Dopo una breve sosta nella città dei balocchi l’omino con gli occhiali ritorna transfugo per occuparsi nuovamente di amore e tradimenti, di sogni ed illusioni, di uomini e di donne sullo sfondo di una città diventata una specie di succursale di un nuovo modo di pensare, più vicino ad un carosello artistico che ad un laboratorio di idee. Una scelta visibile innanzitutto nella mancanza di un personaggio forte, capace di produrre e catalizzare spunti drammaturgici, qui sostituiti da una pluralità di caratteri che replicano senza variazione di sorta i meccanismi di un intreccio già visto e destinato a concludersi con un finale largamente anticipato nell’incipit dalla citazione shakesperiana “la vita è piena di rumore e di furore e alla fine non significa nullaTanto rumore per nulla”. Caratteristica, quella dell’originalità di cui il regista aveva sempre fatto a meno, trasformando la mancanza in un alternativa (la commedia umana è prima di tutto un giardino di vizi e virtù e successivamente il racconto della loro storia) fatta di battute fulminanti e paradossi esistenziali, di collisioni sbeffeggianti ma anche dolorose, dove in ogni caso intelligenza e buon umore ne uscivano sempre vincitori. Niente di tutto questo avviene in “Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni”, in cui partendo dalle pene d’amor perduto di una delle protagoniste, una moglie abbandonata dal marito per una donna più giovane, assistiamo ad una ronda di relazioni (sentimentali) che si innescano e si sviluppano all’insegna di un insoddisfazione esistenziale che ha i toni chiaro scuri dell’Allen da trasferta. Alla solita scorpacciata di belle donne, alle quali il regista newjorkese sembra sempre più avvezzo, afflitte come sempre da irrequietezza bovariana si oppone un campionario maschile artefice del misfatto che fa saltare il banco. Ma questa volta la contrapposizione è forte di uno spessore psicologico appena accennato, con protagonisti che altrove avrebbero avuto ruoli secondari e che invece occupano scialbamente la ribalta (su tutti la coppia rappresentata da Sally/Watts Roy/Brolin) illustrando un mondo nel quale neanche la sublimazione dell’arte (lui è uno scrittore impegnato a riconfermare il successo del primo libro, lei una talent scout di un importante galleria d’arte) e dell’amore (le rispettive infedeltà non scioglieranno i rispettivi nodi esistenziali) riesce a dare un senso. Ed anche quando la storia si sofferma su binari secondari, come ad esempio l’amor fou tra Alfie e Sally, oppure quello tra Roy e Dia, lo fa con riferimenti ingenui (Sally è una prostituta che non ha perso il vizio) e scontati (l’attrazione di Roy si esplica in un vojerismo che assomiglia alla Finestra sul cortile), oppure con cambi di direzione talmente improvvisati da rasentare l’inverosimile. Ed anche l’espediente della voce narrante, già utilizzato dal regista per legittimare in chiave universale i motivi delle sue storie è in questo caso il tentativo di dare ossigeno ad una vicenda altrimenti impantanata nell’angusto orizzonte dell’aneddotto. Il resto sono abiti griffati, locali alla moda e liturgie modaiole di una classe troppo agiata per essere serena.
Dopo una breve sosta nella città dei balocchi l’omino con gli occhiali ritorna transfugo per occuparsi nuovamente di amore e tradimenti, di sogni ed illusioni, di uomini e di donne sullo sfondo di una città diventata una specie di succursale di un nuovo modo di pensare, più vicino ad un carosello artistico che ad un laboratorio di idee. Una scelta visibile innanzitutto nella mancanza di un personaggio forte, capace di produrre e catalizzare spunti drammaturgici, qui sostituiti da una pluralità di caratteri che replicano senza variazione di sorta i meccanismi di un intreccio già visto e destinato a concludersi con un finale largamente anticipato nell’incipit dalla citazione shakesperiana “la vita è piena di rumore e di furore e alla fine non significa nullaTanto rumore per nulla”. Caratteristica, quella dell’originalità di cui il regista aveva sempre fatto a meno, trasformando la mancanza in un alternativa (la commedia umana è prima di tutto un giardino di vizi e virtù e successivamente il racconto della loro storia) fatta di battute fulminanti e paradossi esistenziali, di collisioni sbeffeggianti ma anche dolorose, dove in ogni caso intelligenza e buon umore ne uscivano sempre vincitori. Niente di tutto questo avviene in “Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni”, in cui partendo dalle pene d’amor perduto di una delle protagoniste, una moglie abbandonata dal marito per una donna più giovane, assistiamo ad una ronda di relazioni (sentimentali) che si innescano e si sviluppano all’insegna di un insoddisfazione esistenziale che ha i toni chiaro scuri dell’Allen da trasferta. Alla solita scorpacciata di belle donne, alle quali il regista newjorkese sembra sempre più avvezzo, afflitte come sempre da irrequietezza bovariana si oppone un campionario maschile artefice del misfatto che fa saltare il banco. Ma questa volta la contrapposizione è forte di uno spessore psicologico appena accennato, con protagonisti che altrove avrebbero avuto ruoli secondari e che invece occupano scialbamente la ribalta (su tutti la coppia rappresentata da Sally/Watts Roy/Brolin) illustrando un mondo nel quale neanche la sublimazione dell’arte (lui è uno scrittore impegnato a riconfermare il successo del primo libro, lei una talent scout di un importante galleria d’arte) e dell’amore (le rispettive infedeltà non scioglieranno i rispettivi nodi esistenziali) riesce a dare un senso. Ed anche quando la storia si sofferma su binari secondari, come ad esempio l’amor fou tra Alfie e Sally, oppure quello tra Roy e Dia, lo fa con riferimenti ingenui (Sally è una prostituta che non ha perso il vizio) e scontati (l’attrazione di Roy si esplica in un vojerismo che assomiglia alla Finestra sul cortile), oppure con cambi di direzione talmente improvvisati da rasentare l’inverosimile. Ed anche l’espediente della voce narrante, già utilizzato dal regista per legittimare in chiave universale i motivi delle sue storie è in questo caso il tentativo di dare ossigeno ad una vicenda altrimenti impantanata nell’angusto orizzonte dell’aneddotto. Il resto sono abiti griffati, locali alla moda e liturgie modaiole di una classe troppo agiata per essere serena.
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