La settimana scorsa ho incontrato qui a Beirut Rania Zaghir, autrice libanese di libri per bambini, nonché fondatrice di una piccola casa editrice che pubblica testi illustrati per l’infanzia, e animatrice instancabile di eventi e iniziative in giro per il Libano per promuovere il libro e la lettura tra i libanesi e nei campi profughi siriani e palestinesi.
Per cominciare, prima di essere un editore io nasco come scrittrice di libri per bambini e ancora prima, sono una lettrice. In quanto autrice, ho lavorato per diverse case editrici locali e ho avuto diverse buone esperienze, ma anche tante negative. Per esempio mi è capitato che alcune case editrici non rispettassero il diritto d’autore, altre si erano appropriate degli originali dei disegni degli illustratori con cui lavoravano. Questi comportamenti chiaramente non mi piacevano per niente e così nel 2008 ho sentito il bisogno di avere più libertà, più spazio per esprimermi, più professionalità. Volevo avere più controllo su quello che scrivevo, più libertà d’azione nello scegliere gli illustratori con cui lavorare, la qualità della stampa, la promozione dei miei libri. E in Libano non puoi aspettarti tutto questo dalle case editrici già esistenti. Molte non avevano neanche il know-how che io ricercavo né il modello di business a cui io ambivo.
Al-Khayyat al-Saghir (Il piccolo sarto, ndr) è nata con l’obiettivo di specializzarsi in libri illustrati. Mi piace lavorare con gli illustratori libanesi e lavoro con i migliori in questo campo. L’idea della casa editrice è quella di posizionarsi sul mercato locale, regionale e anche quello internazionale. Siamo molto orgogliosi del fatto di essere una piccola e indipendente casa editrice che segue sempre il proprio istinto e persegue progetti un po’ folli. Forse a volte il nostro tempismo non è lo stesso di quello libanese ma noi diciamo sempre di voler creare il nostro momento.
Cosa vuol dire essere un’autrice e la proprietaria di una casa editrice in Libano in questo momento? Quali sono le sfide principali?
Sicuramente la distribuzione è una grossa sfida: in Siria, Iraq, Egitto e Libia ci sono sempre state delle grandi e importanti fiere del libro. Ora a causa delle gravi tensioni politiche di questi paesi, il mercato del libro regionale ha subito un tracollo e non solo: a chi importa ora di organizzare fiere del libro in questi paesi? Bè, a nessuno..
Quindi il mercato del libro arabo si sta rimpicciolendo sempre di più e la nostra sfida è quella di pensare a canali alternativi e creativi per distribuire i nostri libri. Il modo tradizionale, quello che passava per le fiere del libro regionali, ora semplicemente non esiste più.
So che una casa editrice deve pensare ai profitti ma a noi piace pensare che oltre a fare i libri, noi creiamo anche un pubblico di lettori. Vogliamo essere di ispirazione per i giovani lettori e per questo promuoviamo i nostri libri in un modo diverso dal solito, ovvero organizziamo campagne per la letture: penso ad esempio alla nostra iniziative Libraries of Hope (leggete più avanti…), nata per portare i libri ai rifugiati siriani e palestinesi ma che ora credo che serva a rendere i libri accessibili a tutti, a qualunque livello sociale. Essere ricchi in Libano, o appartenere alla alta-media borghesia per esempio, non significa automaticamente avere accesso ai libri.
Come decidete quali libri pubblicare? C’è un’idea di fondo, un fil rouge che collega tutte le vostre pubblicazioni, un messaggio che volete inviare ai lettori?
Questa è la vera sfida. Ricevo moltissime proposte di testi e anche da parte di illustratori ma a malincuore devo dire che alcuni scrittori arabi (ricevo proposte anche al di fuori del Libano) mancano di creatività. I loro testi sono molto didattici, sembra che vogliano insegnare ai bambini, più che intrattenerli. E io questi testi non li pubblico, non mi interessano. Ma questa chiaramente è la mia opinione personale. Sembrano testi comuni, storie già scritte centinaia di volte. Mancano di poesia. E se io non riesco a leggerle, figuriamoci un bambino quanto potrebbe annoiarsi.
Parliamo della vostra ultima pubblicazione “La pietra dei nani” (Hajr al-Aqzam), un libro islandese scritto da Aðalsteinn Asberg Sigurðsson che avete tradotto in arabo: come ne siete venuti a conoscenza?
