Sabato ho iniziato (e spero che stavolta sia quella buona, visto che i precedenti incipit sono tutti finiti nel cestino del PC) il primo capitolo del nuovo romanzo ancora senza titolo (anche in questo caso ho valutato diverse ipotesi e sono state tutte scartate. Oddio in realtà un titolo ce l’avevo ma temendo la scomunica l’ho accantonato!).
Avrei voluto proseguirlo domenica ma non avevo la concentrazione giusta. Sembravo uno zombie e quando sto così è meglio non creare niente (o rischio di concepire certe idiozie da far concorrenza ai folli). Così approfittando dei residui estivi sono andata al mare. Mi piace in questo periodo dell’anno passeggiare sulla spiaggia e ascoltare il rumore delle onde infrante a riva. Non so perché ma è come una nenia in grado di rilassarmi i nervi, di accantonare ogni pensiero negativo.
È la culla nella quale chiudere gli occhi e assimilare sensazioni.
Per scrivere devo vestire i panni di chi racconto. Piano piano sto indossando quelli di questi personaggi ancora allo stadio neonatale. Sono, diciamo, in una sorta di sospensione. Vedo, valuto, percepisco e affino.
Gabriele e Giulia. Su questo non ci sono dubbi. Si chiamano così. E poi ci sono Elia, Giovanna, Lorenzo e Tommaso uomo del passato.
Alcuni di loro sono nati storti. Altri lo sono diventati.
Si chiederanno se esiste ancora la possibilità di respirare tranquillamente.
Se possono credere nella speranza.
Chissà.
Foto di Elys.http://www.flickr.com/photos/desertidicioccolato/