Incontro con Eric Heatherly: “La mia musica esprime me stesso. Non voglio omologarmi”. Venerdì 19 sarà a Milano

Creato il 17 novembre 2010 da Godblesscountry @massimoannibale

Eric Heatherly, nato in Tennessee 40 anni fa, in 10 anni di carriera di alti e bassi ne ha vissuti parecchi. Esordisce nel 2000 con una splendida cover di “Flowers On The Wall” degli Statler Brothers, pubblica poi il suo cd di esordio “Swimming in Champagne” per la Mercury Nashville ponendo le premesse di una splendida carriera. Poi la Mercury si ristruttura ed Eric, annusando puzza di ritardo nella promozione e nella produzione del suo secondo album, si trasferisce alla Dreamworks dove però glielo fanno incidere senza pubblicarlo. Abbastanza amareggiato, Eric lascia le major discografiche e tra non poche difficoltà decide di creare una sua casa discografica, la NashVegas Records, con la quale riesce nel 2005 a fare uscire il suo secondo lavoro “The Lower East Side of Life”. Da allora altri due album, sempre indipendenti, “2 High 2 Cry” e “Painkillers”.
Settimana scorsa CountryStateLine ha incontrato in esclusiva Eric Heatherly a Bulach, in Svizzera, all’indomani di una nuova distribuzione europea del suo album “2 High 2 Cry” in seguito alla quale ha intrapreso un piccolo tour europeo che, notizia recentissima, lo porterà anche in terra italiana, a Milano, per una esclusiva esibizione all’interno della terza edizione del Campionato Italiano di Country & Western Dance organizzato da AICOWED che avrà luogo venerdì prossimo alle 22 presso il Jolly Congress Center di Milanofiori.

Eric hai languito nel limbo di Nashville dall’uscita del tuo album d’esordio nel 2000, Swimming in Champagne, che sarebbe dovuto essere il lancio della tua carriera e invece è stato l’inizio di una serie di apparenti risalite e nuovi contratti seguita da un’altra serie di delusioni e giri a vuoto. Come descriveresti quel periodo della tua vita e come lo ricordi?
Vivere quel periodo in quel momento è stato scoraggiante. E’ stato un risveglio rendendomi conto che la musica è un business e non è solo musica. E poi mi sono impantanato in alcuni cattivi contratti e in alcune case discografiche che hanno chiuso e si sono fuse con altre case discografiche e i miei dischi ed il mio cuore sono stati chiusi dentro un caveau. Ma da allora – e sono passati quasi dieci anni – sono andato avanti , sono avanzato con decisione e ho continuato sempre a suonare la mia musica dal vivo in giro con la mia band anno dopo anno, ho continuato a scrivere canzoni e ho realizzato dischi per conto mio che alla fine sono andati bene, specialmente in Europa. Per come la vedo adesso non è tanto quello che è successo a me ma è quello che è successo per me, perché da questo ho imparato, ne sono venute delle belle canzoni e ora sono una persona migliore.

Alla luce di quello che hai passato, pensi che talento e determinazione sino fattori sufficienti oggi a Nashville per avere successo? E come è cambiata Nashville oggigiorno in confronto  a quella che ammiravi da bambino quando, con la tua prima chitarra, suonavi Folsom Prison Blues o paragonata a quella che ti circondava quando, a 29 anni, eri solito suonare dal vivo sul palco del Tootsie’s Lounge?
Talento e determinazione sono fattori molto importanti ma l’industria [discografica] è cambiata molto da anche solo dieci anni fa e molto di più se andiamo più indietro. Erano i giorni di Bruce Springsteen, Tom Petty… gente come loro… Tu scrivevi canzoni, mettevi insieme una band… ti mettevi in tour dal vivo e determinavi il tuo seguito e facevi parlare di te creando la tua atmosfera e le etichette ti scoprivano per quello che avevi costruito da zero. Oggi è un po’ diverso con [programmi come] American Idol  e con le case discografiche che vogliono solo avere in fretta il loro pezzo di successo e poi ti scaricano. Ha a che fare più con il look e con il suono che essi cercano in quel momento. Penso che alcuni dei giovani artisti di oggi devono scendere a compromessi rispetto a quello che vogliono essere; per qualsiasi cosa le etichette vogliano sfruttarli,  a loro importa solo essere famosi. Questa penso sia la più grande differenza.

