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In Viaggio
E così sono di nuovo in viaggio. E di nuovo mi sto dirigendo verso i luoghi che sempre di più sono diventati i miei “luoghi dell'anima”, la Patagonia e la Terra del Fuoco. Luoghi dove riesco a sentirmi a casa, benché in modo diverso che ad Arezzo. Luoghi che mi sono entrati nel sangue e che mi aiutano a restituirmi a me stesso.
Starò via almeno otto settimane: un periodo molto lungo per una vacanza, ma direi giusto per un viaggio autentico, che come tale richiama un'esperienza umana, da coltivare, da fare crescere. So di essere fortunato: mi posso permettere di fare ciò che davvero mi piace.
Viaggio per inseguire nuove storie. Viaggio per continuare a scrivere libri di viaggio. E viaggiando cercherò di non perdervi. Qui, sulle pagine del Corriere, cercherò di pubblicare una sorta di diario di bordo.
Spero di non annoiarvi. Ma se non vi annoierò non sarà solo merito mio. In realtà in viaggi come questo succedono tante cose strane, irrilevanti o importanti, diversissime tra loro. Cose che comunque in qualsiasi parte del mondo hanno spesso un nesso che le lega l’una all’altra. E' un po' la storia del battito di farfalla a San Francisco che provoca un terremoto a Tokio. O viceversa.
In fondo è questa la vera globalizzazione: non solo prodotti o crediti che transitano indifferentemente da un continente all'altro, ma anche reti di rapporti di causa ed effetto, valanghe di circostanze, combinazioni, vicende solo apparentemente inspiegabili.
In realtà questo pianeta ci fa respirare sempre aria di casa, anche quando siamo molto lontani. E in questo caso non parla l'uomo che, come vi ho detto, si sente a casa da queste parti.
Accade che mentre visito il Museo dell’Emigrazione di Buenos Aires. In una sosta al bar del museo, aprendo le pagine dei giornali italiani in Internet, mi capita di leggere che nel nostro paese sta aumentando a vista d’occhio l’intolleranza verso gli stranieri. E che crescono a dismisura i comportamenti xenofobi e razzisti nei confronti degli immigrati dal Sud del mondo.
Non parlo solo delle sciagurate politiche di questo governo nei confronti degli immigrati clandestini e del muro che abbiamo alzato nel Mediterraneo. Parlo proprio di una cultura e di un mutamento antropologico che sta prendendo sempre più i miei connazionali.
Proprio qui, guardando le foto ingiallite degli italiani arrivati in Argentina agli inizi del secolo scorso, possiamo avere la prova di questo mutamento.
Il viaggio dell'emigrante significa, ancora oggi, partire senza coltivare la speranza del ritorno. E’ il frutto di una condizione non voluta e imposta dalla necessità di sopravvivere.
Lasciare la propria casa determina lo sradicamento dal nucleo familiare e dal luogo di origine, la perdita degli affetti più importanti e delle persone care.
In questo Museo ho letto che centinaia di migliaia dei mostri emigranti in Argentina non sono più tornati in Italia, nemmeno una volta per tutta la vita che gli è restato da vivere. Vite sempre sospese sul filo della sofferenza.
Eppure la dimensione esistenziale, tormentata e difficile, degli emigranti esiste solo nella memoria degli anziani: e qui si può capire meglio. In Italia, poco o nulla sappiamo della storia della nostra emigrazione. E nessun libro di testo ne parla nelle scuole.
Un tempo eravamo noi italiani gli extracomunitari, gli stranieri, coloro che venivano accettati o respinti ma sempre con diffidenza e quasi sempre con atteggiamenti razzisti.
Peccato non poter organizzare visite guidate dei nostri ragazzi ai musei dell’emigrazione di Ellis Island a New York o quello di Buenos Aires in Argentina.
Forse capirebbero meglio cosa vuol dire una politica di accoglienza e una cultura aperta a tutte le differenze etniche e religiose.
Beh, anche per questo i viaggi sono importanti. Tito Barbini(corriere di arezzo , sabato 21 novembre)http://picasaweb.google.com/titobarbini26
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