Incanto in bianco e nero

Creato il 15 ottobre 2013 da Scribacchina

Stamattina è arrivato in redazione il contributo di un anziano lettore.
O meglio: è arrivato ieri pomeriggio, ma ero talmente presa dalle mie cose che non l’ho neanche visto.
Il pezzo è molto lungo, tanto che alla prima occhiata avevo già deciso che l’avrei tagliato – «come no, figurati chi legge un pezzo così lungo, nell’epoca dell’immagine mordi e fuggi». Considerazione fatta alla vivaddio, con quella superficialità obbligata che mi sta accompagnando da qualche giorno.

Nascosta sotto i fogli spunta una fotografia.
E’ un bianco e nero, ad occhio e croce dev’essere di inizio ’900.
Ci sono tre signori di mezza età dall’aria simpatica, con dei bei baffi.
Guardano l’obiettivo.
Due sono in piedi; il terzo, al centro della foto, è seduto su una sedia di vimini e regge una caraffa (d’acqua?). Le mani ben curate ma operose – le vedi, non sono quelle di un altolocato.
La location della foto è – pare – un bosco. Un bosco vero, non ricreato in studio, come usava all’epoca.

Mentalmente mando al diavolo tutto quello che sto facendo e mi perdo a leggere il contributo del lettore, una sorta di lunga didascalia della fotografia.

Siamo in una stazione termale bergamasca, nel 1928; i tre signori, seguendo la moda dell’epoca, andavano a “passare le acque”, cioè si facevano qualche giorno di vacanza alle terme.
Uno dei signori, quello con la caraffa in mano, era titolare di una bella pasticceria del mio paese, chiusa da talmente tanto tempo che io non l’avevo mai sentita nominare.
Il secondo signore, quello in piedi a sinistra, era il nonno del titolare di un negozio del centro, esercizio che in questi giorni sta chiudendo.
Il terzo signore era il nonno del lettore, all’epoca titolare del ristorante annesso al teatro – oggi non esistono più né ristorante né teatro. Il lettore racconta come negli anni ’20 imperassero l’operetta e l’opera lirica, e il ristorante provvedesse al servizio di ristorazione, spesso direttamente in teatro; addirittura, in alcune situazioni l’intera platea veniva trasformata in sala da pranzo seguendo l’usanza di Parigi del Café chantant. «Il Teatro, tutto in legno e circolare, era come una piccola Scala: così mi diceva mia mamma».

Non riesco a staccare gli occhi da questa fotografia e dalla sua storia.
Sono incantata, commossa.

Improvvisamente, le pagine da riempire di parole mi sembrano meno arcigne.

Vado e torno, giusto il tempo di un caffè.
À bientôt.


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