E’ per queste ragioni che hai deciso di produrti da solo il tuo quarto album (che poi è stato solo il secondo ad essere uscito sul mercato), The Lower East Side of Life? Non è difficile fare tutto da sé?
Si, è stata quella la ragione per cui ho voluto incidere un disco per conto mio e l’ho creato da solo. Perciò ho dovuto sostenere le spese di incisione, di produzione… E anziché stipendiare dei musicisti [che suonassero con me, ndr] ho imparato a suonare altri strumenti musicali che ancora non sapevo suonare, come per esempio mandolino, armonica, basso, alcune tastiere, alcune percussioni… Ed è stato una gioia perché ho registrato quella canzone [The Lower East Side of Life] a casa mia  e la mia bambina aveva solo due anni e si era seduta sul mio grembo mentre io registravo quelle parti, quindi quell’incisione sarà sempre speciale per me, specialmente per questo motivo. Ma dovevo fare qualcosa di creativo e di artistico per uscire da quella depressione e da quella monotonia in cui le etichette discografiche mi avevano messo… Perché ero andato in tilt, ero in picchiata e non ero disposto a permettere che una corporazione fermasse la mia creatività!

Parliamo del tuo album The Lower East Side of Life. Nella canzone Judging Beauty tu parli del mondo come di un posto molto superficiale che troppo spesso giudica cose e persone dall’aspetto esteriore. Poi, nel bellissimo blues The Lower East Side of Life, tu dici che «…the lower east side…» is where «they play that country music the way they did before» [traduzione: la parte a sud est della vita è dove suonano quella country music nella maniera in cui facevano una volta, ndr]. Mi sembra che tu sia alquanto disincantato e depresso. Quanta parte ha avuto la tua frustrazione nella realizzazione della musica e dei testi di questo album?
(ridendo) Un sacco! Questa era la mia occasione – non lavorando per una major discografica – di sfogarsi, se vogliamo, e poter dire alcune cose che non avrei mai potuto dire se fossi stato sotto contratto con una major. Essere un artista indipendente mi ha permesso di esprimere me stesso e di non dovermi omologare o annacquare il prodotto a scopi commerciali o radiofonici. E a conti fatti, questo disco penso meriti non meno di quattro stelle al di fuori degli States – a livello internazionale – da un punto di vista critico. Quindi questa è stata l’ottima ricompensa, che abbiano apprezzato il mio franchezza e la mia onestà.

Cosa puoi dirmi del tuo album “Painkillers”? Non ho capito se è venuto prima o dopo l’uscita americana di “2 High 2 Cry”.
“Painkillers” è qualcosa che ho finito solo di recente, nel 2010. Anche questo è autofinanziato ed è uscito per la mia nuova etichetta (indipendente). A dire la verità ho cominciato a scrivere “2 High 2 Cry” nel 2007. Ho finito di registrarlo nel 2009. Poi ho cominciato a girare per supportare l’uscita di “2 High 2 Cry” negli Stati Uniti e durante quel periodo ho siglato un accordo con la AGR/Universal per l’Europa riguardante “2 High 2 Cry” perché non l’avevano ancora ascoltato qui, quindi è nuovo… nuovo per l’Europa. Ma negli States è uscito un paio di anni fa. Ma ancora… Gli unici che davvero l’anno ascoltato negli Usa dal momento che non è passato in radio è stata la gente che è venuta ai miei concerti. Quindi in sostanza sono in realtà entrambi ancora due cd nuovi, da questo punto di vista. Ma “Painkillers” è quello che ho finito ultimamente, e spero che sia il prossimo ad essere distribuito dalla AGR, dopo “2 High To Cry”.

