Di fianco a me e’ arrivata una nuova collega. No, non scaldatevi, fermate la ola da stadio: e’ indiana.
Ora, da qui gia’ mi aspetto il commento del pirla di turno (perche’ c’e’ sempre il pirla di turno che lo dice), il quale ammicca con la solita “eh ma quelle di Bolliwood”, come a dire che dài, albino, non e’ che adesso son tutte cesse: certe indiane sono delle popo’ di strafighe!
Si certo, lo so benissimo anch’io che pur se tradizionalmente dediti ad un inbreeding spinto, stiamo parlando comunque di un miliardo e rotti di persone, e che dunque per la legge dei grandi numeri e’ ovvio che ce ne sia qualcuna di decente (tipo… quelle di Bolliwood?). Ma gente, non venitemi a menare il can per l’aia: ho passato in totale piu’ di un mese in India, di anche solo vagamente fuckable ne ho viste zero. Z-E-R-O. Ho passato quattro anni in Australia, paese notorialmente zeppo di indiani. Ne ho vista UNA di figa, la ricordo, una volta. Me la ricordo perche’ e’ stata proprio l’unica. In india a donne siamo messi statisticamente maluccio, ecco: mettiamola cosi’.
Torniamo a noi. Insomma, e’ arrivata ‘sta tipa nuova. Ovviamente dove l’hanno messa a sedere? Ma di fianco a me, che domande, anche se fa parte di un ufficio diverso. Gaijin con gaijin, segregazione razziale? Ma cosa andate a pensare, suvvia: e’ solo un caso. Maliziosoni!
Beh, sentite questa. Io e un mio collega un giorno torniamo dal pranzo e ci imbattiamo in questa tipa, seduta alla sua scrivania, intenta a mostrare le foto del suo matrimonio a una segretaria.
Io nel totale menefottismo mi siedo al mio posto e inizio a giochicchiare con l’iPhone, mentre il collega si ferma e le chiede, “ah quello e’ tuo marito?”
Lei: “si”.
Lui: “dove l’hai conosciuto?”
albino in questo momento sprofonda sotto la sedia, ben sapendo che se ci sono due domande che non si devono mai fare ad un indiano, queste sono “ti va un hamburger?” e “dove hai conosciuto tuo marito/tua moglie?”.
Lei infatti sta zitta per un paio di secondi. Mi guarda, io faccio finta di niente, mentre mi cresce un baffo immaginario sotto il quale sto per iniziare a ridere.
Risponde: “l’ho conosciuto il giorno del matrimonio”.
Il mio collega cade dalle nuvole a velocita’ da autocombustione, mentre per un paradosso della termodinamica attorno a noi cade il gelo. A questo punto tenta di salvarsi in corner, facendo lo gnorri con una genialata: “ah. Ma com’e’ possibile?”
La tipa non fa una piega ma le si vede negli occhi che vuole morire (e prova tu a spiegare a un giapponese che ti sei mantenuta vergine per un tipo che hai sposato perche’ tuo padre ha fatto un patto con degli estranei di analoga casta… non nella disperazione di zitella verso gli -anta, ma nel fiore degli –enti!) dopo un po’ risponde, non so come: “mio padre si e’ incontrato col padre di mio marito, e hanno deciso per noi”.
Al che il giappo, sempre piu’ geniale: “ma sei contenta di questo?” (veramente Un Grande,nda). Lei risponde sincera (e d’altronde non e’ che abbia mai avuto scelta in vita sua): “si”.
Poi passa una folata di vento e rotola un rovo secco tra le scrivanie, tipo scena del duello in un film western, mentre io da una parte mi chiedo come si cazzo si fa a non sapere che il matrimonio indiano e’ un contratto tra famiglie che non prevede l’amore ma solo cucciolate di figli, e dall’altra mi chiedo come cazzo sia possibile che nel 2011 ci sia ancora gente che si sposa in questo modo.