In su Continente

Creato il 14 luglio 2014 da Diletti Riletti @DilettieRiletti

Quando aveva deciso di trasferirsi l’unica a non avere accolto bene la notizia fu la nonna, “itta deppisi fai in su Continente, no sesi cuntenta innoi?” le aveva detto aggrottando le sopracciglia ancora straordinariamente nere. Simona le aveva sorriso e l’aveva abbracciata, senza dire niente con un piede immaginario già sulla nave. L’aveva desiderato così tanto che quasi non le parve vero cercarsi un appartamento, costruirsi la sua di isola invece che portarsela addosso, come un marchio. Lei era bella, aveva capelli corvini e occhi grandi e, soprattutto, era sarda. Non c’è nulla che identifichi qualcuno che per uscire dalla propria regione non possa utilizzare un’auto quanto il suo luogo d’origine. Puoi essere buono, cattivo, bello, brutto o sardo. E questo le stava stretto da morire.

Scelse Roma per l’università: se lasci l’isola vuoi la capitale. I corsi iniziavano a settembre e quindi, già da luglio, l’estate romana parve accoglierla sonnolenta nella sua ricerca d’un posto, nel mondo. Quello che le parve subito evidente fu che le sarebbe mancata la condizione del mare, ché il mare non è un posto ma una possibilità. Quando tu, che vieni da un paese che dista quindici minuti dall’acqua verde e azzurra, ti trasferisci dove il cemento ha assecondato un fiume ti ritrovi spaesata, non ti manca l’odore, né la salsedine o la sabbia che ti danno fastidio come a tutti, ma l’idea. E oggi forse vado in spiaggia, una di quelle mie preferite, e non mi bagno neanche i piedi, lascio che il mare senza toccarmi mi entri sotto la pelle e l’acqua negli occhi miei neri, ecco questo non succede lì dove il Tevere marrone scorre malinconico o furioso da principe uterino quale è. Ma il desiderio di essere una che è bella, brutta, cattiva, buona urla, e dice che c’è sempre Ostia, qualche autobus più in là. L’appartamento che ha scelto Simona non è grande, anzi le sta strettissimo, ma non vuole condividerlo, vuole essere sola in questa sua nuova vita per potere abbracciare poi la città, e un coinquilino lei lo sa le farebbe venir voglia di crearsi una nuova isola in casa, e non può, deve uscire per potere accogliere il mondo tutto, per non essere più un’isolana deve costruirsi un posto dal quale avere bisogno d’andare via. Il contratto dice 4 più 4 così che possa decidere che la sua più che una permanenza sia l’inizio di una lunga relazione, un amore lungo di affittuaria che superi il tempo di una laurea. Fa in modo che le pareti le assomiglino, le tinteggia da sola con troppe passate di vernice, che dove non riesce l’impegno profuso senza esperienza riesce l’abbondanza, e le pennellate spariscono sotto un’altra mano di vernice. Rosso e blu, giallo e cremisi quasi senza criterio che una ragione invece ce l’hanno. Quando ti stai costruendo devi fare i conti con i pezzi che ti compongono e anche se lo desideri quelli non sono monocolore, e vorresti essere piatta e facile e sei complessa e spesso stoni. Come stona quel giallo delle pareti della cucina con i mobili stile anni ’60 lasciati lì dal padrone di casa per lei, e i bicchieri della nutella la fanno sentire a casa più di quanto riesca a fare lei stessa. E allora riempie ogni posto, ogni buco, dell’anima, con i libri, montagne di libri che legge, che tocca, che usa per arredarsi. Quando tutto è pronto, o quanto meno sufficiente, e quando rimanda l’acquisto di una rete che non la fccia sentire al risveglio come un burattino di legno, la casa non vuole farsi chiamare casa. Si sente estranea anche se l’appartamento le assomiglia più di qualsiasi altro posto in cui abbia vissuto prima. Esce, conosce persone, le invita a pranzo e a cena, e Roma è così piena di non romani che ad un tratto si rende conto di fare parte di una grande famiglia di fuori sede, di altri che hanno deciso di scegliere la capitale e il Tevere al posto dei vicoli senza sole di Napoli, della pioggia di Pavia, delle strade polverose della Puglia. Il suo appartamento è una babele di dialetti che si mescolano dando origine a una lingua nuova. Ma poi le manca qualcosa quando tutti se ne vanno, e non si tratta di una compagnia, ma di un’idea, una possibilità. Cominciano i corsi e gli esami, ma la casa è sempre piena, giorno e notte, e le sue mani sempre vuote, e non ha nessuno di cui occuparsi, preoccuparasi, solo di se stessa: troppo difficile decidere di provvedere solo a sé senza sentire di essere un’isolana lontana da casa. Il telefono che suona con all’altro capo qualcuno che la ama e le chiede hai mangiato? non riempie il vuoto. Vorrebbe solo accarezzare il viso della madre, ogni tanto, come non ha fatto mai a casa, eppure adesso i palmi vuoti di cose dolci, pieni solo di azioni e non di sentimenti quasi le bruciano.


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