Quali sono i tuoi idoli musicali e le tue radici ispirazionali?
Musicalmente, penso che se fossi sperduto su di un’isola e potessi scegliere il nome di solo quattro artisti da passare ai miei figli e dir loro “questi sono i quattro artisti che hanno fatto la differenza nel tempo” – e con ciò non voglio dire che queste persone hanno dato origine al loro genere musicale e neanche che furono innovatori originali: ma solo che hanno attratto, affascinato e sono stati i migliori in quello che hanno fatto nel loro genere e durante il loro tempo – sarebbero: Frank Sinatra, Elvis Presley, Michael Jackson e Steve Ray Vaughan. Per la esecuzione e la vocalità hai Sinatra; per il divertimento e la sensualità hai Elvis Presley; per il ballo, la scrittura, per l’esecuzione nel suo complesso e per l’internazionalità hai Michael Jackson; Stevie Ray Vaughan è puro, grezzo, è talento. Vorrei essere queste cose.

Adesso che “2 High 2 Cry” ha avuto una seconda distribuzione europea, quali sono le tue aspettative? Sei mai stato in tour in Europa prima?
Certo! Beh, ho sempre il massimo delle aspettative perché sono ottimista ma spero che questa seconda distribuzione vada meglio della prima e cosi siano i prossimi tour e viaggi europei. Sono venuto in Europa due volte in passato: una volta nel 2001, credo, e la volta dopo è stato nel 2005. E poi questa nel 2010. E spero di poter tornare molto presto qui per proseguire quello che abbiamo cominciato.

L’attore Billy Bob Thornton ha detto di te che tu sei “la miglior combinazione tra la Sun Records e il Grand Ole Opry che ho mai visto o sentito”. Io penso che questa sia una meravigliosa descrizione. Ti ci ritrovi? Come descriveresti altrimenti il tuo stile musicale?
Beh… Quando ho sentito quella citazione mi è venuto un colpo perché – hey! – Billy Bob Thornton è un tale appassionato di musica! Ama davvero le radici della musica così come adora immergersi nell’arte della recitazione, adora studiare tutti quelli che sono venuti prima di lui e quando l’ho sentito ho pensato che era fantastico perché quando dici che la Sun Records si fonde con il Grand Ole Opry vuol dire che il miglior rock si fonde con la migliore musica contry. E per me non c’è complimento migliore, perché è quello che sono: un ragazzo country venuto dal Tennessee a cui piace rendere tutto più rock sul palco e mischiare i due generi. Quindi penso che sia stata una descrizione perfetta e sono stato delice di sentirla.

Quali sono la cosa migliore e la cosa peggiore riguardo andare in tour per un artista country? Quanto è importante il lato dell’esibizione dal vivo nella tua carriera per te? Qual è il tuo rapporto con i fans?
La parte più difficile è, se hai una moglie o dei figli o qualcuno che per te è importante, essere via da casa. Specialmete quando vuoi essere con quella persona o con i tuoi bambini o chiunque sia… La parte più bella è che stai vivendo il tuo sogno, è quello che crescendo hai sempre voluto fare quindi non puoi davvero lamentarti perché sei stato tu a chiedere di fare questo e ci sei andato dietro. E i fan… quando ti apprezzano per essere venuto da così lontano per suonare la tua musica per loro e ti mostrano adorazione allora ne vale davvero la pena!

Spero che non dovremo attendere altri  4 anni per la realizzazione di un tuo nuovo album… Grazie mille per questa intervista Eric!
Beh, avete “Painkillers” già pronto da gustarvi! Quindi, il tuo desiderio è già stato esaudito!

©2010 CountryStateLine – Tutti i diritti riservati

Vorrei ringraziare Ed, Layla ed Emily per la collaborazione nella realizzazione di questa intervista

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