in Scena/ Umberto Scida: “Il pubblico giovane è conquistato dall’ Operetta”

Creato il 30 gennaio 2011 da Iltelevisionario

(di Alessandra Giorda) Si è appena concluso il Festival dell’Operetta di Torino tenutosi  dal 21 al 30 gennaio, presso lo storico e prestigioso teatro Alfieri. La Compagnia Italiana di Operette con Umberto Scida, Elena D’Angelo ed Armando Carini, ha riconfermato per l’ennesima volta di essere la prima Compagnia in Italia.

La D’Angelo, donna dalla bellezza statuaria e soprano di grandissimo valore ha incantato il pubblico. Un  curriculum di tutto riguardo. Debutta nel 1996 , nel ruolo di Susanna nelle Nozze di Figaro di W.A.Mozart, nel 2001 è Musetta ne La Bohéme e tra le sue innumerevoli interpretazioni  non si può non citare il concerto lirico in omaggio a Giacomo Puccini in tour per il Giappone.

Armando Carini si è distinto a Torino per una recitazione di grande valore, simpatia e talento straordinario. Anche per lui l’esperienza artistica è notevole. Debutta con la radio, lavora in televisione, lo ricordiamo in La Sciantosa con Anna Magnani,  I Fatti Vostri con Magalli, Meteore con Gene Gnocchi. Nel cinema al fianco di Claudia Cardinale e Sofia Loren. Nel 2000 vince la Targa d’Argento a Lanciano per l’attività svolta nella Compagnia d’Italia d’Operetta.

In tutti i nove appuntamenti si è registrato il pienone, con pullman che trasportavano intere comitive dalle città limitrofe alla capitale subalpina. Un pubblico attento, composto e preparatissimo, non solo di persone  avanti con l’età, ma anche di tanti giovani. Infatti è bene sfatare il luogo comune che l’Operetta sia solo per persone attempate. Molti giovani hanno partecipato al Festival torinese ed intervistandoli qua e là durante le pause tra il primo e secondo atto, all’unanimità i giudizi sono stati positivi. L’Operetta è cultura, divertimento, per molti maschietti anche un bel vedere, riferendosi alle gambe delle ballerine tra un can can ed passi di danza classica e quelle della D’Angelo messe particolarmente in mostra ne  La Principessa della Czarda. Il pubblico femminile ha apprezzato molto lo sfarzo dei costumi ed i fisici degli uomini del cast.

In quest’occasione cari lettori, vi propongo l’intervista fatta ad Umberto Scida, primo attore, che intraprende la carriera artistica dopo una profonda riflessione durata due mesi, a zonzo per un’isola greca, dove deciderà di stravolgere la sua vita lasciando un lavoro prestigioso dai guadagni elevati per un sogno.

Artista di grandissimo prestigio, scelto dal grande tenore parmense Luciano Pavarotti tra duemila persone, Umberto consolida e scala il grande panorama lirico e non solo. Dal Giappone al Sud America, passando per l’Europa riceve grandi favori di pubblico e critica. In quest’intervista si racconta pubblicamente ripercorrendo la carriera artistica e confida il travagliato lavoro di imparare a conoscere e capire se stesso scavando nel profondo di se.

D: Liceo classico, ingegneria ad passo dalla laurea, cambio totale di vita. Racconta.

R: Sono stato fulminato, la fobia per l’arte mi ha rapito. Da piccolo avevo la passione per il canto e la musica, che non ho mai approfondito. Avevo studiato pianoforte e fisarmonica con ottimi risultati. Non ho proseguito, perché studiare negli anni ’80, non era uno scherzo. Si parla di anni in cui le scuole superiore erano molto impegnative. Ho fatto tanti sacrifici quando ero al liceo. Lo studio richiedeva dedizione completa. Il mio obiettivo  era “fare” da grande l’architetto. Mi sono poi iscritto alla facoltà di ingegneria, perché dava prospettive di lavoro ottimali, amavo le materie scientifiche ed i risultati erano soddisfacenti. Dentro di me, però, stava covando qualcosa che è poi esploso. A cinque esami dalla laurea mi sono fermato perché avevo voglia di cantare. Varie vicissitudini mi hanno avvicinato all’Accademia Musicale, dove volevo solo prendere lezioni di canto. La direttrice, M° Shawana Farrell, mi ha convinto a frequentare tutta l’Accademia. Lei aveva già visto in me quello che io non riuscivo a vedere. Al termine dei tre anni, mi sono specializzato a Londra e  subito dopo in tournée in ruoli importanti come co-protagonista o protagonista. Dopo queste esperienze il Signor Colucci mi chiamò alla Compagnia Italiana delle Operette come primo attore.

