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In Territorio Nemico, il Romanzo a 230 Mani e 115 Teste – Intervista a Vanni Santoni

Da Arturo Robertazzi - @artnite @ArtNite

In Territorio Nemico, il Romanzo a 230 Mani e 115 Teste – Intervista a Vanni Santoni

Ho “conosciuto” Vanni Santoni ormai diversi anni fa su MySpace. Stavo concludendo una delle ultime versioni di Zagreb ed ero in cerca di scrittori con cui interagire. E in rete ho trovato Vanni Santoni con i suoi Personaggi Precari. Negli anni, Vanni Santoni ha pubblicato diversi romanzi e ha messo su, insieme a Gregorio Magini, il gruppo di scrittura collettiva SIC (Scrittura Industriale Collettiva). Scopo ambizioso: scrivere un romanzo a 230 mani. Dopo tanto lavoro, studio e sperimentazione, il romanzo è stato pubblicato da Minimum Fax. Si intitotala In Territorio Nemico.

In Territorio Nemico, il Romanzo a 230 Mani e 115 Teste – Intervista a Vanni Santoni

Vanni, andiamo subito al dunque: cos’è In territorio nemico?
In territorio nemico è un romanzo storico-avventuroso appena uscito per minimum fax; ambientato in Italia negli anni dell’occupazione tedesca, ruota intorno alle vicende di tre giovani che la guerra costringerà a fare scelte radicali e si svolge su quasi tutto il territorio italiano, nell’arco di tempo che va dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945. È stato scritto da 115 persone utilizzando il metodo SIC, il che ne fa il romanzo con più autori al mondo.

Quindi la particolarità di In territorio nemico è che il suo autore si chiama SIC – Scrittura Industriale Collettiva, un autore con 230 mani e 115 teste. Un autore che ha utilizzato un metodo di scrittura collettiva ideato da Vanni Santoni e Gregorio Magini. Cos’è il metodo SIC e come funziona? 
Si tratta di un “metodo di scrittura collettiva per gruppi e masse” elaborato analizzando le principali pratiche di scrittura collettiva – la “staffetta” (in cui ognuno scrive un pezzo) e il wiki (dove tutti agiscono su ogni parte) –, con l’obiettivo di superare i problemi di omogeneità della prima e il rischio di personalismi del secondo. 
La prima innovazione introdotta è stata la suddivisione in schede dei vari elementi narrativi: personaggi, luoghi, e così via, fino alle vicende. La seconda è stata la divisione dei ruoli: da un lato gli scrittori, dall’altro i compositori, che si occupano del montaggio ma non partecipano alla scrittura. 
Ogni scheda viene compilata in modo indipendente da tre o più scrittori; il compositore ritira le schede individuali e unisce le parti migliori di ciascuna fino a ottenere una scheda definitiva di qualità superiore. Poniamo che si trovi davanti le due seguenti schede individuali:

(a) Le donne, i cavallier, gli alfieri e i fanti

(b) Le gesta degli eroi, l’arme, gli amori

Il suo compito sarà creare:

(c) Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori

Una volta composta una scheda definitiva, prima di passare alla successiva essa viene resa in lettura agli scrittori perché la facciano propria, e posta in un archivio online dove rimane consultabile. 
Chiaramente questa è una spiegazione sintetica: per chi fosse interessato ad approfondire, rimandiamo al manuale SIC, scaricabile liberamente dal nostro sito.

Il metodo SIC avrebbe funzionato negli anni ’50, quando non esistevano i personal computer, la rete era solo fantascienza e coloro che avrebbero inventato i social network non erano nemmeno nati?
Abbiamo lavorato dal vivo in due occasioni e i racconti prodotti erano più che soddisfacenti. In un caso, oltre che senza Internet, abbiamo lavorato anche senza word processor, cosa che ovviamente rende il processo di composizione molto più faticoso ma non lo inficia. Il metodo della Scuola di Barbiana è del resto tra i nostri principali ispiratori e può essere per certi versi considerato una versione rudimentale del metodo SIC.

Immagino che abbiate cominciato con delle aspettative, dei sogni, quelli tipici di ogni scrittore, e abbiate incontrato tante difficoltà. Dopo anni di lavoro, il romanzo è però in uscita con minimum fax. Come giudichi il risultato finale? Avete realizzato le vostre aspettative?
Le difficoltà sono state enormi, dato che si navigava sempre a vista, sperimentando mentre procedevamo, e la portata del progetto era tale che nulla poteva essere preso sottogamba – dunque sì, siamo molto felici. Nonostante negli anni il progetto SIC avesse trovato importanti riscontri accademici e si fosse conquistato un seguito importante in rete, da parte del mondo editoriale percepivamo una certa diffidenza, presumibilmente perché veniva visto come l’ennesima stranezza nata su Internet. Solo dopo molto impegno anche promozionale – a romanzo finito abbiamo scritto svariati articoli in giro per dare visibilità al progetto e supportare così la proposizione del testo agli editori – sono arrivate alcune offerte; tra di esse, abbiamo trovato che minimum fax fosse la destinazione migliore (se non proprio, in senso assoluto, la destinazione perfetta, per la sua tradizione di indipendenza e per la qualità e raffinatezza del discorso portato avanti negli anni tanto nella narrativa quanto nella saggistica); e infatti quando ci è arrivata da Christian Raimo, primo a notare il romanzo e credere nel suo potenziale, la notizia che ci avrebbero fatto una proposta, siamo andati a sbronzarci nel primo locale aperto che abbiamo trovato.

