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In viaggio con la vespa 6: attraverso il niger, verso il mali

Creato il 09 febbraio 2013 da Postpopuli @PostPopuli

Prosegue l’itinerario nel mondo in viaggio con la Vespa (e non solo) di Giorgio Càeran. Ecco la quinta puntata: dopo aver esplorato il Niger, si avvicina il confine del Mali.

di Giorgio Càeran

Da Giramondo libero – In viaggio con la Vespa o con lo zaino (Giorgio Nada Editore)

(gennaio 1985, parte di un viaggio iniziato il 21 dicembre 1984 e finito il 15 febbraio 1985)

IN VIAGGIO CON LA VESPA 6: ATTRAVERSO IL NIGER, VERSO IL MALI

Un particolare del mercato di Ayourou (da 23marzo2003.net)

Dalla capitale del Niger partiamo adesso verso Ayourou. Il torpedone, che in realtà è un camion Saviem modificato, è vecchio e malridotto, verniciato di bianco e azzurro, con sedili anteguerra e finestrini privi di vetri. I bagagli, come al solito, sono legati sul tetto. Ci viene comunicato che la partenza è imminente, ma in realtà non è così. Ce ne stiamo quindi seduti per tre ore sotto il sole infuocato. Alla mia sinistra c’è una signora con un abito rosso a fiori rosa; alla mia destra un giovane con una giacca scura, i pantaloni a quadrettini e un berretto rosso. Bruno ha trovato posto più indietro. C’è parecchio “colore locale”, non soltanto sulla corriera ma anche attorno al veicolo dove una quantità di venditori mugolanti ci frastorna con grida a non finire. Davanti a me c’è un uomo anziano alto e magro, dalla barba bianca che contrasta con la pelle scura; indossa un camice bianco a disegni verdi e un berrettino variopinto, con una dominante verde. Ci sono anche due ragazze carine che allattano i loro piccoli. Intanto si continua a caricare la merce e i bagagli; sul tetto della corriera viene sistemato persino un letto matrimoniale.

Dopo mille sospiri arriva infine anche il momento di partire. La strada fino a Tillabéry è bene asfaltata e si snoda lungo un tracciato leggermente a est del fiume Niger, il quale si intravede di tanto in tanto. C’è una vegetazione abbastanza folta e gli alberi non mancano, ma il suolo è ancora di colore ocra. Vedo pecore, capre, cani, corvi, somari, vacche e dromedari, oltre ovviamente alla gente dei villaggi. A Tillabéry termina la strada asfaltata e inizia un percorso di terra e sabbia battuta che raramente si presenta a “tôle ondulée”. Durante l’attraversata del Sahara sul camion si soffriva poco per il fondo ondulato, forse grazie all’enorme quantità di bagagli che attutiva i colpi. Allora eravamo in cinquanta persone accucciate alla meno peggio sui bagagli, ora invece quaranta di noi sono seduti sui sedili, che non bastano per tutti i passeggeri. All’uscita del villaggio, un po’ più grande degli altri, sulla mia sinistra noto un ampio mercato molto affollato. Qui ci concediamo una nuova sosta. I bambini dei piccoli villaggi non sono smaliziati come quelli delle città; durante le soste non ci corrono incontro gridando e quasi pretendendo un “cadeau”, ma timidamente rimangono a guardare da lontano. Non è così però quando, di sera, giungiamo ad Ayourou, dopo otto ore di viaggio per percorrere soltanto duecentootto chilometri (vale a dire alla media di 26 km/h). Durante la giornata ci sono stati otto controlli da parte della polizia, compresi quelli in cui si segnala semplicemente il transito dei passeggeri.

La città è avvolta dal buio: non c’è ancora l’energia elettrica, ma fra una moltitudine di minuscole luci si intravedono e si sentono molti bambini intenti a ripetere la parola cadeau, che certamente è indirizzata a noi due, dato che siamo gli unici europei attualmente presenti. Scaricati i bagagli, con il francese mi reco nell’unica gargotta del posto, dove una donna ci serve la sola cosa che al momento può prepararci, e cioè una frittata. Nella penombra spezzata dal chiarore di una lampada a petrolio mangiamo con buon appetito: da tutto il giorno siamo a digiuno e ieri non abbiamo mangiato più di oggi.

Camminando nelle vie coperte di sabbia, vedo nell’oscurità più fonda la luce di numerose pile che si muovono quasi danzando: la maggioranza delle persone ne fa uso per i propri spostamenti. Ci sistemiamo vicino all’albergo, in un ripostiglio nel quale si trovano alcuni membri della Prefettura. Dormiamo nei sacchi-letto, senza tuttavia pagare per il pernottamento, il che per noi è un’ottima cosa.

