In viaggio con il prode Lucio Coppini verso le terre di Ciociaria

Creato il 13 agosto 2014 da Cultura Salentina

13 agosto 2014 di Pierluigi Camboa

Il dottor Babbarabbà, gli òrapi e altri misteri ciociari

“Per trovarmi in un luogo comune non ho necessità di viaggiare e nemmeno di muovermi: ci arrivo in un istante montando sull’astronave della mia stupidità” (Il dottor Babbarabbà, “Minestrone con carrube”, Proemio, luglio 2014).  

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In quella fase critica della sua esistenza, per prevenire il fatal rincoglionimento tipico del pensionato accidioso e, stanco di ripetere ogni giorno le solite azioni stereotipate, si era finalmente deciso a cambiar vita, a tirar via il culo dal divano e a cominciare a viaggiare per il mondo per sperimentare la realtà in modo diretto, attraverso la percezione dei suoi sensi, per vedere, sentire, toccare, annusare: era ora di farla finita con i luoghi comuni e cominciava l’era dei luoghi… “propri”!.

Durante una pomeridiana partita a brigde sull’affollato sito Internet “Bridge Base Online” parlò della sua trascorsa esperienza e del progetto di un nuovo viaggio all’amico Lucio Coppini, pensionato come lui, leccese DOC dalla battuta pronta, e l’idea di una breve gita in Ciociaria coinvolse anche l’amico che gli avrebbe fatto, quindi, da piacevole compagno di viaggio.

Forte della lezione ricevuta nel corso del primo viaggio, decise, di comune accordo con Lucio, di non correre ulteriori rischi e di portare in dono ai suoi amici ciociari un po’ di buon vino salentino (negramaro e malvasia nera) e i prodotti, tipicamente salentini, del cosiddetto “fornu a petra”, leggi friselle, in tutte le loro forme e “declinazioni”.

Passarono i giorni e giunse, finalmente, il momento della partenza, con un paio di borsoni stipati nel piccolo portabagagli di quella ancor più minuscola utilitaria sud-coreana (una J10 a gas) di Lucio, nella quale il povero dottor Babbarabbà fu costretto a fare tutto il viaggio con il busto deformato in una innaturale torsione antioraria, al fine di permettere a Lucio di usare i comandi dell’auto, ma riuscì a consolarsi pensando che, in fondo, qualche sacrificio quel bel viaggio lo valesse pure.

Alle 17,00 di giovedì 29 maggio giunsero finalmente all’hotel di Sora prenotato via Internet e si concessero una lunga doccia ristoratrice, per trovarsi freschi e preparati all’incontro con gli amici, che si sarebbe concretizzato a cena in una caratteristica osteria ciociara sulle colline a ridosso della Val di Comino.

Dopo aver verificato con soddisfazione che stavolta i doni salentini avevano riscontrato il meritato successo, si recarono verso l’osteria in compagnia degli amabilissimi ospiti e durante il tragitto in auto furono informati da Dina che quella sera avrebbero fatto la conoscenza dei famosissimi “òrapi del buon Enrico”. Lucio guardò sgomento il dottor Babbarabbà, come a chiedergli: “Ma chi cazzo saranno mai, questi – famosissimi! – Orapi? E questo Enrico, poi? Chi cazzo sarebbe, costui?”, ma il nostro eroe, in un deprecabile rigurgito di “asinismo creativo parossistico Internet-indotto”, cercò di rasserenarlo, dicendogli che gli pareva di ricordare trattarsi degli storici, leggendari, pittoreschi pastori della transumanza, con le greggi in partenza verso le zone collinari e montane per la stagione estiva; Enrico, invece, doveva essere certamente riferito ad Enrico VI di Svevia, al quale si faceva risalire la vera causa della prima transumanza della storia, generata dalla necessità dei pastori di salvare le proprie greggi dalla distruzione, legata al bisogno di sfamare le truppe imperiali impegnate nel lungo assedio del castello di Fumone…

Come volevasi dimostrare, quella che avrebbe dovuto essere la partenza in diretta della transumanza si trasformò in un’ottima cena centrata, in modo prevalente, su una triplice portata a base di òrapi (noti anche come erba del buon Enrico): un’ottima zuppa con legumi e cereali, una grande, sontuosa frittata ed una sorta di caponata molto gustosa, insaporita con aglio, olio e peperoncino.

Ed ecco finalmente svelato il mistero dei “famosissimi” òrapi: una sorta di gustosissimi spinaci di montagna (nome scientifico Chenopodium Bonus Henricus), altro che i pastori della transumanza appenninica! E fu così che il dottor Babbarabbà si beccò in pieno tutto lo sguardo di disapprovazione, se non schifato, di Lucio, accompagnato da una tipica espressione leccese: “Ccè bb’erane, l’òrapi? Picurari de l’Appenninu? Oh, ci cu te scoppa ‘na sajietta an tra li dienti, autru ca la transumanza de ziuta Narda! (Allora, cos’erano, gli òrapi? Pastori dell’Appennino? Ma che ti prendesse un fulmine in mezzo ai denti, altro che la transumanza di tua zia Leonarda!)”. Tuttavia, al buon dottor Babbarabbà, per tornare tutto allegro e spensierato, fu sufficiente un’ottima bottiglia di Cesanese del Piglio, un gran bel rosso rubino dal… piglio deciso, e con la tendenza a un gradevole gusto amarognolo e al frizzante naturale; non a caso, Dina gli narrò la nobile storia di quel vino antichissimo, già noto in epoca etrusca ed in seguito arricchito di importanza per essere stato eletto a bevanda da pasto di eccellenza da Federico di Svevia, nel suo soggiorno ad Anagni, ospite del papa Innocenzo III… E fu così che, inebriato alquanto, al termine della cena il dottor Babbarabbà citò per intero il famoso “Elogio del Vino” di Morando da Padova: “Ave color vini clari / ave sapor sine pari / tua nos inebriari / digneris potentia. / Ergo vinum concludemus / potatores exultemus / non potantes confundemus / in eterna tristizia. Amen!”. Lucio, che, essendo totalmente astemio, aveva ingurgitato solo un buon paio di litri d’acqua, fu a sua volta oggetto e bersaglio di un aspro rimprovero, che si concretizzò nei seguenti versi-anatema: “Quanto all’acqua maledetta / sia bandita ed interdetta / perché chi la beve tace / e lei impregna il suo torace”… Lo sguardo di Lucio e il suo successivo assai colorito (se non irripetibile) commento verbale in dialetto leccese espressero un misto di compassione e simpatia; e la piacevole serata si concluse, quindi, in allegria.

Il programma dell’indomani prevedeva un itinerario in due tappe: al mattino, verso Isola del Liri e, nel pomeriggio, nella storica e bellissima Arpino, città natale di Cicerone, nella quale saremmo stati ospiti di Francesco e Federica, per un bel duplicato di bridge (ed ovvio “contorno” mangereccio)…

Isola del Liri è una graziosa e storica cittadina, il cui nucleo antico fu costruito sull’isoletta formata dalla biforcazione del fiume Liri, che si suddivide nella Cascata Grande e nella Cascata del Valcatoio, spettacolarmente spumeggianti proprio nel bel mezzo del centro storico della località.

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