in ospedale

Da Leucosia

l’odore della platessa al vapore appena apro il sigillo della vaschetta di plastica mi riporta indietro di secoli. a quel giorno per la precisione in cui fui invitata a pranzo a casa di una collega universitaria e la madre aveva imbandito tavola con una ricca pezzogna al forno. io quel giorno non mangiai quasi nulla. ero in preda alla preoccupazione di rincasare tardi e in più dovevo fare la siringa di interferone. cioè ero come al solito nel panico. quanto mi è parsa lontana anni luce la persona che ero allora rispetto ad oggi ovviamente! così come mi sembra trascorso un secolo dall’ultimo post in cui festeggiavo su internet l’avvenuto finale della ricerca della casa! perchè da più o meno una decina di giorni il nostro mondo si è capovolto, abbiamo dovuto fare spazio al dolore e alle corse in ospedale, ai colloqui con i dottori che ora hanno in cura miomarito  (e che ancora non si sbilanciano come invece vorrei tanto). e poi alla speranza, a un minimo di speranza. quella non mi ha mai abbandonato nemmeno nell’ora più buia. ora che il peggio pare sia passato, ora che non lo vedo più attaccato all’ossigeno e finalmente gli hanno tolto quella fastidiosa flebo alla vena succlavia, e soprattutto lo vedo seduto sul letto e in pigiama, il mio cuore si rinfranca. e torno a casa più tranquilla.

ma ci sono stati giorni in cui ho toccato con mano l’inferno.

ho vissuto come un automa ho fatto quello che dovevo fare perchè dovevo essere presente a me stessa e a mio figlio. e a questo nostro futuro che mi sembra così sfuggente, come sabbia tra le dita,  mi fa tanto male pensare come anche scrivere. allora vivo il presente, cercando di trovare il coraggio di andare avanti nel sorriso di Chicco.