Il giorno dopo, appena svegli, torniamo alla gargotta della sera precedente, su cui appare l’insegna “Restaurant” (!), e mangiamo ancora una frittata: di nuovo non c’è altra scelta. Attraversiamo poi il villaggio e sostiamo alla dogana: in queste zone le “frontiere” spuntano anche lontano dai confini nazionali. Qui attendiamo un passaggio per Gao, distante quattrocentoquarantatré chilometri da Niamey. Ci sarebbe il battello a motore che, navigando sul Niger, approderebbe a Gao più velocemente rispetto al percorso su strada, però il battello ad Ayourou passa solo una volta la settimana, di domenica, e oggi è martedì. Aspettando osservo l’animazione che c’è attorno a una corriera della “Società Trasporti Nigerini”; in un vociare di uomini, donne e bambini vestiti con abiti di stoffe variopinte. Accanto a me sta lavorando un parrucchiere: munito di un coltello, rapa a zero un cliente che, rannicchiato sulle sue gambe, attende in silenzio il termine della propria “tosatura”. Dopo la rasatura dei capelli altrettanto avviene per la barba, mentre il tutto si svolge senza versare una goccia di sangue.

IN VIAGGIO CON LA VESPA 6: ATTRAVERSO IL NIGER, VERSO IL MALI

Una piroga sul fiume Niger (da nigergallery.blogspot.com)

Considerato che al momento nessuno procede in direzione di Gao, distante duecentotrentacinque chilometri da qui, con il francese vado al centro di Ayourou. Dopo una breve visita al mercato decidiamo, per ingannare il tempo dell’attesa, di fare un’escursione navigando il fiume Niger su una piroga, sulla quale ci sono due rematori seduti alle estremità dell’imbarcazione, e nel mezzo ci siamo il francese, io e una pecora. Il fiume è largo e le sue acque grigiastre scorrono pigramente. Dalla piroga vedo aironi, martin pescatori e tante altre specie di uccelli. Passiamo vicini alle rive dei villaggi disseminati lungo il fiume e sfioriamo le isolette che affiorano dall’acqua. La pecora incomincia a belare ogni volta che scorge altre sue compagne sulla sponda, ma queste se ne stanno zitte, non rispondono al suo richiamo. Osservo molte donne intente a battere il miglio con un lungo bastone: è una scena che si vede di frequente nell’Africa nera. La gitarella sul fiume è rilassante e piacevole. Apprendo dai rematori che da queste parti ci sono anche i coccodrilli, che però si fanno vivi soltanto di notte. Tornati a terra, il transalpino e io ci laviamo sulla riva del fiume accanto ad altre persone del posto, intente a fare altrettanto. Uomini, donne e bambini si lavano e lavano le loro vesti restando nudi, senza imbarazzo: un comportamento impensabile nel nord del Sahara.

Giunge anche il momento di partire su una Land Rover, i cui stanno appollaiati undici passeggeri sopra i propri bagagli, mentre altre tre persone, fra le quali una donna, siedono nella cabina di guida. Dopo cinquanta chilometri di tracciato sabbioso, arriviamo alla dogana del Niger. Continuiamo ancora per un po’ di chilometri e arriviamo a Labézanga, ossia la dogana del Mali. Sposto indietro di un’ora le lancette dell’orologio mentre, ormai al buio, riprende il viaggio sulla pista. Dopo pochi chilometri, però, ci si ferma di nuovo per permettere ai funzionari della dogana il controllo dei bagagli dei miei compagni di viaggio. Vicino c’è una piccola gargotta dove andiamo dopo aver ricevuto il “lasciapassare” definitivo. Accanto al fuoco mangio un piatto di riso con le dita, in difetto di posate. Bruno invece preferisce digiunare.

Si continua poi sulla pista che in alcuni punti è coperta di sassi, mentre in altri la sabbia è ben poco battuta. La Land Rover è scoperta nella parte posteriore, cosa che ci fa soffrire ancora il freddo… Incomincio a essere stufo di viaggi notturni, ma naturalmente devo accontentarmi. A un tratto l’autista non riesce a vedere bene la pista e precipita con la Land Rover in un avvallamento abbastanza profondo. Scarichiamo tutti i bagagli e mettiamo alcuni sassi dietro l’asse delle ruote anteriori, che sono rimaste bloccate. Noi passeggeri spingiamo, l’autista aziona la retromarcia e dopo un po’ di fatica riusciamo a liberare il veicolo. Cerchiamo di partire il più in fretta possibile, perché c’è un’infinità di zanzare attorno: alla luce delle nostre pile si vedono gli insetti assembrati in folti e minacciosi squadroni.

Dopo sette ore di viaggio si arriva ad Ansongo, una località distante centonovanta chilometri da Ayourou. Ci fermiamo nella piazza dove, dopo aver steso sulla sabbia i sacchi a pelo, il francese e io ci corichiamo. Per la cronaca, anche questa cittadina non ha elettricità, perciò vi si ritrova un po’ l’atmosfera di Ayourou.

L’indomani, mercoledì 16 gennaio, ci svegliamo presto per riprendere il viaggio. La pista ha parecchi tratti di sabbia non battuta e il percorso è un continuo saliscendi, il che ci consente di vedere il fiume Niger dall’alto. Qua e là la vegetazione scarseggia, a tratti vedo qualche palma e dromedari ben pasciuti, non magri come quelli del Sahara: certamente qui hanno di che nutrirsi! Lungo la strada, sulla Land Rover salgono altre persone, il che ci costringe in uno spazio sempre più ristretto. Ho i piedi e le gambe dolenti per l’impossibilità di muovermi; così, dopo tre ore di viaggio, arrivo a Gao alquanto rattrappito.


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