David Cameron a Downing street, a Londra, il 19 settembre 2014. (Suzanne Plunkett, Reuters/Contrasto)
La Scozia ha votato no all’indipendenza. I risultati definitivi confermano che il no ha raccolto il 55,3 per cento dei voti, il sì il 44,7 per cento. Anche il primo ministro scozzese Alex Salmond ha ammesso la sconfitta dei separatisti. Cosa succederà adesso?
Per il momento l’unica cosa sicura è che la Scozia continuerà a far parte del Regno Unito. Ma per quanto riguarda la devolution scozzese la partita resta aperta, scrive la Bbc. Ora bisognerà capire se il Regno Unito rispetterà la promessa di dare più poteri al parlamento di Edimburgo.
Più poteri. I tre principali partiti britannici – conservatori, laburisti e liberal democratici – sono d’accordo sul dare più poteri al parlamento scozzese e durante la campagna elettorale hanno firmato un documento congiunto.
Il premier David Cameron, poche ore dopo la pubblicazione dei risultati, ha confermato l’intenzione di dare più poteri alla Scozia dal punto di vista fiscale, finanziario e della previdenza sociale. Il nuovo progetto, chiamato “Scotland Act”, sarà concordato entro novembre. Il progetto di legge dovrebbe essere pronto il 25 gennaio, quando sarà votato dalla camera dei comuni. Comunque, visto che a maggio 2015 ci saranno le elezioni nel Regno Unito, la legge dovrà aspettare il nuovo parlamento britannico per essere approvata definitivamente. David Cameron ha detto che incaricherà Lord Smith of Kelvin, già responsabile dei giochi del Commonwealth in Scozia, di coordinare le riforme sulla devolution.
Attualmente i finanziamenti alla Scozia e alle altre istituzioni del Regno Unito vengono dati dal ministero del tesoro britannico e sono regolati da un meccanismo complesso, chiamato formula di Barnett. Tutti i partiti sono d’accordo sul non abolire questo meccanismo, ma in futuro probabilmente la Scozia incasserà più soldi e gestirà in modo più autonomo il fisco, i sussidi per la casa, i fondi per il lavoro e altre tasse, incluse le tasse sui passeggeri aerei e quelle sulle plusvalenze.
Alex Salmond, premier scozzese e leader dello Scottish national party, è il grande sconfitto di questo referendum. Ma in futuro cercherà di combattere per ottenere la “devo max”, cioè la piena autonomia fiscale della Scozia. Il parlamento di Edimburgo in questo caso incasserebbe tutte le imposte riscosse sul suo territorio e sarebbe responsabile della maggior parte della spesa, ma restituirebbe al governo britannico i soldi per coprire alcune spese, per esempio quelle sulla difesa e le relazioni con l’estero.
Una questione aperta. Resta da sciogliere il nodo sulla cosiddetta West Lothian question. L’espressione West Lothian question nel Regno Unito si riferisce al dibattito sul fatto che i membri del parlamento di Westminster eletti nei collegi al di fuori dell’Inghilterra – Irlanda del Nord, Scozia e Galles – possano (come attualmente fanno) o non possano votare su questioni che riguardano solo l’Inghilterra.
William Hague, uno dei leader del partito conservatore britannico, ha già preso posizione sulla questione. Hague ha detto: “Se prosegue la devolution della Scozia diventa inconcepibile per i parlamentari scozzesi continuare a votare su leggi che riguardano solo l’Inghilterra”.
Un recente sondaggio di YouGov ha stabilito che il 62 per cento degli inglesi pensa che il Regno Unito dovrebbe vietare agli scozzesi di votare sulle leggi che riguardano solo l’Inghilterra. Intanto è molto probabile che, nei prossimi giorni, molte voci si leveranno anche dal Galles e dall’Irlanda del nord per chiedere di dare più poteri ai parlamenti locali.
Fonte: Internazionale
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