[Incontro con l'autore] Marina Bellezza di Silvia Avallone

Creato il 15 ottobre 2013 da Queenseptienna @queenseptienna

Titolo: Marina Bellezza
Autore: Silvia Avallone
Editore: Rizzoli
Anno:
2013
ISBN:
9788817069755
Formato:
libro
Lingua:
italiana
Numero pagine:
509
Prezzo:
€ 18,00

Trama: [dal risvolto] Marina ha vent’anni e una bellezza assoluta. È cresciuta inseguendo l’affetto di suo padre, perduto sulla strada dei casinò e delle belle donne, e di una madre troppo fragile. Per questo dalla vita pretende un risarcimento, che significa lasciare la Valle Cervo, andare in città e prendersi la fama, il denaro, avere il mondo ai suoi piedi. Un sogno da raggiungere subito e con ostinazione. Lo stesso di Andrea, che lavora part time in una biblioteca e vive all’ombra del fratello emigrato in America, ma ha un progetto folle e coraggioso in cui nessuno vuole credere, neppure suo padre, il granitico ex sindaco di Biella. Per lui la sfida è tornare dove ha cominciato il nonno tanti anni prima, risalire la montagna, ripartire dalle origini. Marina e Andrea si attraggono e respingono come magneti, bruciano di un amore che vuole essere per sempre. Marina ha la voce di una dea, canta e balla nei centri commerciali trasformandoli in discoteche, si muove davanti alle telecamere con destrezza animale. Andrea sceglie invece di lavorare con le mani, di vivere secondo i ritmi antichi delle stagioni. Loro due, insieme, sono la scintilla.

L’autrice: Silvia Avallone è nata a Biella nel 1984 e vive a Bologna, dove si è laureata in Filosofia e specializzata in Lettere. E’ sposata dal 2010. Nel 2007 ha pubblicato la raccolta di poesie “Il libro dei vent’anni” (Ed. della Meridiana), vincitrice del premio Alfonso Gatto sezione giovani. Sue poesie e racconti sono apparsi su “Granta” e “Nuovi Argomenti”. Ha scritto per il “Corriere della Sera” e per “Vanity Fair”. Con il suo romanzo d’esordio “Acciaio” (Rizzoli, 2010) ha vinto il premio Campiello Opera Prima, il premio Flaiano, il premio Fregene, e si è classificata seconda al premio Strega 2010. Il romanzo è stato tradotto in 22 lingue e in Francia, con “D’Acier”, ha vinto il Prix des lecteurs de L’Express 2011. Da “Acciaio” è tratto il film omonimo, per la regia di Stefano Mordini, con Michele Riondino e Vittoria Puccini, prodotto da Palomar.

Incontro con l’Autore: Il romanzo è uscito il 18 settembre; il 22 è stato presentato a Pordenonelegge 2013, il 23 a Trieste fino ad approdare, ancora fresco di stampa, alla libreria Lovat di Villorba martedì 24 settembre.

L’autrice ha voluto sfatare il mito del secondo romanzo che è sempre (ma a questo punto anche il terzo e il quarto) una sorta di esordio nel quale ci si gioca tutto.

Tema di fondo è il ritorno alle origini, alla propria terra, al tessuto sociale di un tempo lontano ma non perduto. Acciaio, scritto nel 2009, navigava ancora in un’Italia godereccia, almeno nella fotografia scattata dai media, anche se nella realtà le cose mostravano più di una crepa. Nel 2012 vi è un’immagine diversa, l’Italia è un paese meno accogliente di una volta, ha cessato di essere la terra promessa di opportunità nuove e stimolanti. A farla da padrone sono i verbi dell’impossibilità, di quello che non si può (più) fare. L’unica alternativa sembra quella di fuggire “dai paesi tuoi”, di recarsi all’estero o di abitare le metropoli. Ecco l’orda di coloro che per realizzarsi si recano a Berlino o a Parigi, perché la vita e le occasioni si spostano altrove. Il romanzo racconta la storia di scelte diametralmente opposte ma simmetriche. Sono narrate avventure di resistenza da parte di chi, non volendo rinunciare a possibilità altrimenti negate, corre alla conquista del proprio Eldorado personale. Che può chiamarsi in mille modi: è Milano come Roma, è un pezzo di valle da ripopolare di nascosto, quando altri se ne vanno (sempre che non decidano, poi, di tornare).

Qual è il ritratto di coloro che, controcorrente, si ritirano sul confine e di chi sceglie di andarsene espugnando vette che sembrano alla portata di tutti?

Marina e Andrea esprimono i due poli qui evidenziati.

Marina è colei che si lascia incantare dalle promesse di grandi città, di Milano, di Roma, da quella che in fondo è la strada folle, impervia, di chi punta tutto su un antagonismo senza soluzione per sbaragliare qualsiasi concorrenza. È una delle tante forme di resistenza, il prendere al volo una occasione non campata in aria, il treno del successo e della visibilità assoluta.

