Chi l'ha trovata giura di aver pensato che stesse dormendo. E, in effetti, é stato difficile capire che fosse morta. É passata dal riposo degli uomini al sonno senza sogni. La morte dei giusti, mi hanno detto. Quella che ognuno si augura. Era stanca, dopo tante tribolazioni.
La malattia che l'ha colpita é stata solo l'ultima. L'aveva già sconfitta una volta. E in un certo senso lo ha fatto anche adesso. Andandosene per un cuore che non ha retto. Una vita difficile, tra dolori indicibili e interminabili prove da superare. Su tutte, l'aver seppellito una figlia. Un atto quasi contro natura.
Eppure una vita piena, appagante, sazia anche di gioie. Magari piccole, ma speciali perché speciale era il modo in cui le viveva. Non ha mai perso il sorriso. Quel sorriso caldo, accogliente, rassicurante. Un po' sbilenco per la parte destra della bocca che si sollevava prima e un po' di più della sinistra. Enigmatico e affascinante, come per la Gioconda. Potevi leggerci il mistero dell'universo e restare ancora a fissarlo, cercando altre risposte.
E non ha mai perso quello sguardo benevolo sul mondo. Il suo trovare una giustificazione ad ogni comportamento, ad ogni carattere, ad ogni gesto inappropriato. La sua forza era la sopportazione. La sua arma, la tolleranza. È difficile vincere contro una simile potenza. Non si poteva far altro che cedere le armi e arrendersi alla sua serenità. E, a pensarci bene, non mi viene in mente nemmeno una persona alla quale potesse stare antipatica.
Abbiamo parlato di viaggi, il giorno prima, durante la terapia. Voleva vedere Istanbul, vivere la magia delle due culture sospese sul Bosforo, ad incrociarsi, sfiorarsi, senza mai toccarsi veramente. Una città di contraddizioni, come era la sua vita. Mi mancherà quel suo essere madre e bambina, dispensatrice di cura e amore materno e mendicante di protezione e comprensione. E compagnia. Quella che troppe volte le ho negato inseguendo un lavoro, un amore, un ozio senza senso. E non potrò rimediare. Mai più. Accarezzando il suo ricordo ancora fresco. Troppo, persino per piangere. La chiamano incredulità.
Io penso che non se ne sia mai andata davvero. La sento dentro. E penso che sia lei a bloccarmi le lacrime. A fermare sul nascere qualsiasi senso di colpa. A regalarmi una serenità inquietante, perché innaturale. Continuo a ripetermi che il tempo mi regalerà il lutto e il conforto di buttare fuori quello che ora è in fondo all'abisso. Ma è un pensiero razionale. Per il momento lei è ancora con me. Dentro, nel profondo, ma con delicatezza. Il suo sorriso accogliente, in punta di piedi. Nella mente, nel cuore, nell'anima. Per sempre.
Ciao mamma.Articolo originale di Federica Rossi per Poco sex e niente city. Non è consentito ripubblicare, anche solo in parte, questo articolo senza il consenso dell’autrice.
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