In viaggio con la vespa 8: dal mali a dakar, in senegal

Da Postpopuli @PostPopuli

Prosegue l’itinerario nel mondo in viaggio con la Vespa (e non solo) di Giorgio Càeran. Ecco l’ottava puntata: dalle cascate di Félou, nel Mali, procediamo fino a Dakar, capitale del Senegal.

di Giorgio Càeran

Da Giramondo libero – In viaggio con la Vespa o con lo zaino (Giorgio Nada Editore)

(gennaio 1985, parte di un viaggio iniziato il 21 dicembre 1984 e finito il 15 febbraio 1985)

Vorrei scattare qualche fotografia, ma data l’ora ho il “sole in macchina”, cosa che mi crea non poche difficoltà per le riprese. Se il sole fosse in un’altra posizione sarebbe tutto più semplice, invece devo spostarmi, cosa non facile senza calzature adatte: porto il solito paio di sandali.Cammino su grandi ciuffi di erba secca e dura, su sassi appuntiti, su una passerella d’acciaio, su grosse rocce lisce. Finisco per farmi un taglio al piede destro, che tampono con un fazzoletto di carta infilato nel sandalo. Mi fermo a parlare un po’ con le persone addette al controllo della centrale e poi, saltellando qua e là sulle rocce, scatto una serie di fotografie.

La cascata è piccola, non ha nulla d’imponente, ma le rocce, sia dentro sia fuori dall’acqua, sono molto belle: alcune sono lisce, tondeggianti, con buchi che sembrano occhi di crani umani; un’altra ha sulla sommità una gran buca piena d’acqua, come un pozzo naturale. Ci sono un paio di grandi rocce che raffigurano due profili di cani, posti uno di fronte all’altro. Lontano dal fragore della cascata e da quello della motrice elettrica c’è un profondo silenzio, interrotto solo dai cinguettii diuna moltitudine di uccelli variopinti e dal lieve ronzio di mosconi e insetti. Cammino a torso nudo, dopo aver legato la maglietta alla borsa a tracolla di pelle che porto sempre con me. È piuttosto piccola, ma abbastanza capace da contenere ciò che è bene avere sempre a portata di mano in viaggi come questo: il passaporto, il carnet delle vaccinazioni, poco denaro, documenti, la macchina fotografica, una cartina stradale, un quaderno a righe che è diventato il mio diario di viaggio, un piccolo notes, una penna a biro, un coltellino tascabile, una pila anch’essa tascabile, un tagliaunghie, un accendino, i fazzoletti di carta e un contenitore per il rullino delle diapositive. Il tutto è suddiviso in due scomparti, uno grande e uno più piccolo, ciascuno dotato di cerniera lampo.

Una strada di Kayes (da Wikipedia)

Mi siedo in un posto all’ombra lungo il sentiero, aspettando l’arrivo di qualche veicolo in transito, nella speranza di non dover rimanere lì fino a sera. Non c’è anima viva e mi rilasso, contemplando il panorama. Sull’immenso specchio d’acqua vicino alle cascate,alcune piroghe vi avanzano spedite, quasi scivolando. Poiché l’attesa si fa lunga, torno alla centrale idroelettrica dove mi rinfresco sotto l’acqua di un rubinetto. Qualche ora dopo ecco che infine torna il Peugeot, più affollato di prima, tanto che mi tocca un posto scomodo d’emergenza.

Arriva il momento di lasciare Kayes, ossia la località più cara del Mali, nazione che è già tra le più care anche per i turisti come me. A Kayes, inoltre, è un problema mangiare: c’è un solo ristorante, che però in questo periodo è chiuso.

Mentre alla stazione aspetto il treno proveniente da Bamako diretto a Dakar (lontana da qui 747 km), continuo a bere tutto quello che trovo: qualsiasi bevanda mi va bene, purché sia fredda. Il treno giunge notevolmente in ritardo, cosa che accade sempre nel continente nero, dove la rete ferroviaria non ha doppi binari. A questo proposito annoto che non c’è bisogno di giungere fino qui in Africa per vedere un solo binario per entrambi i sensi di marcia, dato che anche in Italia ce ne sono parecchi e non solamente nel meridione, ma perfino in Liguria, in Lombardia, eccetera… Da noi si viaggia su un solo binario per oltre il 60% dell’intera rete ferroviaria, quindi per una lunghezza di quasi diecimila chilometri. Ciò che è diverso, semmai, è la struttura dei vagoni: il nostro comfort in contrapposizione alla struttura rigida di quelli africani, e soprattutto a come sono affollati.

La sosta a Kayes dura quasi due ore. Venti minuti dopo la mezzanotte finalmente si parte. Viaggiando tra Bamako e Kayes ho sofferto tantissimo caldo, sete e stanchezza, in piedi com’ero. Qui invece c’è freddo: oramai è notte fonda. Appena spunta l’alba, già dentro il territorio del Senegal, vado al vagone ristorante per bere un caffellatte, ma decido di mangiare anche pane e burro perché ho una fame da lupo. Mentre reggo il vassoio per andarmi a sedere mi sembra di essere il protagonista ubriaco di un film comico: il movimento del treno fa traballare tutto, in particolar modo quando poso il vassoio. Cerco di cambiare posto, di mettermi in un punto dove le vibrazioni siano meno forti, ma ovunque mi metta è un disastro!

La stazione di Dakar (da imieiviaggi.info)

Sono appena tornato al mio posto quando il treno si ferma nella stazione di Tambacounda: sono passate sette ore e mezzo dalla partenza e siamo ancora ben lontani da Dakar. Più avanti, durante la fermata in un villaggio, osservo un ragazzino che da lontano corre scalzo verso il treno per vendere qualcosa ai passeggeri. Spero che il ragazzo faccia buoni affari e sono contento quando mi mostra con fierezza i 100 franchi CFA che ha guadagnato. Intanto, il sole entra dai finestrini riscaldando parecchio l’ambiente. Tra vacche, pecore, capre e asini noto anche qualche bel cavallo al pascolo o attaccato a un carro. Nei pressi di Diourbel scorgo un terreno ben coltivato, attorniato da numerosi baobab. Questi alberi dal grande tronco sontuoso sui rami hanno molti aculei e poche foglie piccolissime. Più in là vedo alcuni asini niente affatto “somari”: accortamente cercano di ripararsi dal sole in luoghi ombreggiati.

Con ben sei ore di ritardo sul previsto, alle sette di sera di sabato 2 febbraio, dopo quasi diciannove ore di viaggio, il treno arriva finalmente alla stazione di Dakar. Come era già successo ad Abidjan, anche qui devo consegnare i due biglietti di viaggio. La capitale del Senegal è sulla stessa latitudine di Kayes, ma vi è un notevole sbalzo di temperatura: qui fa freddo. Uscendo dalla stazione do uno sguardo alla facciata dell’edificio: una costruzione più che bella, raffinata.

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