È stato il traduttore a farcelo conoscere: Mazen Maaruf è un mio caro amico, nonché un poeta molto famoso, si è trasferito in Islanda qualche anno fa. Mi ha scritto per informarmi dell’esistenza di un fondo islandese per la letteratura dicendomi di fare domanda per ricevere i finanziamenti e così abbiamo fatto.
È un libro per ragazzi in realtà, ed è un progetto per noi innovativo per molti versi: prima di tutto è una traduzione e noi di solito pubblichiamo autori e illustratori libanesi, inoltre è rivolto ai ragazzi mentre i nostri lettori sono di solito bambini, e poi viene da un paese di cui non sappiamo nulla. Quando l’ho letto nella traduzione di Mazen l’ho trovato molto divertente e ho pensato che avremmo potuto riempire il vuoto che esiste in Libano riguardo alla letteratura per ragazzi.
Il libro è appena stato stampato e non abbiamo ancora organizzato neanche una presentazione, anche perchè l’estate è un po’ la stagione morta per questo tipo di eventi. Probabilmente lo presenteremo tra settembre e ottobre e cercheremo di avere anche il suo autore.
Che tipo di arabo usate nei libri?
Il modern standar arabic. È sempre fusha (l’arabo cosiddetto “classico”, ndr) ma è un linguaggio più vicino alla lingua colloquiale, un arabo semplificato e accessibile. Solo “Lamma ballat bahr” è scritto in dialetto libanese perchè è un libro di proverbi libanesi.
Parliamo un po’ delle abitudini di lettura dei libanesi: la lettura come pratica è incoraggiata nelle scuole?
Naturalmente no! Anzi, si fa di tutto per scoraggiarla.
Come mai?
Prima di tutto, il Libano è un paese molto piccolo ma con grandi problemi. Non c’è un “programma nazionale”, non ci sono risorse o fondi allocati per la lettura. A livello privato, e considera che qui nessuno va nelle scuole pubbliche perchè sono terribili, il sistema privato è molto più sviluppato, la lettura viene vista come un compito a casa: si fanno leggere i libri ai bambini, che poi devono riassumerli o rispondere alle domande sul testo. Inoltre i libri scelti dagli insegnanti sono i più noiosi, datati, difficili (il fusha di questi libri è tremendo!) e orribili del mondo. Ecco perchè i bambini sono scoraggiati, e così facendo li si fa diventare dei lettori riluttanti. Però, se parliamo di libri in inglese o in francese la storia è completamente diversa e per certi versi schizofrenica: i libri scelti dagli insegnanti sono belli e divertenti…
Che tipo di libri in arabo vengono proposti?
Non voglio darti i titoli perchè sarebbe terribile farlo, essendo io sia un’autrice che un editore!
Sono libri classici o più contemporanei?
Entrambi.
In base alla tua esperienza di autrice e visto anche quanto viaggi in giro per il mondo, cosa pensi che vogliano leggere i bambini di oggi?
Credo che vogliano leggere libri che li fanno ridere. È una risposta molto personale, lo so, ma credo che lo humour possa fare da ponte tra la lettura e i bambini in un modo molto più immediato e piacevole. Credo sia la chiave per il loro cuore. I bambini amano essere sorpresi quando leggono! In fondo sono come noi ma in corpi più piccoli! A te piacerebbe leggere libri noiosi? (ride, e io con lei..ovviamente no!)
Cosa leggevi da piccola?
Io sono cresciuta durante la guerra quindi leggere non era proprio una priorità. Inoltre a scuola non c’era una biblioteca molto fornita ma mi ricordo che leggevo libri che prendevo di una bellissima casa editrice palestinese basata a Beirut, che ora ha chiuso, che pubblicava libri incredibili (dar al fatah arabi). Ero una lettrice forte? Proprio no, è accaduto dopo. Vorrei avere una risposta poetica da darti del tipo: “Ohh, avevamo una bellissima biblioteca a casa” ma no, non ce l’ho. E per tornare alla tua prima domanda sul perchè ho aperto una casa editrice: uno dei motivi è stato il mio desiderio di ricostruire la mia infanzia in quanto lettrice. Volevo creare libri come quelli che avrei voluto avere da piccola.
Tra i libri che hai pubblicato c’è anche una co-produzione italo-libanese dal titolo “Follia di lettere”.