Lavorando poi con la squadra di minimum fax abbiamo scoperto che la fama già ottima di questa casa editrice non arriva a rendere l’idea del lavoro eccelso che svolgono sul testo e sulle bozze, per non parlare del paratesto e del lavoro dell’ufficio stampa. Senza esagerare, lì dentro c’è un amore per i libri che è una lezione di vita. Una volta Giorgio Vasta mi disse che lavorare con minimum fax è un’esperienza anche di crescita emotiva – aveva ragione.

Sei un autore piuttosto prolifico, tra il 2007 e il 2012, hai pubblicato tre romanzi, una raccolta di racconti e un libro a quattro mani. Perché hai avuto l’esigenza di avviare un gruppo di scrittura collettiva?
Non così prolifico come sembra da tale descrizione: Personaggi precari, anche se può essere visto come romanzo, veniva dalla raccolta del lavoro già fatto sul blog, mentre Tutti i ragni è solo un racconto, o al massimo un romanzo brevissimo, non una raccolta. Inoltre, tanto i lavori di Gli interessi in comune quanto quelli di L’ascensione di Roberto Baggio erano cominciati già nel 2005.

Sull’esigenza di dar vita alla SIC: io e Magini ci siamo conosciuti tra le pagine di Mostro, una rivista letteraria autoprodotta. Pur essendo innanzi tutto scrittori “individuali”, tale esperienza, che includeva, oltre al dibattito sui testi, anche la realizzazione della rivista e la sua promozione, ci ha portati a intendere il lavoro letterario anche come esperienza socializzata, così quando Mostro chiuse i battenti sentimmo il bisogno di realizzare subito qualcos’altro che avesse tali caratteristiche, magari alzando il tiro nel farlo.

La sperimentazione, l’ho scritto diverse volte, è fondamentale per un artista come per uno scrittore. Ecco, mi incuriosisce il tuo di esperimento, ormai datato di qualche anno: i Personaggi Precari. Questa volta sono i personaggi, non gli autori, a essere un centinaio… Ci dici qualcosa di più?
Più che un centinaio: 579 nel libro del 2007; circa dodicimila la cifra totale, tra pubblicati e inediti. Personaggi precari è il mio primo progetto letterario, cominciato a fine 2004 e ancora molto seguito e amato, tanto che – anticipazione! – sto preparando una sorta di “edizione definitiva”. Mi sono convinto a farlo grazie alle insistenze di Raoul Bruni e Sergio Nelli, che non mancano mai, quando li incontro, di dirmi che a loro avviso “PP” sarebbe un testo decisivo che non può restare fuori dai cataloghi. Alla fine ci ho voluto credere e sto preparando un volume distillatissimo che superi quella vecchia edizione mettendo in campo meglio di tutto quello che ho prodotto tra il 2007 e oggi nell’ambito di tale progetto.

Personaggi precari nacque senza grandi obiettivi: avevo appena cominciato a scrivere e uno dei primi problemi che avevo incontrato era quello della continuità, della disciplina (ora, a distanza di quasi nove anni, ho il problema inverso, quello di rompere, almeno ogni tanto, la disciplina ferrea che mi sono imposto); serviva un pretesto per scrivere tutti i giorni, così aprii un account su Splinder, con l’idea di utilizzare la piattaforma per un progetto letterario, piuttosto che per un diario online. L’idea era provare a fare letteratura pensata per Internet, da cui la brevità. Cominciai a scrivere profili di personaggi, all’inizio in modo casuale, tanto che saltavo tra i generi, tra le epoche, tra gli stili… In un certo senso si può dire che questo mi abbia permesso di fare un corso accelerato, e autosomministrato, di scrittura.

Il blog continuò in quel modo per qualche mese, costruendosi una discreta base di lettori, il che fu estremamanete importante: quando uno è agli inizi, aiuta molto vedere che quello che si scrive ha un senso almeno per qualcuno.