D: Come hai conosciuto Luciano Pavarotti?

R: Venivano fatti dei provini per un musical, ideato da Luciano Pavarotti e Nicoletta Mantovani. Una collega mi telefona chiedendomi cosa portassi il giorno seguente all’audizione di Rent. Non sapevo nemmeno cosa fosse, me lo spiegò e mi disse che era a Roma; io ero a Bologna! Il mattino successivo presi il treno andai nella capitale e feci l’audizione. Era la prima di sette. C’erano duemila persone. Scrematura dopo scrematura fummo quattordici i prescelti da Pavarotti e dal regista americano. Il Maestro era una persona semplice, cordiale ed un mattacchione così come sono i grandi artisti. Loro sono intimiditi dalle grandi masse, perché devono mantenere una certa privacy. I fans tendono a fagocitare l’oggetto del desiderio. Mentre quando conosci i grandi “entrando”da un canale diverso, dopo un po’ non ti rendi conto di chi sono e ci parli come a qualunque altra persona.

D: Raccontami un aneddoto.

R: Mi ricordo che noi del cast andammo a trovare Pavarotti in una delle sue case a New York e gli chiedemmo di cantarci “qualcosa”. Rispose di no assolutamente, sembrava intimidito e che si vergognasse. Dopo numerose pressioni ha ceduto e ci ha cantato Un Core Ingrato. Noi tutti ci siamo commossi ed abbiamo pianto. Era un grande che andava al di là dell’umano. La sua interpretazione: sublime.

D: La tua avventura nipponica ha riscosso un successo strabiliante, cosa ti ricordi?

R: Tutto! Sono stato selezionato in Italia da una commissione governativa, perché era un Festival importante di canzoni famose di alcune culture nel Mondo. Rappresentavo l’Italia, poi c’era Francia, Portogallo, Brasile e Giappone. E’ stato stupendo lavorare in teatri con due o tre mila persone, un’organizzazione perfetta in il Paese del sol levante e’meraviglioso. Cantare per trenta giorni tutte le sere è stancante, ma quando tocchi certi livelli ti sembra di sognare.


D: Sviluppi la tua carriera anche nell’ambito della musica jazz e partecipi all’Alba Regia Jazz Festival in Ungheria, riscuotendo un successo enorme, raccontami.

R: Andai con una delle mie compagnie. Avevo appena fatto un concerto per la Levi Montalcini, fui invitato a partecipare,  non sono chi fece il mio nome. Non importa! E’ stata un’esperienza stupenda. Budapest è fantastica e l’esclusiva rassegna si è tenuta della bellissima città storica di Szekesfehervar. C’erano artisti prestigiosi provenienti da tutto il mondo. E’ stato uno scambio di culture. A me piace conoscere altri artisti, ad esempio dalla tournée in Giappone è nata una collaborazione con una cantante francese. Abbiamo fatto insieme concerti a Parigi. Il  bello di questo mestiere è che si impara tanto dai colleghi sia più bravi che meno bravi.

D: Nel 2006 rappresenti l’Italia alla prestigiosa Fiera Internazionale del Libro di Buenos Aires (quest’anno capitale mondiale del libro), portando la Canzone Italiana tra le Due Guerre. Come ti hanno accolto i “nostri” italiani?

R: L’iniziativa è stata ideata dal Ministero della Pubblica Istruzione. Lì ho conosciuto Ambasciatori e la Diplomazia Argentina. Così come quando sono stato in Uruguay. Il Sud America, ed in particolare l’Argentina, sono abitati da numerosissimi italiani che vorrebbero tornare in Italia, ma non lo possono fare per mancanza di denaro. Là la vita è durissima. Per ritornare in Patria si deve lavorare almeno quattro anni per accantonare il denaro necessario al viaggio. Anche i figli degli italiani nati in Argentina si sentono italiani. La mia commozione nel cantare nella bella Buenos Aires è stata notevole perché capivo che portavo un pezzo d’Italia, che colpivo una parte di cuore dei miei connazionali, poiché li vedevo piangere e da quelle lacrime sgorgavano tutti i sacrifici, le emozioni ed il vissuto di chi ha lasciato la propria terra in cercando un futuro lontano da casa.  Non dimenticherò mai il mio soggiorno in Sud America.

D: Oggi si conclude con granissimo successo il Festival dell’Operetta di Torino, quali sono le prossime tappe?

