"Incubo bianco" di Lars Rambe: Twin Peaks va sottozero

Creato il 21 ottobre 2010 da Dejavu

E' tutta colpa di "Uomini che odiano le donne" se ora altri piccoli Stieg Larsson crescono come finferli e la Svezia è diventata improvvisamente la patria del giallo contemporaneo. Non per qualità forse, ma sicuramente per quantità visto che  da un anno a questa parte le librerie sono state investite da una valanga di "maestri del delitto" staccatasi proprio da lassù.
Lars Rambe è uno di loro, un fiocco di neve a caduta libera con il suo "Incubo bianco": il primo romanzo di questo avvocato datosi alla scrittura e forse uno dei pochi che leggerò a nord di  Copenaghen.
La Trama:  La vicenda è una specie di "Twin Peaks"  in un secchiello di ghiaccio, con una tregenda nevosa al posto delle assordanti cascate americane che non solo rende impercettibili le ultime parole famose delle vittime prima della loro morte ma ne  raffreda poi i corpi, deformando anche il contorno dei fatti e la loro comprensione.
Di nebbia ce n'è sin troppa in questo libro, se consideriamo la scelta dell'autore di distribuire i personaggi su due piani temporali diversi - dagli anni '60 ad ora - zompando alternativamente dall'uno all'altro per seguire le fila di un vecchio duplice omicidio e legarle ad una più recente esecuzione.
C'è di mezzo il solito giornalista rampante e innamorato del suo lavoro - Fredrik Gransjö - che guarda caso è anche assetato dalla voglia di verità più che di un buon stipendio. C'è la solita reginetta di bellezza che qui però si chiama Lisa Grondahl anzichè Laura Palmer e che viene ritrovata cadavere in un buco in mezzo al  lago ghiacciato, insieme a quello di colui che veniva considerato il matto del posto, Göran Svensson. E c'è persino il suo diario segreto che molto fa gola alle indagini e a causa del quale viene compiuto il delitto che ci tiene legati all'epoca più recente.
L'incipit è una partenza concitata con la quarta inserita e promette assai bene. Siamo nel 1965 e il paziente Göran Svensson sta fuggendo nottetempo dal manicomio di Strängnäs, eludendo la sorveglianza e avventurandosi  fuori, nella bufera notturna che avvolge la baia circostante l'ospedale. L'allarme parte tardivo e ovattato dal sibilo del vento le cui sferzate, tuttavia, non distolgono il fuggitivo dalla sua corsa sul pontile in direzione della sponda opposta del lago.
Sui lastroni che ricoprono il friabile e pericoloso tragitto compare d'un tratto anche Lisa Grondahl la cui presenza lì  e in quel momento resterà uno dei misteri più fitti sino alla fine del romanzo che progressivamente popolerà la scena del delitto di presenze sempre più numerose, apparentemente inspiegabili e sospette.
Viene da chiedersi se Lisa sapesse della fuga e ne fosse complice, o se avesse appuntamento con qualcun altro e l'arrivo di Goran fosse stato solo casuale. Ma ovviamente ci si domanda chi abbia ucciso Lisa e Goran dopo averli visti parlare animatamente in mezzo alla superficie ghiacciata e alla tormenta ...
Consigli per la lettura: "Incubo bianco" può diventare come il suo titolo se lo si  centellina troppo. Andrebbe letto in un fiato proprio per non correre il rischio di trovarsi con una gamba in sospeso tra le due epoche in cui si svolgono i delitti, confondendone situazioni e protagonisti. L'onomastica e la toponomastica sono affollate da nomi spesso impronunciabili per noi  "stranieri" che tolgono in parte il piacere di una lettura rapida e agevole. Tuttavia questa è una noia facilmente soprassedibile poiché, a un certo punto, si acquisisce una certa famigliarità con i luoghi. Il vero delitto che uccide il libro e i suoi buoni presupposti è la totale mancanza di suspence. L'eccesso d'introspezione, le azioni troppo ragionate e la ridondanza di certi contesti che tornano in modo superfluo rallentano quello che all'inizio si annunciava un esperimento tutto in discesa e il ritmo delle origini, una volta perduto, non torna più. Alcune comparse sono del tutto fuori fuoco e prive di una caratterizzazione come fossero informi pupazzi di neve. E sorge anche il dubbio che Stieg Larsson sia stato usato da Rambe come  suo rompighiaccio per creare una scultura a stampino, fresca come la notorietà del predecessore ma precotta come un pasticcio.
Detto questo, il giallo è piacevole perché tiene comunque desta la curiosità sul whodunnit (chi è stato?) e sul nesso tra passato e presente. E' una piccola macchina del tempo sulla quale passare un po' del vostro ma difficilmente tornerete a Strängnäs una seconda volta.

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