La svolta arrivò nella mail di un professore universitario pugliese, che si complimentava e diceva che era contento che qualcuno avesse inquadrato il problema della “letteratura del precariato” come un fatto esistenziale, prima ancora che giuslavoristico, e sottolineando come a suo avviso l’avessi affrontato portando il precariato fin dentro le strutture narrative, piuttosto che limitandomi a descriverlo. Quella mail mi fece riflettere molto su cosa stesse diventando Personaggi precari, e il progetto iniziò a prendere una strada tematicamente e  stilisticamente più coerente, vicina a quello che è adesso. Tra il 2005 e il 2006 arrivarono la pubblicazione di una selezione su GAMMM (in questo senso si può dire che Gherardo Bortolotti sia il mio “scopritore”) e la vittoria del concorso Scrittomisto, con la conseguente uscita in libreria nel 2007. Ci sono state anche brevi incursioni dei “PP” nel mondo radiofonico, teatrale e del fumetto. Ulteriore incarnazione del progetto, dopo le sei selezioni (1. 2. 3. 4. 5. 6. – Nota: i titoli dei post sono di quel buontempone di Andrea Raos) pubblicate annualmente su Nazione Indiana, è stata la pubblicazione come rubrica quotidiana sul Corriere Fiorentino, dorso toscano del Corriere della Sera. E poi ovviamente Personaggi precari ha continuato ogni giorno sul blog, che nel frattempo si era spostato su WordPress.

Da qualche settimana si è riaccesa la discussione del ruolo dei blog in editoria, mai veramente assopita. Qual è secondo te il ruolo dei blog per gli scrittori?
Fondamentale, specie quando si è agli inizi, per la visibilità che possono dare a un esordiente. Personalmente trovo più interessante usare i blog individuali per progetti specifici che sfruttino specificamente la forma del medium, come ho fatto con Personaggi precari, appunto, o con 999 rooms, e quelli collettivi per saggi e recensioni. Dell’argomento ho parlato in una recente lettera scritta in occasione della festa di Nazione Indiana. Per chi poi volesse ampliare il discorso, e riflettere sull’influenza dei blog sul mercato editoriale, consiglio il libro di eFFe, che ne capisce più di tutti. [l'intervista a eFFe su Scrittore Computazionale]

Una mia ossessione degli ultimi tempi, insieme a quella della sperimentazione, è far parte di un network “reale” di scrittori, ma vivendo all’estero, ahimè, per me è difficile. Quindi ammiro e un po’ invidio Firenze, che mi pare una vivissima città-rete. Cosa si impara a frequentare altri scrittori?
Premesso che, se siamo arrivati al punto che uno che vive Berlino invidia un altro che vive a Firenze, o siamo nel Quattrocento oppure la realtà è impazzita, questa cosa di Firenze come crogiolo di fermenti letterari è recentissima: nasce da alcuni fatti – su tutti, una battaglia vinta e il successo di un evento, – che hanno portato un gruppo piuttosto vasto e aperto di scrittori, poeti e operatori culturali, molti dei quali giovani e giunti a un buon livello di maturazione e affermazione, a riconoscersi e cominciare a incontrarsi, specialmente in un certo posto, ma anche altrove, dando vita alla rete di cui parli e a progetti che si stanno concretizzando anche in libreria, penso all’antologia curata da Gabriele Merlini o a quella, di prossima uscita, curata da Raoul Bruni. C’erano i prodromi, certo, in realtà quali le riviste Mostro e Collettivomensa o il festival Ultra, ma fino a pochi anni fa la scena letteraria fiorentina era fatta per lo più di monadi mute. Sarà perché i libri degli altri mi interessano più dei miei, sarà che ho esordito in una rivista, ma per me fare rete tra autori è fondamentale e credo aiuto molto anche la crescita artistica di ciascuno.

Si dice che tu ti sia messo a scrivere una trilogia fantasy, ci racconti qualcosa di più?
Si dice bene, sto in effetti scrivendo un romanzo fantastico e altri seguiranno; il primo uscirà questo autunno per Mondadori. Sentivo l’esigenza di dire la mia anche in quel campo, dato che sono cresciuto sì con Tolstoj, Dostoevskij, Nabokov e Flaubert, ma anche con Gary Gygax, Kentaro Miura, John Milius e Richard Garriott, per non parlare di classici del fantastico come Borges, Tolkien, Calvino e Ariosto. Si tratta di un esperimento nuovo per me, che non rappresenta una svolta ma va ad affiancare la mia produzione più letteraria – sto in effetti scrivendo anche due romanzi non fantastici – sul quale ho detto un po’ di cose in questa intervista a Affari Italiani.

Di certo nella decisione di intraprendere la scrittura di un’avventura fantastica hanno pesato anche gli anni di lavoro su In territorio nemico, che mi hanno affinato molto riguardo il lavoro su scenario e intreccio, dopo tanti scritti letterari e comunque – anche quando movimentati come Gli interessi in comune – intimisti.



In Territorio Nemico, il Romanzo a 230 Mani e 115 Teste – Intervista a Vanni Santoni
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