Incantesimi Antichi: Elena

Creato il 07 aprile 2014 da Athenae Noctua @AthenaeNoctua
Accanto all’immagine di figlia di Zeus e di sposa infedele, la regina di Sparta manifesta sporadicamente delle abilità magiche. Si tratta di atti non strettamente legati alla magia alla maniera di Circe o di Medea, ma piuttosto conseguenze di due dati fondamentali: il legame di Elena col mondo divino e il suo soggiorno in Egitto, presso Polidamna.

F. Leighton, Il sole ardente di giugno (1895) [1]


Dalla Telemachia, ovvero la parte dell'Odissea dedicata al viaggio di Telemaco (libri 1-4) alla ricerca del padre, emerge un ritratto nuovo della donna che nell'Iliade è semplicemente la causa del conflitto bellico. Nell'ultimo canto di questo 'poema nel poema', Telemaco e Pisistrato (il figlio di Nestore), sono ospiti alla reggia di Sparta e incontrano i sovrani Menelao ed Elena; le vicende iliadiche rimangono sempre sullo sfondo dei colloqui fra i quattro personaggi, ma proprio in questo contesto scopriamo il primo degli interventi ‘magici’ di Elena: nella reggia di Sparta, il ricordo delle sorti degli eroi achei suscita un pianto generalizzato, cui Elena decide di porre fine ricorrendo a dei filtri portentosi (phàrmaka esthlà, Hom. Od. 4, 219-230):
Allora Elena, la figlia di Zeus, escogitò un’altra idea:
subito gettò nel vino da cui tutti attingevano un farmaco capace
di lenire il dolore, placare il rancore e produrre l’oblio di ogni male.
Chi, una volta mescolato nel cratere, lo avesse inghiottito,
per un giorno intero non avrebbe versato il pianto sulle gote,
nemmeno per la morte della madre e del padre,
nemmeno se di fronte a lui, ai suoi occhi, col bronzo
avessero ucciso un fratello o un figlio adorato.
Pozioni tanto potenti e tanto ingegnose possedeva
la figlia di Zeus, tutti quelli che le aveva forniti
Polidamna, la sposa di Tone, l’Egizia: la terra feconda offre numerosi
rimedi, mescolandone molti di prodigiosi, molti di terribili.
Sebbene dal passo non risulti esplicita l’abilità di Elena di produrre un tale rimedio contro la sofferenza, poiché, come indicato al v. 228, la regina ha ricevuto da Polidamna il farmaco e non le istruzioni su come prepararlo, H. Gùzman ha riconosciuto nella donna di questi versi una vera e propria maga, una figura che nell'Odissea costituisce un polo parallelo e di segno opposto alle attività di Circe, che, sempre ricorrendo alla somministrazione di farmaci agli ignari ospiti, si propone di produrre in loro un oblio che dia liberazione dal ricordo delle sventure.
Di recente, inoltre, C.A. Faraone ha notato come la formulazione ipotetica della descrizione dell’effetto del phàrmakon (vv. 222-226) ricalchi le dizioni incantatorie presenti su manufatti antichi come la cosiddetta ‘Coppa di Nestore’ (VIII sec. a.C.). I punti su cui fa leva l’ipotesi sono principalmente l’uso di parole rare o addirittura di hapax[2] e l’imitazione formulare di iscrizioni come, appunto, quella rinvenuta sul manufatto di Ischia; scrive infatti lo studioso che «il poeta dell’Odissea ha preso un incantesimo simile e l’ha adattato alla sua narrazione. L’originale doveva probabilmente suonare come questo: ‘Chi questo farmaco ingerisce, non righerà di lacrime le gote…’». Di più: se giocassimo, come suggerisce lo stesso Faraone, sull’ambiguità semantica di phàrmakon, che vale come ‘filtro’, ma anche come ‘incantesimo’, potremmo dedurre che, in accompagnamento ai gesti, Elena reciti anche una formula finalizzata a corroborarne l’efficacia, proprio come si è ipotizzato relativamente a Circe.

