un nuovo capitolo? A che punto siamo, ora? - le domando. Si lascia andare a una mezza risata. -Ho perso il conto. Comunque sì, è una nuova scena- riprende, mentre muove una torre verso il mio cavallo. Tutta una tattica per distrarmi, sa quanto mi interessano le sue idee. - Forza, sentiamo. L'ultima volta lei provava a suonare alla sua porta ma lui non l'ha fatta entrare.- - No, poi la fa entrare. Lei curiosa un po' in giro e trova delle foto, poi litigano e se ne va.- - Quali foto?- domando. Fa sempre così. Si racconta un pezzettino alla volta, così che mentre attendo di conoscere il seguito mi distraggo e perdo pezzi. Lei sa concentrarsi su entrambe le cose, giocare e raccontare, io invece no. Mi sa che è questo il suo “piccolo piacere”, altro che la mia compagnia. - Foto della figlia da bambina. In pratica lui aveva una figlia che poi è morta. Al suo funerale, mentre il prete parla, gli viene l'idea per un nuovo romanzo, una roba lacrimosa stile La scelta di Sophie. Poi si sente in colpa e da quel momento non scrive più.- -Un po' macabro, no?- Lei subito non risponde, come se stesse riflettendo. -Del resto ognuno ha un suo modo di esorcizzare il dolore- provo a giustificarmi. -Ecco, infatti. E lui che è scrittore lo esorcizza scrivendo, solo che poi pensa che non chiudersi in casa giorni interi a battersi il petto e strapparsi i capelli sia come mancarle di rispetto.- - Mi correggo: cinico, oltre che macabro. E poi che succede?- le domando mentre lei afferra orgogliosa il mio cavallo appena mangiato. - Loro litigano, o qualcosa del genere, poi lei sbatte la porta e se ne va. Lui allora si mette a scrivere una specie di lettera di scuse alla figlia, una cosa senza punteggiatura in stile Joyce, ma siccome non ha carta lo fa direttamente sul tavolo della cucina.- “E come lo scrive, con il sangue?” vorrei chiederle, ma so che la offenderei. -Interessante. Ma non ho capito perché litigano.- -Non ci ho ancora pensato. E poi scusa, tu litighi sempre per un motivo preciso?- Ecco, queste domande mi spiazzano, con quel tono da “persona che crede di sapere tutto”. Come se non conoscessi le sue vere fragilità. -In teoria si dovrebbe- le dico. -Non è una risposta- replica lei. Credo che abbia qualche problema con le litigate. Caterina di norma è una ragazza solare, piena di vita. Il suo lavoro magari non è quello che sognava, anche se la pagano bene, ma l'idea di pubblicare un giorno il suo romanzo – se mai lo finirà – è ciò che la tiene in qualche modo in piedi. Il problema è Luca, come sempre. -Come sta Luca?- le domando. La partita avanza, ma stasera ho poca voglia di giocare. -Bene- risponde, secca e sfuggente come ogni volta che si parla di lui. -E' ancora in trasferta?- chiedo ancora, sperando di (non) scorgere un velo di nostalgia nei suoi occhi. Che infatti non c'è. Ma neppure questo basta a far sì che si accorga di me.