Incontrando... Cristiano Cavina

Creato il 19 ottobre 2013 da Lalettricerampante
Sono seduta sul letto. Accanto a me c’è un libro aperto sulla prima pagina, quella del titolo, con il disegno di un pirata che mi guarda sorridente porgendomi un fiore. Vicino al libro ci sono alcuni foglietti sparsi, gli appunti che ho preso ieri sera durante l’incontro con l’autore, del romanzo e del pirata sulla pagina. Li ho riletti un paio di volte, prima di mettermi a scrivere, ho di nuovo riso e mi sono di nuovo anche un po’ commossa, proprio come ieri sera. L’autore è Cristiano Cavina e ho avuto la fortuna di conoscerlo e di sentirlo durante uno dei primi incontri de I Luoghi delle Parole, il festival letterario in corso a Chivasso di cui vi ho parlato qualche giorno fa.

Ho riletto gli appunti, vi dicevo, e mi rendo conto che qualunque cosa io scriva in questo post non riuscirà mai a rendere il giusto merito all'incontro di ieri e alla bravura, come scrittore ma soprattutto come narratore, di Cristiano Cavina. Intanto perché è uno scrittore molto particolare, con il piercing sul sopracciglio e un look da adolescente, che mette in difficoltà ogni insegnante delle scuole in cui va a parlare. Poi, sebbene possa tranquillamente vivere di scrittura, fa anche il pizzaiolo nel locale di suo zio, lavoro a cui tiene molto, e per il quale ha rinunciato anche alla serata di gala quando nel 2009 è entrato nella selezione del premio Strega (“scusate, non posso venire, mio zio c’ha due tavoli da venti e devo fare le pizze”).
Quindi arriva tutto tranquillo, forse anche un po' intimidito, si siede in mezzo a Davide Ruffinengo e Davide Ferraris della libreria Therese di Torino, e inizia a parlare con quel suo bell'accento romagnolo. Esordisce dicendo che le vite di tutte le persone hanno qualcosa di epico, siano esse i protagonisti delle Mille e una notte o i suoi compaesani di Casola Valsenio (un paesino in provincia di Ravenna). Perché non è necessario essere un personaggio per aver diritto a un racconto. Così come per poter scrivere non è necessario avere una laurea o essere un grande intellettuale. Serve il talento, certo, ma il talento è un fiammifero, qualcosa che brucia ma che si spegne immediatamente se non viene alimentato da della legna. E la legna sono le parole ma anche e soprattutto le cose da raccontare.
 Raccontavo per me, per salvare le cose della mia vita, il mondo che mi apparteneva
Cristiano Cavina continua a parlare e tu ti perdi nei suoi buffi aneddoti (tipo quando ha fatto un'intervista per Il Giornale con indosso una maglietta con falce e martello o quando la Dandini, alla premiazione del premio Strega, l'ha scambiato per il tecnico del suono) e nei suoi ricordi. Entri nella sua vita, ridi con lui e con lui ti commuovi.
Che poi è un po' quello che succede nei suoi romanzi, tutti pubblicati dalla casa editrice Marcos y Marcos (io ho letto solo il primo, Alla grande, che ha scritto mentre frequentava la Holden di Torino... per la quale ha sostenuto il colloquio di ammissione dopo due giorni di rave in Svizzera):  i suoi romanzi parlano sempre di lui, della sua vita da figlio di ragazza madre, cresciuto con una nonna che pilotava la vita di tutti da una poltrona ("scrivo per far sapere a mia nonna quanto le volevo bene") e un nonno un po’ sborone. Parlano della sua poca voglia di studiare, sebbene adorasse andare a scuola (un ITIS, quello descritto nel suo ultimo libro). Parlano del suo diventare padre, della paura di non essere all'altezza per non averne mai avuto uno. Parlano, insomma, di tutto il mondo che lo circonda ogni giorno. 
Non vi sto a raccontare tutto quello che ha detto, sarebbe davvero impossibile e per iscritto credo perderebbe anche un po' (insieme al toscano, l'accento romagnolo è uno dei miei preferiti!). Se ne avete l'occasione quindi, anche se magari non lo conoscete o non avete mai letto nulla di suo, andate a sentire un suo incontro. Ne vale davvero la pena!
Ma voi lo sapete quanto pesa un occhio umano?

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