Altri osservatori italiani amano invece concentrarsi sullo zen, sulla straordinaria armonia dei giardini tuttora curati come opere d’arte viventi, sulla raffinata estetica, ma anche questi aspetti secondo me non bastano a spiegare chi siano i giapponesi oggi.
Poi un giorno si verificò qualcosa che mi aprì gli occhi. Mi trovavo a Osaka (città bruttina, ma con una vivace vita notturna) in una radio privata, ospite di amici che mi avevano presentato il dj. Ero nello studio radiofonico con questo dj che a un certo punto introdusse un gruppo rock, quattro ragazzi vestiti in uno stile “tipo-punk”. E in quel momento accadde una piccola magia: quando i rockers vennero presentati al pubblico che li ascoltava via radio, si inchinarono al microfono.
Non credevo ai miei occhi: quattro “selvaggi” punk con le creste e le borchie, che si inchinano a un microfono. Perché? Non erano in tv, erano in radio, non c’era nessuno a vederli! Nessuno a parte me e il dj che però stavamo dietro le loro spalle. A chi si inchinavano dunque? Al vuoto? Esatto.
Ci fu un attimo di silenzio in cui i radiospettatori poterono intuire che i quattro rockers li avevano silenziosamente salutati. La tradizione era più forte delle creste, delle borchie, del rock metallaro.
Un inchino, un microfono e una sala di registrazione vuota: ecco il Giappone.
(Quella che avete letto qui sopra è una mia rubrica MilleOrienti pubblicata tempo fa sul mensile Yoga Journal).