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Inchiesta Jeans: l’effetto consumato che uccide migliaia di operai

Creato il 08 ottobre 2011 da Spesacritica

Cari lettori voglio affrontare una questione etico-morale di cui si sta (finalmente) parlando parecchio in questi ultimi mesi,ossia la tecnica particolare con cui viene trattato il jeans per ottenere il famoso effetto “consumato” in alcune zone del capo (come cosce e ginocchia) che si chiama sabbiatura, nota anche come sandblasting.

silicosi Inchiesta Jeans: leffetto consumato che uccide migliaia di operai

La sabbiatura del jeans consiste nello spruzzare il jeans nuovo con un getto di aria compressa e sabbia, che consuma e schiarisce il tessuto rendendolo più morbido. Allo stesso tempo è anche una geniale tecnica di marketing perchè il tessuto trattato con la sabbiatura viene letteralmente consumato, e con la normale usura dovuta all’utilizzo del capo si capisce che si strapperà molto prima di un jeans non sabbiato, e se il capo ha vita breve il consumatore ne acquisterà quanto prima un’altro, garantendo al produttore maggiori introiti. Un capo sabbiato costa in media di più di un capo normale, ma perchè quindi spendiamo di più per un capo “già consumato“? Sebbene nessuno ci obblighi a farlo, una forte spinta viene indirettamente dalla voglia di seguire la moda del momento.

La questione più grave, però, non è questa: durante le operazioni di sabbiatura gli operai respirano gran parte della silice presente nella sabbia, ammalandosi così di silicosi, una gravissima malattia polmonare che porta inesorabilmente alla morte per via dell’assenza di una cura. A causa dell’enorme quantità di silice respirata, gli operai si ammalano di silicosi in pochissimo tempo (dai 6 ai 24 mesi, contro una media di 20 anni per i minatori).

La svolta viene dalla Turchia, altro paese ricco di fabbriche di jeans che effettuavano fino a qualche anno fa questo trattamento, bandito ormai dal 2009 grazie alla mobilitazione divenuta oggi di livello internazionale.

Purtroppo però, il problema non si è risolto, ma soltanto spostato verso paesi meno controllati e tutelati in materia di sicurezza come Pakistan, Bangladesh, Cina, Messico, Marocco ed Egitto, nei quali gli operai non vengono in nessuna protetti nè tutelati in ambito sanitario e di sicurezza sul lavoro: non vengono dotati di alcuna protezione durante i processi lavorativi e quando si ammalano, ed è inevitabile, attendono solo di morire. Se la sabbiatura fosse effettuata con le giuste protezioni o con metodi alternativi (schiarimento chimico, con la carta abrasiva o con il laser) non si farebbero ammalare gli operai, ma maggiori investimento in  termini di sicurezza vorrebbe dire per le aziende maggiori spese e minori incassi. Le griffes stesse spostano la produzione all’estero per risparmiare sulla manodopera. Perchè la vita di un operaio vale meno di quella dell’acquirente del jeans sabbiato?

Grazie ad alcune campagne di mobilitazione come Clean Clothes Campaign (Campagna Abiti Puliti) la situazione sta cominciando a cambiare: Dall’inizio della campagna nel 2010 produttori come Armani, Benetton, Bestseller, Burberry, C&A, Carrera Jeans, Charles Vögele, Esprit, Gucci, H&M, Levi-Strauss & Co., Mango, Metro , New Look, Pepe Jeans, Replay e Versace hanno via via annunciato la messa al bando del sandblasting dai loro stabilimenti. Ovviamente ci auguriamo che al comunicato stampa segua anche una concreta e dimostrabile azione come dichiarato.

Per ora l’attenzione si posa sul brand italiano Dolce&Gabbana che, a detta del portavoce italiano di abitipuliti.org  Deborah Lucchetti, ha rifiutato tramite lettera dicendo di non essere interessato a cambiare metodi di produzione, censurando anche censurato i commenti degli attivisti sul loro profilo facebook.

La questione è stata recentemente trattata anche dal programma televisivo Le Iene, con un interessante e toccante servizio in prima linea che vi consiglio di vedere. Ecco il link delvideo: VIDEO DE LE IENE SULLA SABBIATURA

Infine vorrei sottolineare anche che gli operai vengono sfruttati e sottopagati: un operaio può sabbiare in media 1200 jeans al giorno in cambio di uno stipendio mensile inferiore al ricavo della vendita di un singolo paio di jeans da parte del brand.

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