Incantesimi antichi: Medea III - Menzogna e Sortilegio

Creato il 01 marzo 2014 da Athenae Noctua @AthenaeNoctua
Siamo giunti all'ultimo appuntamento con Medea, la terribile Donna-serpente e Signora dei filtri. Abbiamo visto come la maga sia in grado di compiere magie benefiche, come quella con cui protegge Giasone, garantendogli la salvezza nelle prove imposte da Eeta e la successiva conquista del Vello d'oro, ma abbiamo assistito anche a incantesimi terribili, come la morte di Glauce e l'annientamento di Talos. I due aspetti si uniscono in un'ultima tipologia di magia documentata dalla tradizione per questo personaggio, una pratica che, se diffusa, porterebbe al fallimento tutte le case cosmetiche del pianeta. Medea, infatti, padroneggia l'arte del ringiovanimento.

Anfora con il mito delle Peliadi: la prova dell'ariete


La cura di giovinezza è il tema cui si rifà la più antica testimonianza iconografica del personaggio di Medea, un'incisione su un'olpe etrusca di bucchero datata al VII secolo a.C. e conservata al Museo di Villa Giulia a Roma. In questa raffigurazione, sotto riportata nello 'srotolamento' piano, Medea è ritratta con addosso un enorme mantello che ricorda l'abbigliamento di Maria Callas nel film di Pasolini e con in mano uno strumento simile ad una bacchetta; è chiaramente identificabile grazia alla dicitura 'Mataia' posta sull'orlo stesso dell'abito; davanti a lei è posta una singolare figura di uomo che emerge da un contenitore simile ad un calderone. La tradizione attribuisce a Medea due sortilegi di ringiovanimento riusciti: quello compiuto su Giasone e quello a beneficio del padre di lui, Esone, di cui abbiamo una testimonianza nel poema dei Nostoi (frammento 7 Bernabé):
Allora rese Esone un caro giovane nel fiore degli anni
privandolo della vecchiaia con azioni sapienti,
bollendo in calderoni d’oro molti farmaci
Sappiamo, dunque, che anche in questo caso, Medea si avvale dei suoi intrugli magici. Le modalità attraverso le quali si snoda tale incantesimo, però, sono ricostruibili dai riferimenti ad un terzo episodio, risoltosi in un massacro.

Motivo dell'olpe di Villa Giulia (VII sec.)


Al rientro di Giasone a Iolco, Pelia, lo zio che ne ha usurpato il trono, è ormai vecchio e le sue figlie, le Peliadi, si lasciano affascinare dai poteri di Medea, la quale, fingendosi una sacerdotessa di Artemide, garantisce loro di essere in grado di far ringiovanire il loro padre. Solo Alcesti appare diffidente, ma Medea adotta due sotterfugi per convincere le sorelle: dapprima simula il proprio ringiovanimento, forse togliendosi del trucco dal volto, poi - ed è questa la prova determinante - si fa portare un anziano ariete, lo fa a pezzi e ne getta i brani in un calderone, aggiungendovi i suoi portentosi phàrmaka. Poco dopo, dal calderone esce un giovane agnello.
Che la magia sia realmente avvenuta o che, come vuole qualche autore, Medea abbia solo operato un illusionismo facendo credere alle Peliadi di aver riportato in vita l'animale (ogni mito presenta ormai le sue interpretazioni razionalistiche, che, in simili contesti, si smentiscono da sole), ormai è fatta: le figlie del sovrano non esitano a portare il padre al cospetto della maga, a preparare il calderone, a massacrarlo e a gettarne i pezzi nel recipiente.
La descrizione delle aspettative di Pelia sopravvive grazie ad un'opera medievale, il Christus Patiens (XI-XII sec.), un centone tragico che raccoglie versi della tradizione precedente, in particolare da Eschilo, Euripide e Licofrone, ponendoli in un contesto completamente diverso; si tratta di una testimonianza indiretta e mediata, ma J.A. Hartung, nel suo testo Euripides restitutus (1843, p. 69) ha dedotto che l'autore dell'anonimo componimento si è ispirato alla tragedia Peliadi di Euripide,  di cui ci restano solo scarsi frammenti.
Cuocendo il mio corpo in un calderone,
con prudente attenzione mi sorprenda in modo insolito:
privandomi del dolore della vecchiaia
e della sofferenza da sempre funesta per l’uomo,
mi rendano un caro ragazzo nel fiore degli anni,
perché ora una maligna anzianità logora ogni cosa.
Le consonanze col mito di Medea sono principalmente nella menzione del calderone, che fa parte del corredo magico di Medea anche nelle Argonautiche e nel fatto che, secondo Diodoro (IV, 52, 2), lo stesso Pelia avrebbe insistito per sottoporsi al sortilegio, dato che spiegherebbe la prima persona usata nel testo proposto. Il calderone, che nella tradizione successiva diventa uno degli strumenti per eccellenza delle streghe, ricorre, indicato con i termini lébes, dépas o kràter, in relazione a tutte le maghe prese in considerazione: in un dépas dorato Circe prepara la sua bevanda malefica (Od. 10, 316), in un lébes Deianira tiene il sangue di Nesso che userà per incantare Eracle (Sofocle, Trachinie, 556) e in un kràter Elena mescolerà il portentoso filtro della dimenticanza per Telemaco (Od. 4, 222).
Medea usa il calderone per governare come una divinità le fasi della vita dell’uomo, alterando lo scorrere del tempo e i limiti stessi fra la vita e la morte; in tal senso, ella non è diversa da Rea e da Demetra, che, con gli stessi mezzi, resuscitano, rispettivamente Pelope, fatto a pezzi e cotto da Tantalo, e Dioniso, smembrato e cucinato dai Titani. Come infatti ricorda C. Isler Kerényi, «il calderone evoca demarcazioni cosmologiche fondamentali: fra età primordiale ed età presente, fra mondo divino e umano, fra vita e morte e fra morte e vita» (Immagini di Medea, p. 121).

Medea (a sinistra con il cofanetto dei phàrmaka) e le Peliadi


Tutto è pronto perché l'incantesimo mostri i suoi effetti, ma accade l'inaspettato. Dal calderone, Pelia non esce più. Le sue membra continuano ad agitarsi nelle acque ribollenti del calderone. Forse Medea non ha usato i phàmaka corretti? Forse ha eseguito l'incantesimo in maniera sbagliata? No, una maga del suo calibro, addestrata da Ecate in persona, non può cadere in errore: ella ha semplicemente mentito e commesso un atto sanguinoso per amore di Giasone, che, di lì a pochi anni, non esiterà a voltarle le spalle e a trasformarla da amante devota e pronta a tutto a terribile strega venuta dalla terra dei barbari.
C.M.
NOTE:
Questo post è la sintetica riduzione di uno studio che ho personalmente condotto sulla magia e sulle sue protagoniste all'interno della poesia greca antica e che ha costituito la mia tesi di Laurea magistrale, intitolata Thelktéria. Personaggi femminili, oggetti e parole della magia nella poesia greca da Omero all'età ellenistica. Si tratta del quarto appuntamento con questo ciclo di articoli, dopo quelli dedicati a Circe e a Medea (parte I e parte II); seguiranno gli articoli dedicati ad altre maghe della mitologia. Rimango a disposizione per chiarimenti bibliografici. Devo precisare che alcune deduzioni e ipotesi sulle analogie fra gli incantesimi di Circe e Medea sono frutto di personali interpretazioni suffragate dallo studio delle fonti. I testi sono proposti in una mia traduzione.

Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :