Si parte in direzione scuola, all’alba (ma non troppo) come ogni sabato mattina, svegliandosi dentro al proprio letto.
Si fanno le canoniche tre ore di lezione, come sempre (alternando le verifiche di Storia ai Merry Men con due ore di spiegazione coi primini).
Si risolvono un paio di questioni spinose che riguardano gli Anatri (e che non sono proprio di stretta competenza).
Si prepara acceso e pronto, al suono della campanella, il powerpoint della ScuolAperta, per i colleghi del tour de force pomeridiano.
Si giuggiolano gli ingegneri, che prima ti trattengono, poi, per non sbagliare, ti danno un libro in testa, ti ricoprono di complimenti e infine ti spingono all’unisono: “Dai, su, che perdi il treno”.
Si prende un primo treno, e poi un secondo (acqua, pranzo e pipì nel mezzo) e in meno di due ore sei al nord.
Si sale sulla metropolitana 2, in tempo per scoprire – lo sceneggiatore è sottile, come è noto, molto – che BibCan è nella carrozza a fianco.
Si scende dopo tante, tante fermate, in un piccolo paese della cintura nord.
Si fa pipì, di nuovo, e ci si spazzola i capelli. Intanto arriva Bau (che, da attore, dovrà leggere) e tutti insieme si fa tappa al bar.
Si fa il punto della situazione, con tanto di scaletta. Nel frattempo, direttamente dall’Irlanda, fa in tempo ad arrivare Ohibò.
Si rivede una compagna del liceo (che son passati dieci anni), e poi la Chiquitita, e poi arrivano tutti: i genitori dell’Amico Scrittore, Thelma, Fiordifelce. E, in un cerchio affettuoso di agnizioni e abbracci, la ‘povna fa in tempo a riconoscere anche lei e lui.
E poi è un attimo, e si parte. Conversazione, analisi, dibattito: ma soprattutto lettura, tanta. Perché a parlare siano soprattutto, appuntite, eppure lievi, così come lui sapeva essere, le parole del suo libro.
Si finisce con un aperitivo tutti insieme, per smaltire le emozioni di un lungo pomeriggio. E poi a casa di Ginger, con MioCugino, Canta-che-ti-passa, Le Hero, il signor M., Piton-che-non-è-Snape, Amica, il Regista, Shirley, Livello del mare e tanti altri: perché solo con loro l’esistenza si può chiamare casa.
E poi si arriva a un’altra casa, e un altro letto (e un gatto a righe, e Ohibò in mezzo al soggiorno), che anche quello, però, si definisce “proprio”.
Si parte la mattina, con un altro treno folle. E poi, stazione nota, altro giro e altro cambio. Nel primo pomeriggio, la porta che tiaccoglie è già di nuovo casa.
La ‘povna ha passato 32 ore, schiette schiette, di incroci incredibili e compunti. Ha attraversato mondi, tempi, ambienti. Ha percorso soddisfatta la quotidianità che fa sostanza. Ha dato volti ad amici che erano ancora solo schermo. Ne ha rivisti altri che fanno parte di un passato remoto che ritorna. Si è accomodata nella solidità forte dei legami che sono suoi da sempre. Ha ripercorso storie che, a ricordarle, fanno insieme molto bene e tanto male. E adesso, sulla soglia della nuova settimana che la aspetta, si sente piena di energia, felice, pronta. Perché niente come i suoi amati treni, e il movimento, e la collisione armonica dei mondi vale, di per se stesso, a inchinarsi, come sempre, per la bellezza sfuggente della trama.