In Time, Fino all’Ultimo Secondo

Creato il 03 aprile 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Postato il aprile 3, 2012 | CINEMA | Autore: Vittoria Averni

Non c’è niente di peggio nella vita che avere i minuti contati. È quello che accade ai personaggi del film di Andrew Niccol “In Time”, thriller uscito in Italia lo scorso febbraio. Il regista mette in scena un futuro tutt’altro che roseo: a causa del crescente aumento della popolazione (dato per altro vero, la popolazione mondiale ha raggiunto quota sette miliardi il 31 ottobre 2011), il tempo viene usato come moneta. Ad ognuno viene concesso di vivere un quarto di secolo: dal compimento del venticinquesimo anno d’età si attiva un conto alla rovescia della durata di 365 giorni impresso sul braccio. Un periodo di tempo che può essere dilatato anche all’infinito: la differenza la fa il reddito di ognuno, così che solo i più benestanti possono vivere a lungo, anche centinaia d’anni. Uno scenario davvero agghiacciante se si considera, inoltre, che avendo “sconfitto” la vecchiaia, si resta fisicamente bloccati all’aspetto che si ha in quel momento. Si profila dunque una società dove non esistono rughe e capelli bianchi, che non muta mai. Un po’ quello che qualcuno cerca di ottenere con i numerosi lifting e botulini. Avere per sempre il corpo di un ventenne. Ma questo non ha certo reso la vita di Will Salas (Justin Timberlake) più facile. Venticinque anni da tre anni, lotta quotidianamente insieme alla madre (Olivia Wilde), con l’aspetto di una sorella, per poter arrivare a fine giornata, affannandosi e lavorando instancabilmente per racimolare ore, minuti da vivere.

Will salva una sera la vita ad un uomo ricco (di tempo) che stanco di vivere in un mondo che non cambia mai, dona a Will tutto quello che possiede sul suo orologio, più di un secolo. Tempo che gli permetterà di accedere alla Time Zone, l’area della città dove i ricchi vivono blindati nello sfarzo più ostentato, come una grande gabbia dorata. Perché tutto quello che hanno non lo vivono in pieno. Proprio come il loro tempo, come le loro giornate che scorrono con estrema lentezza, evitando qualunque cosa possa metterli a rischio. Sperando di poter continuare così la loro vita per sempre, a discapito dei meno abbienti, emarginati nei ghetti della città. E sarà proprio qui, nella Time Zone, che Will incontrerà Sylvia Weis (Amanda Seyfried), ereditiera figlia del magnate della finanza Weis, che lo seguirà nella sua titanica impresa di sovvertire le regole. Come un Robin Hood del futuro, Will ruba ai ricchi per dare ai poveri, per rendere il mondo più giusto e smettere di veder morire uomini ai lati delle strade solo perché pochi possano vivere per sempre. Un’idea, quella di Andrew Niccol, decisamente brillante: mettere in scena una società che ha dato al tempo il ruolo che noi diamo al denaro, motore delle nostre vite.

Le speculazioni, il costo della vita che aumenta sempre più inspiegabilmente, persino gli apparecchi elettronici con cui si paga, ricordano il nostro mondo sempre più monetarizzato, in cui sembra che per ogni cosa, anche lo stesso fluire delle nostre vite, sia necessario sborsare soldi. Eppure nonostante la genialità dell’idea, della comparazione con la nostra società, il film non esprime appieno la sua potenzialità, trascinandosi, dopo un convincente inizio, stancamente. E nonostante gli innumerevoli inseguimenti, la pellicola ha un ritmo eccessivamente lento, con dialoghi spesso molto costruiti, inverosimili e “poveri” di significato. Decisamente più avvincente la prima parte del film, più realistica e significativa. Ciò nonostante resta ammirevole l’idea di fondo, la volontà di far prendere coscienza della direzione imboccata dalla nostra società, immaginando un futuro neanche così lontano, come può apparire ad un primo sguardo. Un mondo plastificato pieno di bambole perfette (l’universo rosa della Mattel di Barbie e Ken) che posseggono tutto, compresa l’eterna giovinezza, ma non sanno che farsene. Perché affannarsi ad avere tutti gli oggetti “desiderabili” non rende sicuramente la vita più degna d’essere vissuta. Come una stanza riempita all’inverosimile di frivole cianfrusaglie in cui manca una finestra, in cui non vi sono luci e per quanto possano luccicare gli oggetti, il loro bagliore non potrà mai eguagliare la luce del sole.



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