Questa citazione della recensione di Giuliana Sgrena ( pubblicata nel ’96 sul Manifesto) potrebbe essere sublimazione necessaria e sufficiente al contenuto del testo, non a caso sottotitolato “Memoria di una Valle”. L’intento dell’autore di rendere effettivamente protagonista la valle, il territorio in se e per se, come contenitore di vita, storia, esperienze e memoria, si traduce in una lettura che si dipana, proprio come un sentiero montuoso, in un percorso organico e tangibile, da seguire a passo d’uomo, per poter riconoscere tutte le sfumature di colore, senso, significato, che la tessitura di Storia e storie porta con se, sempre e comunque. A maggior ragione parlando di questo particolarissimo territorio, sulla cui pelle è possibile rinvenire la filigrana dei più grandi cambiamenti politico-culturali dell’ultimo secolo.
Ognuno può (e deve) aggiungere qualcosa di se, per rendere pienamente esaustiva l’esperienza di lettura. Che si traduca in escursionismo, ricerca storico-documentale, interesse etno-antropologico, la Valgrande va necessariamente vista/ascoltata/vissuta in prima persona, lasciandosi alle spalle i soliti claim mediatici del tipo “aera wilderness più vasta d’Italia”, e abbandonandosi alle suggestioni/emozioni/pensieri che è in grado di evocare.
In questo senso il testo di Ferrari (Ed. Tararà – 1996 – ISBN 88-86593-02-3) può fungere sia da ottimo (s)punto di partenza, sia da gradevole corollario a personali esperienze pregresse, andando in ogni caso a inserirsi in una “biblioteca della Valle” sempre più nutrita, frequentate e interessante.
“La memoria, come ha scritto Marguerite Yourcenar, non è un archivio cui attingere per estrarre dati raccolti in buon ordine. Al contrario è viva e cambia: “avvicina i pezzi di legno spenti per farne scaturire di nuovo la fiamma”.
(Erminio Ferrari – In Valgranda. Memoria di una Valle)