Andrea, al contrario, risale la valle, quella che fu di suo nonno. Si domanda perché dobbiamo desiderare ciò che per decenni ci hanno imposto come desiderabile e, aggiungerei, sta franando sotto i piedi? Anche lui cerca il suo Eldorado, che è quello dei padri, di una generazione neanche tanto antica. Scopre l’esigenza di mettere radici da qualche parte, piuttosto che estirparle emigrando chissà dove. In parte il romanzo assume tinte sgorloniane. Tornare indietro non significa retrocedere come i gamberi, ma guadagnare una dimensione non troppo a portata di mano, la quale offre una chiave per riaccendere un motore che si è spento. In questo capiamo benissimo il senso dei titoli assegnati alle parti (Far West, Cowboy vs Cinderella, Eldorado). A ben vedere anche Andrea è molto competitivo, al pari di Marina vuole vincere a tutti i costi.

È evidente, anche solo di facciata, tutta una serie di corrispondenze tra l’uno e l’altro modo di affrontare tempi non certo luminosi. In ambedue i casi vi è una terra da conquistare, in primo luogo il proprio io personificato e personificante , il rispettivo mondo adulto.

In comune c’è moltissimo. Andrea arriverà persino a dirle, con rabbia:

Siamo la stessa cosa (…) Io e te siamo la stessa identica cosa (p. 449)

Andrea e Marina cercano, nel loro percorso, una forma di risarcimento. Per certi aspetti il risultato potrà risultare paradossale, il successo di Marina sembra a tratti risarcire più il padre:

Una figlia in televisione è una cosa che ti riempie di orgoglio, una figlia famosa che finisce sui giornali è una cosa che quasi ti ripaga di tutto. Che dà senso ai tuoi sacrifici. p. 122

Comune è il terreno della perseveranza, nessuno dei due getta la spugna. Entrambi hanno in fondo al cassetto un sogno, un ariete capace di sfondare il muro delle avversità. Andrea e Marina abitano lungo lo stesso fiume, anche se corrono su sponde opposte. L’occasionale convivenza risulta difficile per imprescindibili ragioni di scontro derivanti dalla necessità di comunicare su piani diversi, mitigate dal desiderio di ritagliarsi uno spazio comune.

Non c’è un bivio vero e proprio. È la somma delle vite di ciascuno a dare la direzione della Storia, quella dei grandi numeri che mette insieme tutti gli Andrea e le Marine del mondo. La Storia non dà giudizi morali, si accontenta di tirare le fila, di abbozzare una conclusione tenendo sullo sfondo le esistenze individuali. L’autrice giustamente preferisce tenere sullo sfondo la Storia piuttosto che le vite dei suoi personaggi, a uno dei quali intitola il romanzo.

La strada scelta da Andrea e Marina è giusta perché riguarda loro. Per Marina è il successo, per Andrea è la vita del margaro. Se avessero invertito i ruoli, e Marina fosse rimasta ad accudire la madre e Andrea avesse seguito negli States il fratello, avrebbero vissuto vite doppiamente sbagliate. Il punto di arrivo avrebbe coinciso da subito con quello di partenza, senza far tesoro di esperienze preziose, del viaggio compiuto. Sarebbero mancati i necessari contrappesi e contrappassi. L’ideale sarebbe stato avere il tempo di seguire l’una e l’altra via, traendone le conclusioni e la sintesi. Non si vive mai abbastanza per sperimentare ogni cosa. Essere in due è meglio, per ispezionare le possibilità e vivere un’esistenza di senso compiuto.

Tutto questo per dire che stabilire chi tra i due abbia ragione o torto è inutile. Dovevano crescere, diventare adulti insieme, fino a essere capaci di distinguere la realtà dal desiderio, fino a lasciarsi alle spalle un’età che non perdona niente, né a se stessi, né agli altri; fino a mettere da parte i cliché di un certo modo di essere come se non ve ne fosse un altro, e lasciarsi vincere dal desiderio di una riconciliazione profonda, priva di riserve; fino a diventare adulti senza l’ansia di mostrarsi tali.

A riassumere il libro possono contribuire i versi di Mandel’štam citati nel testo, “Non c’è nulla di cui serva parlare/non c’è nulla che occorra insegnare”. A essi  l’autrice fa eco in questo modo:

Ciascuno stava in silenzio nel suo piccolo angolo di mondo. Perché non c’era nulla da aggiungere, nulla da replicare alla vita che stavano vivendo.

Ciò equivale a dire che, se ci fosse stato, il grillo parlante di Pinocchio avrebbe, come sempre, pontificato a vuoto.

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