Chissà perché le valigie sembrano sempre vuote, alla partenza, e al ritorno si fa fatica a chiuderle. No, questa volta acquisti non ne ho fatti, sono finiti i bei tempi in cui si poteva passeggiare per le vie dello shopping e sostare a ogni vetrina, entrare, provare, uscire indecisa, ritornare sui propri passi per comprare l'ennesimo ricordo - un vestito probabilmente Made in Italy senza il quale non avrei potuto vivere... Torno a mani vuote, o quasi, ma con tanti nuovi giochi per loro, i miei piccoli (soprattutto Lego, dato che eravamo nel regno dei famosi mattoncini, ma anche due dinosauri di peluche, piuttosto grandi, perché il papi non ha resistito ai loro occhi luccicanti davanti all'incontro con il nuovo animale, all'Experimentarium, e così torneranno con noi anche loro, due cuccioli di tirannosauro che sono grandi quasi quanto i nostri, di cuccioli, e vabbé, come contraddire un padre orgoglioso?).
Copenaghen sembra essere stata appositamente creata per i bambini. Sarà che noi abbiamo scelto un albergo a due passi dal Tivoli, l'enorme parco divertimenti famoso in tutta Europa non solo per i suoi giochi, ma anche per gli splendidi viali alberati, giardini e roseti. Noi ci abbiamo passato tre serate magnifiche: abbiamo cenato in uno dei molteplici ristoranti del parco e poi via a giocare con i nani, per la loro dolcissima felicità. Abbiamo anche fatto un giro in una giostra per grandi, insieme, barando sull'altezza dei due puffi, pur di imbarcarci all'interno di quel colorato sali e scendi veloce. Se ci penso, nelle mie orecchie riecheggiano ancora le loro risa cristalline, contagiose, pure. Quella sera abbiamo tirato fino a mezzanotte a furia di andarcene in giro. Siamo tornati a piedi, spingendo i passeggini e cantando e chiacchierando e ridendo come i matti: la gente si fermava a guardarci, con i loro sguardi increduli e divertiti. Una banda di matti.
Ci siamo fermati 8 giorni. Credevamo fosse troppo. Eppure, 8 giorni non sono bastati a completare la lista delle cose che avremmo desiderato fare. E dire che ci siamo impegnati e ne abbiamo fatta, di strada, su e giù per Copenaghen, periferie incluse e anche qualche gita fuori porta. Siamo stati persino a prendere l'aperitivo a casa di una mia amica danese, un'ex collega con una deliziosa casetta a Brede, 15 km a nord dalla città. Siamo stati all'open air museum, all'acquario, allo zoo, al museo zoologico, all'experimentarium, al museo nazionale, in tanti parchi e parchi giochi, abbiamo fatto giri in barca, in bici, in taxi, in autobus, e anche con la carriola (allo zoo), abbiamo mangiato per strada, al ristorante, nei caffé, e abbiamo fatto i picnic sul prato... Ovunque andassimo, c'era un'area dedicata ai piccoli (ad esempio al museo nazionale i nani hanno dipinto su veri cavalletti e scolpito l'argilla, nella stanza dedicata ai laboratori dei piccoli), un'area dedicata al cibo con tanti seggioloni a disposizione e quasi sempre fasciatoi in bagno.
Però non siamo stati al Louisiana, un museo fuori porta bellissimo, dicono. Immerso in un grande parco e, anche lui, con un'intera ala dedicata ai piccini. Sul programma che avevo stilato c'era anche una capatina in spiaggia, anzi, in realtà due. Avremmo voluto visitare una spiaggia realizzata in pieno centro a Copenaghen, ma anche prendere il treno per raggiungere l'estremo nord della selandia (appena un'ora di strada) e calpestare la sabbia bianca di Gilleleje, un angolo di paradiso marino, pare. Anche se a pensarci, poi avremmo dovuto far fare il bagno ai nani che come sempre incuranti dell'acqua gelida avrebbero costretto a mollo anche noi... E se penso all'unica volta che il mio unghio dell'alluce ha toccato l'acqua del Mare del Nord mi vengono i brividi.
Mai come in questi giorni sono stata orgogliosa dei miei nanetti. Sono stati bravi, dei veri viaggiatori. Hanno mangiato quello che passava il convento (e non sempre è stato generoso), senza mai lamentarsi. Nei rari momenti di panico per minacce di sciopero della fame, sono andate bene due strategie: una bugia bianca secondo la quale comunicavamo che l'eccellente portata in discussione era stata appena sfornata dalle mani della nonna Anna, l'altra secondo la quale ricorrevamo alle ammalianti grazie della cameriera di turno, che si sarebbe abbandonata a complimenti e applausi una volta terminato il cibo che aveva portato al tavolo - e così, al grido "signorina! (che suonava più o meno così: "gnignignina!"), i due cascamorti finivano l'orripilante piatto di fettuccine alla bolognese (era una bugia perché raramente la signorina di turno si prestava al gioco, vista la proverbiale simpatia del popolo danese). E pazienza se per qualche giorno non hanno consumato sufficienti verdure biologiche e il pesce era quasi sempre fritto (ci sarebbe da dedicare un post a parte, sulle pessime abitudini alimentari danesi e anche sul pessimo cibo, ristoranti d'alto livello a parte).
Non so se è stata positiva, questa esperienza, se vista in ottica di lungo termine. C'è il papi terrorizzato. Io mi sono gasata e ho ricominciato a programmare viaggi con intenti bellicosi. Gli ho persino proposto una vacanza in bici, che so, lungo il Reno, ad esempio. All'inizio pensava scherzassi ma poi ha capito che facevo sul serio, programmando già una spedizione punitiva da Decathlon per l'attrezzatura necessaria (magari anche una tenda, papi?). Lui ha cominciato a tremare e così ha tirato fuori un po' di scuse, cominciando dalla sua proverbiale inettitudine con la meccanica ciclistica. Si impara, gli ho detto. Ti mando a ripetizione, se occorre, qual è il problema? Se io ho superato l'esame di statistica con 29, puoi farcela anche tu, ad imparare a riparare una bici. Se Giova mi legge, dagli States, si senta chiamato in causa e inizi a preparare le slides, grazie (sarai ricompensato con una abbondante porzione di spaghetti alla bottarga home made, come piacciono a te). Quanto ai possibili itinerari e ai consigli pratici, sono sicura che Alessandra ci darebbe una mano ( ovvio che io dovrò chiederle come preparare delle micro valigie... e, lo so, forse rinunciare alla crema idratante).
Mentre scrivo loro dormono. Li guardo e penso che passerà del tempo, prima di provare di nuovo questa esperienza così piena, questa sensazione di unione così totalizzante ed esclusiva. Torneremo a casa e ritroveremo tutti gli affetti. Loro ritroveranno le nonne. Noi ricominceremo a lavorare, assentandoci per intere giornate. Quanto mi mancherà questo viaggio, nei prossimi giorni e in futuro. La prossima volta non saranno più così minuscoli. Non si impressioneranno più al semplice passaggio di un treno.
Ci saranno altre scoperte. Ci saranno altre esperienze. Ci saranno altre emozioni.
Alcune volte penso che la gente abbia paura a dire di essere felice. Perché? Dovremmo dirlo più spesso. Io sono felice, adesso, circondata dai mie tre uomini.
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