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In nome della legge ti nomino fratellino d’Italia (ovvero: Poropo poropo poropopopopo)

Creato il 08 novembre 2012 da Radicalelibero

In nome della legge ti nomino fratellino d’Italia (ovvero: Poropo poropo poropopopopo)208 si, 14 no, 2 astenuti. Mentre la Grecia brucia e il Portogallo geme, il Parlamento Italiano, corre l’anno del Signore 2012, vota, praticamente unanime, un ddl che prevede – udite udite – l’insegnamento dell’inno di Mameli nelle scuole. A parte i soliti pagliacci dal naso verde, i leghisti più CeSti (panieri buoni a raccattar €uritalici) che CeLti, ma dioliscampi che possano esser COlti e men che meno CAUti, insomma, tutti d’accordo. Montiani e pidiellini, ex comunisti e populisti, dipietrini scontenti e quelli contenti, la donzelletta che vien dalla campagna, il passero solitario (ovvero: no Viagra? Ahiahiahiahiahai!!!!) e quella che è arrivata al Palazzo Madama pur essendo molto poco Madama e molto più velina.

E allora sgrani gli occhi, poi li stropicci e li risgrani. Inizi a chiederti se la Repubblica (quella istituzionale, non l’organo di stampa di Confindustria), quella che dovresti star vivendo dal 1946, sia davvero tale o solo un’invenzione dei maledetti libri di storia bolscevichi. Oppure se sei tu che hai guardato male il calendario e, nell’anno 1946, ci sei ancora e la Costituente sta discutendo di una cosa che, già allora, sarebbe così futile.

Ti affidi alla rete come un appiglio. Diamine, allora se c’è internet, devi scartare l’ipotesi XX secolo. Dev’essere un’indigestione. Poi ricordi che la precarietà del mercato del lavoro, quella voluta dallo Stato Italiano e dal suo apparato, ti ha regalato il privilegio di essere sempre magro, perché mangi una volta al giorno (la sera) e per giunta di corsa per non far troppo tardi al lavoro la mattina dopo. Quindi concerti con te stesso che dev’essere un abbaglio, una svista. Una roba tipo pubblicità. Com’è quella frase che segue quel jingle? “Tutto il giorno fuori, sempre di corsa, e ora… non ci vedo più dalla fame”. Acchiappi un cioccolatino, rimasuglio di un vecchio dono di un amico gentile e provi a rileggere.

Ripeti: “Siamo nell’anno 2012, novembre, quasi 2013. Sono 20 anni che ci dicono di aprire le frontiere e di donarci alla globalizzazione dei mercati e all’Europa e al mondo. Hanno voluto essere così credibili nella storia dell’allargamento delle frontiere che hanno provato a tirare dentro – nell’Europa, ripetitelo – anche Israele, uno stato che con l’Europa c’entrerebbe come una coniglietta di play boy alla festa di comunione del figlio del campanaro di Toritto”. D’un fiato, con la convinzione che ti dà le certezze che non avevi, gasato dall’appartenenza spinelliana e con l’inno alla gioia che ti rimbomba in cuore apri tutti i siti certo che la realtà italiana non può essere vera, leggi Repubblica. Azzo, conferma. Leggi il Corriere: A ricazzo, come sopra. Leggi Pubblico: e ancora un altro yes, man, is as you read…

L’inno di Mameli? Nelle scuole? Nel 2012? Ti gratti in testa e pensi ai bambini, nelle classi grigie e polverose, senza insegnanti di sostegno perché non ci sono soldi, con il maestro unico perché non ci sono soldi, senza termosifoni perché le Province, per ripicca ai tagli, hanno deciso di non dare più soldi, che mandano giù storie di balilla e di elmi di scipio (che tu non hai mai voluto sapere chi fosse sto cazzo di scipio e godi a scriverlo in piccolo, con la minuscola). Appaiono scene che non vorresti. Quello che canta, tronfio, a sei anni, grembiulino blu e capello riga di lato. Quell’altro che l’accompagna con la gracchiante diamonica. Il più creativo che prova a piazzare un ‘dlin!’ di triangolo un po’ dove minchia gli pare, in preda all’erotomania Patria, nipotino delle romane gesta e degli eroi d’aria e di terra.

Immagini – e non riesci a contenere un risolino a trombetta – che, per l’occasione, il Miur darà il via ad un nuovo concorso per cattedra: Storia patria. Ovvero, come ti faccio sentire Italiano anche se l’Italia è davvero una gran fregatura. Requisiti: essere un uomo del Sud, leggermente invasato, amante delle partite della Nazionale, propenso alla mano sul cuore, preferibilmente con simpatie destrorse. Favorite le categorie protette: soggetti con braccio destro più lungo del sinistro.

“Ma sì certo!”, e sbatti alla fine una mano sulla fronte. Sono 10 anni che, ad ogni mondiale di calcio, l’inno di Mameli finisce in coda alla play list dei conterranei, senza un posto sugli I-pod. Ripercorri la storia dal 2006: prima furono i Pooh, poi Checco Zalone, addirittura i White Stripes… Il “Po-popopopopo” del gruppo rock che prese il posto dell’unica parte d’inno che tutti conoscono, da Napolitano a Camoranesi: “Poropo-poropo-poropopopopo”, quella senza parole. Eccolo l’obiettivo: formare classi di calciatori e di tifosi che sappiano cosa cantare ogni quattro anni!

Evviva Monti, l’amico degli ultimi. Adesso si che andare a scuola avrà un senso!



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