In the flesh, sono tutti zombie col culo degli altri

Creato il 21 aprile 2013 da Cannibal Kid
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"Prima cosa quando esco, mi faccio una bella lampada."

In the Flesh (mini-serie UK, stagione composta da 3 episodi) Rete britannica: BBC Three Rete italiana: non ancora arrivata Creata da: Dominic Mitchell Cast: Luke Newberry, Harriet Cains, Steve Cooper, Marie Critchley, Steve Evets, David Walmsley, Emily Bevan, Kenneth Cranham, Ricky Tomlinson Genere: zombie sindrome da morte parziale Se ti piace guarda anche: Warm Bodies, True Blood, Black Mirror, Les Revenants

"Ecco, non era esattamente questo che intendevo con lampada..."

Pensate che gli zombie li abbiano inventati quelli di The Walking Dead? Eh no, abbelli. E non li hanno inventati nemmeno George A. Romero né tantomeno i Cranberries. Gli zombie sono una creatura uscita dalla mente geniale degli autori vari de La Sacra Bibbia, uno dei libri più venduti al mondo dopo 50 sfumature di grigio e le saghe di Twilight ed Harry Potter. Se Gesù Cristo può essere considerato il primo zombie della Storia, a livello televisivo a spalancare le braccia ai morti viventi sono invece stati gli inglesi. Un paio di anni prima del successo clamoroso (e in rete molto discusso) di The Walking Dead c’è stato Dead Set, mini-serie britannica che portava gli zombie dentro la casa del Grande Fratello. Farina del sacco di quella mente geniale che risponde al nome di Charlie Brooker, futuro autore anche di quella roba grossa che è Black Mirror. Non sapete chi è Charlie Brooker? Eccovelo qui. (grazie al commentatore anonimo che mi aveva segnalato questo video)

Un gruppo di adepti di Scientology
Un gruppo di parlamentari
Un gruppo di zombie

Gli inglesi tornano ad occuparsi ora di nuovo di zombie. Mi correggo: non sono zombie, non voglio offenderli. Sono persone affette da “sindrome da morte parziale”. La mini-serie in appena 3 episodi In the Flesh ci presenta un futuro distopico, proprio come quelli di Black Mirror, in cui l’umanità è sopravvissuta a un’Apocalisse zombie. Fino a qui, niente di nuovo. La novità è che si è trovata una cura alla zombite, pardon alla “sindrome da morte parziale”. I morti viventi che si sono sottoposti a un periodo di rehab e che prendono i loro medicinali possono quindi essere reintrodotti nella società e convivere con i vivi viventi. Non siamo troppo distanti dalle parti di True Blood, con gli zombie al posto dei vampiri e meno sesso. Questa volta gli inglesi appaiono più puritani e tranquilli rispetto ai colleghi americani. In the Flesh non punta infatti su copulamenti, violenza, splatter o scenone estreme. Punta più sulla delicatezza. Io mi aspettavo qualcosa che giocasse maggiormente sull’ironia, tra L’alba dei morti dementi e Misfits, e invece a parte qualche battutina la serie prende una piega seria. Dopo aver accusato inizialmente il colpo, perché a me fanno incazzare i prodotti UK che non mi regalano una sana dose di humour britannico, sono riuscito con il secondo episodio a entrare nella mentalità della serie.

La gnocchetta di In the Flesh.

Al centro di tutto vi è una delicata storia di contrastato amore gay. Proprio così. Quando si parla di zombie, non si parla mai in realtà degli zombie. Dead Set era un attacco ironico e feroce al sistema televisivo degli ultimi anni. The Walking Dead mostra la brutalità dell’uomo, mica dei morti viventi. In the Flesh è invece una tenera e non urlata storia d’amore tra un ragazzo, poi diventato zombie, e il suo migliore amico, partito a combattere in Afghanistan e poi tornato anch’egli zombie. Uh, sesso tra zombie dello stesso sesso! Raccontata così può sembrare una cosa estrema, che punta allo scandalo a tutti i costi e invece è tutto l’opposto. L’intera serie è costruita sul tema della diversità e gli zombie rappresentano l’assist ideale per affrontare l’argomento. L’altro argomento affrontato, e qui In the Flesh non è troppo distante dal capolavoro francese Les Revenants, è quello del ritorno inaspettato in vita di una persona cara. Chi si aspetta invece una serie horror, resterà assai deluso.

Pardon, ecco la gnocchetta di In the Flesh.

Bene il cast, in cui spiccano giovani volti new e interessanti come quello del protagonista Luke Newberry, la gnocchetta combattiva sorella dai capelli ginger Harriet Cains e la scoppiettante zombie piena di vita Emily Bevan. Tutto bene, quindi? Non proprio. I maledetti inglesi sono infatti noti per alcune cose: le grandi band musicali, James Bond, la famiglia reale e per la loro mania di fare serie tv troppo brevi. E tre episodi soli per una serie dagli spunti potenzialmente infiniti come In the Flesh sono davvero pochi, anche perché il primo episodio è giusto un’introduzione, con il secondo si entra nella serie e il terzo finisce che ne vorresti ancora, con la remota possibilità di assistere forse un giorno a una seconda stagione. Così non si fa, birboni inglesi, così non si fa. (voto 7-/10)

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