Dal besteller di Phillipa Gregory, l'ennesima trasposizione della passione amorosa tra il rude Enrico VIII e le due sorelle Bolena. Esercizio lindo e scialbo dai tantissimi de-javù, poco ispirato e "partecipato". Non ci resta che ammirare la splendida foggia dei tessuti di San Leucio usati per i costumi.
su Rete4 alle 21,10
Ci sono film inutili. "L'altra donna del re" è tra questi. L'inutilità non sta tanto nella reiterazione del soggetto, quanto nello spreco materiale per la realizzazione di un film che è pura fiction senza attendibilità storiografica e nella qualità, davvero elementare, dello script (e pensare che la firma è di Peter Morgan). Ma c'è di più. Il film si inserisce, con poca solerzia, in quella lunga categoria di pellicole "storiche" legate al potenziamento/esaltazione dell'icona femminile appartenente all'immaginario collettivo. Per dirla tutta, questo filone ha avuto un'improvvisa impennata con l'Elizabeth di Shekhar Kapur, dopo anni di attento "evitamento". Il regista, Justin Chadwick, non ha la fantasia spiccata e ibrida del director indiano, che almeno, pur cadendo nel "grottesco" storico, riusciva, con accurati movimenti della macchina da presa e una ricostruzione dettagliata, a portare a casa il risultato in termini di spettacolarizzazione. La presenza della Blanchette, in più, nei panni della Regina Vergine, metteva tutto a tacere, data la portata qualitativa dell'interpretazione, di un'intensità rara e dall'aplomb smaccatamente teatrale (di nuova scuola). Chadwick ne è quasi consapevole e, per questo, si concentra su due caratteri con pari attenzione, le due sorelle Bolena, appunto, Anna e Maria. E sceglie due attrici sulla cresta dell'onda, Scarlett Johansson e Natalie Portman, creando una coppia cinematografica da far faville. Peccato che nessuna delle due (e in particolar modo la Johansson) sia all'altezza della situazione, o almeno in grado di dare sfumature inedite e lontane dai soliti melismi ai due characters interpretati. Quantomeno la Portman nobilita in parte il film con una attinenza più discreta, rispetto all'espressività ingolfata e persa nel vuoto di Scarlett. Vorrei evitare un riferimento all'attore principale, un Eric Bana/Enrico VIII che è completamente avvolto dal ridicolo involontario in termini di attitudine all'introspezione. Ed è meglio non dare troppo peso ai nomi "da cartellone" del cast che costituiscono un supporto limitato e limitante del terzetto attoriale suddetto. Al di là di tutto, è proprio il compito a non convincere, scegliendo una rivisitazione "romance" (alla Gregory, che è autrice del testo originario), molto vicina al feuilleton e ai "romanzi rosa" di qualità spicciola, in cui la pedanteria è sia narrativa che emozionale, filtrata da una scialba partecipazione dell'intero cast ad una storia così lontana nel tempo, privata anche di quelle attualizzazioni post-romantico che avrebbero almeno aumentato l'appeal commerciale della pellicola. Da menzionare, come al solito, i costumi di Sally Powell, curatissimi e di grande personalità e riconoscibilità.