La questione che però ai più è sfuggita, complice la superficialità o la voluta mendacità della stampa istituzionale, è che per un parco non si mette a ferro e fuoco un paese.
Gli eventi vanno dunque inquadrati in un più ampio contesto. Il Presidente turco, Tayyip Erdoğan ha da tempo iniziato a far sentire sul paese la pressione della fazione islamica da lui rappresentata. Una parte importante del paese lo segue per questa affinità religiosa e sta tentando con mezzi contorti e sofisticati quanto possono esserlo certe astuzie orientali, di dare una svolta in senso islamico al paese, mandando completamente a rotoli tutto il lavoro fatto da Mustafa Kemal Atatürk, colui che aveva fatto grande la Turchia moderna e che ne aveva messo a fondamento, la laicità, intesa come quel bene primario capace di garantire l’indipendenza da vincoli religiosi che avevano pesantemente contribuito ad impedirne la crescita sino al 1923, in nome di un conservatorismo millenario.
Il resto è cronaca. Cronaca violenta perché la polizia turca non è certo famosa per il fair play. Gas di tutti i tipi, compresi quelli urticanti, condannati anche da Amnesty ed altre organizzazioni internazionali, sono stati e vengono tuttora usati contro i manifestanti. Alberghi ed altri esercizi hanno aperto le porte per dare riparo dai gas a quanti erano in piazza, molti ristoranti in centro hanno rifocillato chi, rinchiuso nella morsa degli scontri non poteva più far rientro a casa. I feriti non si contano e certo il conto del macellaio non sarà di poco conto. La polizia non è stata tenera. Gli ordini, per quanto in alcuni frangenti, disattesi, con defezioni di alcuni elementi che sono diventate temporaneo simbolo della rivolta, erano severi.
E stavolta Erdogan dovrà convincere il mondo tutto che tanta durezza e ferocia era giustificata contro “pochi” manifestanti che imploravano di non distruggere un boschetto (come molti media hanno voluto farci inizialmente credere) o se invece non sia stata la risposta impazzita di un governo che inizia a sentire stretto intorno al collo il cappio dell’opposizione, quella che priverebbe il nuovo ottomano della gioia non più celata e nascosta, di diventare Sultano, islamico e tutt’altro che moderato. Anche se delle imprese, dell’intellighenzia e del denaro laico ne ha sin troppo bisogno. Probabilmente il precario equilibrio con il quale aveva saputo gestire la sua politica del “piede in due staffe” con gli episodi di oggi, inizia mestamente a naufragare. Ed ogni animale, anche il più mansueto, trovandosi in pericolo, reagisce attaccando. E questo, a molti fa paura: anche in questo paese i carri armati non da molti decenni hanno sfilato per le vie cittadine.
Uno lo slogan che più ha riecheggiato tra le vie delle città: “Hükümet istifa” (governo dimissiona) e questo in un paese come la Turchia deve mettere pesantemente sull’avviso il destinatario.
Una esauriente collezione di immagini per lo meno relative agli scontri di Istanbul è reperibile qui: http://occupygezipics.tumblr.com/