Mi illudevo che sarebbe stato un venerdì di Pasqua come un altro. Che per me non fa troppa differenza perché ho sempre pensato che i cristi messi in croce muoiono ogni giorno e nessuno se li ricorda più. In questo eravamo un poco uguali: oltre che nella testardaggine si intende. Eravamo un poco uguali in questo nostro credere solo in quel che si tocca e nell’umore del vento. Quello che, ripensandoti, mi torna dolce alla memoria ed ha sapore di tanto tempo fa. Quando, bambina, mi piaceva farmi trovare sotto le roverelle giganti che separavano la nostra casa dalla tua dove sapevo saresti venuto prima o poi a raccontarmi le tue divertentissime storie. Che alcune ritengo le abbia confidate soltanto a me. Come quando mi parlavi di Samuele che avevi incontrato in gioventù, milioni di anni prima, di infiniti uomini e donne della Villanova del 1916, quando avevi soltanto 7 anni, e delle tue avventure nel Campidano. Che avevi uno sguardo bellissimo, un sorriso astuto di volpe, occhi azzurri splendenti. E furbi.
Pensavo che sarebbe stato un venerdì di Pasqua come un altro e poi, proprio adesso, scopro che te ne sei andato. Che a questo giorno ci avevo pure pensato. Capita. Quando si ha la tua età e la mia inclinazione a rimuginare troppo, mettere il carro davanti ai buoi per vedere l’effetto che fa. E – pensandoci – avevo pure concluso che in fondo noi due ci eravamo detti tutto, tutto ciò che dovevamo. Io sapevo quasi tutto di te e tu qualcosa di me. Quel poco che è davvero importante, come il fatto che in Irlanda piove per quasi tutto l’anno e il sole non scalda quasi mai. Che di un simile portento di interessavi a momenti prima di passare oltre, scrollando la testa e dubitando del “valore” di un mondo che non ti apparteneva e che entrambi avevamo poca voglia di raccontare. Snobbandolo un po’.
Che a mio avviso non eri uomo particolarmente saggio ma quel “valore” che attribuivi alle cose e agli altri era per te faccenda importante. Il metro naturalmente era il tuo e non lo si poteva accomodare a piacimento. Che, alla tua maniera con il prossimo tuo, non ti farò sconti neppure in questa occasione e preferirei raccontarti come sei stato. Come ti ho visto. Come ti ho amato. Come ti ho valutato. Che – diversamente da te - valutare gli altri non l’ho mai reputato compito mio, ma ognuno ha le sue idee e fare senza non è umanamente possibile. Ma, non credere sai, ogni istante che mi hai destinato, ogni parola che mi hai regalato, ogni sorriso che mi hai strappato, ogni storia che mi hai raccontato, ogni burla che mi hai dedicato sono tutte dentro di me. Che io non saprei essere senza. Che io non saprei vivere senza. E non lo vorrei.
Pensavo che sarebbe stato un venerdì di Pasqua come un altro, e invece in questa notte di fine marzo de su duamillaetreixi sono qui a tenerti idealmente compagnia. In questo passaggio obbligato, in questa tappa forzata. A piangere pure che non riesco mai a trattenere troppo le lacrime. Ma, stanne tranquillo, non piango né per te né per me, piango perché mi secca sempre quando finisce una cosa bella. Come quelle mille serate strane in cui ti piaceva sistemarti al centro del proscenio, avere l’attenzione tutta su di te e provare a stupirci raccontando storie strambe, burla mal riuscite e qualche rara verità ponderata quel tanto che basta per scoprirla quasi sempre fallace. Che ai piedi della montagna la verità non è mai stata un valore assoluto ma un altro capriccio di un tempo (almeno così ci piaceva credere) che ha sempre avuto troppa coscienza di sé.
Nie o bentu ci siada, seduti sotto le nostre roverelle giganti, la morte de tziu Angeliccu Cabras l’avresti giudicata storia degna di essere raccontata in altra maniera. “Tottuncui?” avresti detto brontolando quel tanto che bastava dopo avere letto queste mie righe. E nell’occasione non avrei saputo o potuto darti torto. Ma mi riservo di tornarci. Tottu sa vida.
Rina Brundu – Dedicato a zio Angelo Cabras (1 agosto 1909 – 29 marzo 2013).
Featured image, quadro con poesia dedicato a zio Angelo per il suo centesimo compleanno (2009) dal poeta in limba Gabriele Comida.
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