In ricordo di Pier Mario Vello

Da Mauro54

Tutti gli elementi della metafisica spaziale buzzatiana, della dialettica tra finito e infinito, tra stasi e cammino, tra limite e illimitato, tra misura e immisurabile sono già contenuti nel testo di apertura dei "Sessanta racconti", dal titolo I sette messaggeri. La curiosità che spinge ad assumere sfide non perfettamente misurabili e il fascino della frontiera sconosciuta è prepotente in questo racconto, pubblicato nel 1958. E sebbene il presente saggio avesse l'intenzione di descrivere la dialettica tra il Buzzati milanese e quello bellunese, nel suo andirivieni di migrante tra città e monti, qui dobbiamo prendere un'altra strada, dopo un'approfondita lettura dei Racconti. In Buzzati, figlio dell'aristocrazia bellunese trasferitasi a Milano e vissuto nell'ambiente borghese e colto della grande città, non troveremo mai i contrasti, i travagli, le sofferenze e le fratture dolorose dell'emigrante. La frattura, la frontiera e l'illimitato lontano non sorgono mai come elementi di vita storicamente vissuta di un emigrante, ma sono delle vere e proprie categorie fenomenologiche, storiche sì, ma che appartengono all'essere dell'intera umanità. Non è tanto, perciò, l'andirivieni tra Milano e Belluno, dove del resto Buzzati fa il turista colto e benestante, ma sono i viaggi da esploratore e da cronista, da inviato speciale nelle diversità irrisolte del mondo a fornire la materia prima a Buzzati.

I sette messaggeri è il racconto del viaggio di esplorazione compiuto dal secondogenito del Re per sondare e conoscere i confini del regno del padre. Porta con sé sette messaggeri e al termine di ogni giornata di cammino ne invia uno al padre con le notizie del viaggio. Ciascun messaggero, raggiunta la reggia del padre, ritorna con le notizie del re ormai lontano. I messaggeri sono appellati con nomi in ordine alfabetico: Alessandro, Bartolomeo, Caio, Domenico, Ettore, Federico, Gregorio. Poiché il viaggio procede incessantemente, le distanze variano e aumentano di giorno in giorno. Così, come aumentano le distanze che i messaggeri devono compiere per mantenere i contatti tra l'esploratore e la reggia. A dismisura.

La parola "dis-misura" descrive bene il significato di questo testo, che paradossalmente è quello tra i Sessantaracconti che maggiormente contiene l'iperbole e la maniacalità della misurazione ossessiva. La dismisura, l'affievolirsi della ragione e l'impatto con l'infinito innumerabile emergono attraverso un puntuale calcolo di misurazioni precise e di ragionevoli calcoli. La trama stessa di un piano apparentemente razionale fa in realtà trasparire l'irrazionale sprofondarsi nell'illimitato inconoscibile e nel nulla. Le distanze misurate, i tempi prescritti, le ipotesi dei ritmi di andata e ritorno sono matematicamente calcolati, prima con la curiosità della scoperta osservativa del fenomeno, poi con la dolorosa consapevolezza di chi dal calcolo numerico inferisce previsioni esistenziali che lo riguardano da vicino. Man mano che passa il tempo, le notizie di ritorno diventano sempre più rare. Man mano che sono compiute nuove giornate di percorso, la frequenza con cui i messaggeri ritornano si fa sempre più bassa: "la voce della mia città diveniva in tal modo sempre più fioca".

La vertigine con cui tutto questo è descritto è la stessa del passaggio matematico all'infinito [...]


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