R: Al prestigioso Teatro Manzoni di Milano, poi Lugano, Udine ecc. Dalla Valle D’Aosta alla Sicilia copriamo tutte le regioni italiane. Abbiamo un pubblico che ci segue, che ci aspetta e che ci ama. Ci accorgiamo di tutto ciò quando entriamo in scena e la gente ci applaude. L’ansia da prestazione c’è sempre, ma quando sei sul palco e senti che la gente è lì per te, la paura svanisce e si impone il dovere di dare il meglio di te. Qui a Torino siamo stati benissimo e il Teatro Alfieri è storico, tutti i grandi artisti sono passati di qua.

D: L’Operetta è ancora considerata per over, ma molti sono i giovani che si stanno affacciando, cosa ne pensi?

R: Hai ragione. Il terreno è fertile, non c’è giovane che accompagnando i nonni, non rimanga conquistato. C’è tutto nell’Operetta, canto, recitazione, balletto, sentimento, passione, sfarzo nei costumi, ottime scenografie e risate. Ti assicuro che il pubblico giovane ne è conquistato.

Umberto Scida sul palco è spettacolare, oltre alle doti artistiche indiscusse, ha una notevole comunicativa dando origine ad un’ottima interazione artista-pubblico. In tutti e nove gli appuntamenti è riuscito a far cantare al pubblico i motivi più famosi di ogni operetta, insieme con il cast formidabile. Tutti sono stati eccellenti. All’Alfieri la gente era in visibilio, gli spettatori gridavano: “Sei bello, bravo, simpatico, torna presto, Torino ti aspetta”.

D: Chi sei nel privato?

R: Un ragazzo normale che ama viaggiare anche se lo faccio già per lavoro. Mi interessa molto la fotografia e la musica come ascoltatore. Sono tendenzialmente solitario anche se amo la compagnia. Ritengo che non si possa dare agli altri, se non si ha, se non si è costruito qualcosa per se stessi. Arrivi ad un momento della tua vita dove hai esaurito un po’ della tua interiorità, magari per una delusione amorosa , problemi in famiglia o con il lavoro. Come fai a stare con gli ed a dare e non hai più nulla? Devi stare solo, ricostruirti, rigenerare le batterie per potere dare senza pensare di avere qualcosa in cambio. Stare con gli amici è bello, se non diventi dipendente. Stai con loro per piacere non per necessità. Forse faccio questo lavoro dove tu artista dai alla gente. In ogni personaggio c’è un po’ di te stesso, c’è una veste che gli altri non conoscono. Recitare non è fingere, ma è estrapolare la tua parte giocherellona.

D: Cosa pensi della moda dei Monasteri, ossia della moltitudine di persone che si ritirano in questi luoghi per ritrovare se stessi?

R: Penso che quando uno sente il bisogno di andare in questi luoghi, debba farlo. Quando ho avuto la mia prima crisi ed ho abbandonato l’Università, i miei genitori mi hanno tagliato i viveri. Oggi con la maturità, li capisco ed hanno fatto bene. Facevo un lavoro molto ben retribuito ed importante. Durante le mie due settimane di ferie, mi sono recato in Grecia, era da tempo che volevo andarci, lì mi sono messo a nudo con me stesso dando origine ad una profonda introspezione e riflessione. Al termine delle vacanze mi sono licenziato via fax. Guadagnavo tanti soldi, ma la mio rientro al lavoro avrei avuto un incarico ancora più prestigioso guadagnando tantissimo, ma non potendo più dedicarmi al canto. Sono stato due mesi a zonzo per un’isola greca solo con me stesso. Ho pensato al dolore che questa mia decisione poteva portare ai miei genitori, ma la tempo stesso alla gioia se il mio sogno si fosse realizzato. Non avevo nulla di certo. Lasciavo il prestigioso lavoro all’Istituto Poligrafico Zecca dello Stato, per il nulla. Mi sono interrogato sul rapporto qualità di vita e denaro. E’ giusto ambire ad una buona posizione economica e sociale, ma bisogna capire il prezzo da pagare e fino a dove si è disposti. Che vita ti costruisci quando guadagni tanto, ma non sei soddisfatto? Quando sei alla continua rincorsa di qualcosa di più, ma non hai il tempo per gli affetti, non puoi goderti moglie e figli. Non sei soddisfatto. Non vivi, ma ti lasci trasportare dalla vita, magari domani muori e cosa hai goduto? O invecchi e vivi di rimpianti accorgendoti di avere vissuto una vita che non era la tua. Che non hai vissuto, ma ti sei lasciato vivere. Molte volte bastano anche due giorni o una settimana per ritrovare se stessi, per riflettere sul senso di quello che stiamo facendo o che realmente vogliamo. Dalla mia esperienza invito chi ne sente il bisogno a farlo.



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