È stato tradotto a Bologna da una piccola casa editrice ma non so bene come è andata: hanno comprato i diritti, l’hanno tradotto e hanno creato il layout ma il libro non è mai stato pubblicato, forse per motivi economici. I diritti ora sono ritornati a me, e mi piacerebbe che venisse pubblicato davvero in Italia.
Oltre ad essere autrice e proprietaria di una casa editrice sei anche molto impegnata in attività di promozione del libro…
Sì, io sono una vera “donna-libro”! Perchè come casa editrice puoi pubblicare tutti i libri più belli del mondo ma se non vai in giro promuoverli, se non li leggi al pubblico, se non porti le loro storie verso i lettori, i libri (nel mondo arabo) verranno usati solo come ventaglio, tanto per dirne una! Non sono sicura di come vadano le cose in Europa…
Per tornare alla domanda, tu promuovi il libro e la lettura anche nei campi palestinesi e siriani, ti va di parlarci un po’ di quello che fai lì?
Sai, è molto difficile in Libano, dove sei circondato da ogni tipo di problemi, politici, sociali, economici, sentirsi vivi e sentire l’amore per la vita. Per sentirmi viva e continuare a provare amore per la vita io ho deciso di lavorare con i bambini che vivono in condizioni disagiate. Lavorare con loro mi dà moltissima gioia. Non mi interessa più produrre bei libri e poi andarli a promuovere da Antoine (la catena di librerie un po’ stile Feltrinelli/Mondadori, ndr) dove magari vengono 20 o più bimbi della borghesia beirutina. Ma lavorare con i rifugiati, siriani, palestinesi, iracheni o con i bimbi libanesi che provengono da contesti disagiati mi dà adrenalina e mi fa sentire viva.
E ti dico perchè: quando vai nei campi la prima cosa che si dà ai rifugiati sono cibo, coperte, letti. Ma i libri? Se continuiamo a dare a questi bambini solo cibo, letti e coperte, da grandi questi continueranno a ricercare solo le cose primarie! Ma quando dai loro i libri o li fai giocare con le parole, bè, potrebbero volere altro dalla vita e diventare in un futuro persone più consapevoli.
Qual è la risposta dei bambini quando vai da loro?
Sono felicissimi, e anche io. I libri sono miracolosi, lo sono davvero. Ecco perchè le religioni ci sono arrivate sotto forma di libri! L’ultima volta ho lavorato con dei bambini che venivano da Baalbeck, li abbiamo portati a Beirut, hanno mangiato con noi e poi li abbiamo portati al luna park. Alcuni di loro erano siriani, scappati dalla guerra, e non parlavano da più di un anno a causa dello shock subito. E lì, in quell’occasione, hanno cominciato a parlare! E sai perchè hanno ricominciato a parlare? Perchè sono stati trattati come bambini e finalmente dopo tanto tempo, hanno vissuto una esperienza piacevole, adatta alla loro età. Secondo me questo è un miracolo!
Oltre a Libraries of Hope, hai partecipato anche ad un’iniziativa che si chiama FoodBlessed…
Sì, è stata lanciata da una ong che lavora con i ragazzi di strada. Si tratta molto semplicemente di organizzare dei pomeriggi in cui si gioca, si mangia e si legge insieme. E alla sera doniamo ai bimbi i libri che abbiamo letto insieme.
Da dove vengono i libri che donate, chi li compra?
Principalmente privati e qualche ong.
Il progetto delle biblioteche circolari anche è molto interessante.
È stato organizzato da due ong statunitensi che mi hanno chiesto di lavorare con bambini e insegnanti nei campi profughi che stanno qui in Libano, ed è il secondo anno che facciamo il giro in alcuni dei campi: insegnamo ai rifugiati come e perchè è importante leggere i libri, e quanto è importante che siano i genitori a leggere ai propri figli.
I libri che portiamo poi vanno a finire in queste piccole biblioteche che si spostano da una classe all’altra.
Prossimi progetti?
Lanceremo il libro tradotto dall’islandese, e nel mentre sto scrivendo un nuovo libro su come si fa a “sbarazzarsi dei problemi”. E continuo a fare quello che amo, cercando di essere sempre onesta con me stessa. Cercare di produrre bei libri è una sfida non da poco. Come non lo è quella di essere una mamma di un bimbo di 2 anni, che è già un avido lettore!