Elena e Paride, part. da un vaso a figure rosse


Un secondo momento di raffronto fra Elena e Circe si impone all’attenzione in Od. 15, 171-178, allorché la regina di Sparta si offre di interpretare il significato della strana visione presentatasi davanti a Menelao e ai suoi ospiti: un’aquila si è abbattuta sul cortile e ha afferrato un’oca domestica (vv. 160-165). Sebbene Pisistrato chieda al re di interpretare l’auspicio, è Elena a soddisfare la sua richiesta:
Ma Elena lungo peplo, precedendo Menelao, così parlò:
«Ascoltatemi. Io vi darò il responso, quello che gli immortali
mi infondono nella mente e quello che ritengo accadrà.
Come quest’aquila venuta dai monti, dove ha nido e figli,
ha ghermito l’oca cresciuta nella casa,
così Odisseo, dopo aver sofferto molti mali e aver molto errato,
ritornerà a casa e consumerà la sua vendetta: oppure,
già a casa, prepara sventure per tutti i proci.»
Elena pratica un tipo di mantica che parte da premesse esterne (il volo dell’aquila), ma che manifesta il responso finale per via intuitiva, per un contatto entusiastico con la divinità. L’uso del verbo mantèuo ('io profetizzo' v. 172) indica la piena consapevolezza, da parte di Elena, delle proprie, momentanee, capacità oracolari. Come Circe, anch’ella, che non è una ‘professionista’ della mantica ma che dimostra di conoscerne le leggi, fornisce al figlio di Odisseo un’indicazione sul prossimo futuro.
Non molto più ampio risulta, infine, lo spazio riservato ad un’ultima consonanza fra le abilità di Circe e quelle di Elena. Ai vv. 571-574 del decimo canto dell'Odissea si insinua la sensazione che Circe sappia rendersi invisibile all’occhio umano, provocando un certo sgomento nei suoi ospiti quando riappare nei pressi della nave («Circe era giunta presso la nera nave e aveva legato un montone e una pecora nera sfuggendoci con abilità: chi potrebbe vedere un dio spostarsi se questi non lo volesse?»). Un’analoga reazione coglie il servo frigio che, nell'Oreste di Euripide 1491-1498, descrive l’aggressione di Oreste e Pilade ad Elena e l’improvvisa scomparsa della regina di Sparta:
L’afferrarono come Baccanti in corsa senza tirso
che afferrano un cucciolo montano: di nuovo
piegarono in avanti la figlia di Zeus per sgozzarla
ma lei scomparve attraverso le pareti della casa,
O Zeus, o Terra, o Luce, o Notte, grazie a qualche incantesimo
o per le arti di un mago o perché sottratta dagli dèi.
Non so cosa sia accaduto dopo.
Sebbene C.W. Willink sia convinto che Elena venga uccisa da Oreste e che la sua sparizione avvenga per opera di Zeus (come rivela Apollo ai vv. 1633-1634) solo successivamente alla morte, e M.L. West escluda un riferimento di Eur. Or. 1497 al passo odissiaco sopraccitato in cui vengono descritte le arti farmacopoietiche di Elena, la spiegazione di tale prodigio in relazione alla facies magica di Elena risulta indubbiamente affascinante, soprattutto in virtù del raffronto con l’invisibilità padroneggiata da Circe, che, come Elena, ha un’ascendenza divina.

D. G. Rossetti, Elena di Troia (1863)


C.M.
NOTE:
[1] L'immagine non rappresenta Elena, ma la ripropongo in quanto scelta da M. Bettini e C. Brillante per la monografia sul personaggio da loro curata (Il mito di Elena. Immagini e racconti dalla Grecia a oggi, Einaudi 2002).
[2] Un hapax (definizione completa hapax legòmenon) è un termine che si incontrano una sola volta nell'intera tradizione letteraria di riferimento.
Questo post è la sintetica riduzione di uno studio che ho personalmente condotto sulla magia e sulle sue protagoniste all'interno della poesia greca antica e che ha costituito la mia tesi di Laurea magistrale, intitolata Thelktéria. Personaggi femminili, oggetti e parole della magia nella poesia greca da Omero all'età ellenistica. Si tratta del settimo appuntamento con questo ciclo di articoli, dopo quelli dedicati a Circe, a Medea (parte I, parte II e parte III), a Deianira e a Fedra. Rimango a disposizione per chiarimenti bibliografici.

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