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Da Manigliaromano

INDIGNADOS, assedio a Bankitalia

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da Il Manifesto del 13 Ottobre 2011 di Carlo Lania

La prima cosa che ti chiedono, quando gli parli, è di fare come loro. Di lasciarti alle spalle sigle e siglette di organizzazioni o movimenti per assumere un’identità collettiva molto più grande e impegnativa: quella del 99% della popolazione mondiale che oggi rischia di perdere tutto o quasi a causa delle crisi finanziaria. Una crisi che si sono stancati di pagare. «Il 14 dicembre ero in piazza contro il ddl Gelmini – spiega Maldina – , oggi non dimentico di essere una studentessa, perché la condizione in cui versa l’università la conosciamo tutti, ma penso anche che il movimento abbia fatto un salto di qualità riconoscendosi in una larga fetta delle popolazione che non incide più nella società perché si sta impoverendo sempre più».
Chissà se l’etichetta di indignados italiani gli sta bene davvero. Di certo del movimento nato in Spagna e che poi si è diffuso in Cile, a Tel Aviv e a New York ne hanno sposato le caratteristiche, dal modo di comunicare attraverso i social network, alla scelta di lasciarsi alle spalle vecchi steccati politici. «Tutti devono avere la possibilità di riconoscersi in quanto facciamo, perché la crisi colpisce tutti», aggiunge Luca. E se a New York «Occupy Wall Street», ha individuato nella borsa il centro di potere da colpire, a Roma la scelta è caduta inevitabilmente sulla Banca d’Italia e il suo governatore Mario Draghi, prossimo presidente della Bce. «Occupiamo Banca d’Italia» è la parola d’ordine della protesta portata ieri fin sotto le finestre di palazzo Koch in occasione di un convegno a cui ha partecipato anche il capo dello stato Napolitano. Alle tre del pomeriggio la zona è già presidiata da blindati di polizia e carabinieri. Impossibile avvicinarsi per chiunque e ai «draghi ribelli», come si sono ribattezzati i manifestanti, non resta altro da fare che radunarsi sulla scalinata del palazzo delle Esposizioni. In molti indossano mascherine con la faccia di un drago e portano cartelli che riassumono le parole d’ordine del movimento. «Draghi, meno mercati più welfare» ma anche: «I vostri tagli limitano il mio futuro». Lo slogan è «Yes, we camp».
Alle quattro e mezza del pomeriggio un piccolo corteo di circa 500 persone muove verso i blindati che sbarrano via Nazionale. I manifestanti chiedono di poter consegnare una lettera a Napolitano, al quale si rivolgono per «un atto di semplice giustizia»: «che non siano sempre gli stessi a pagare questa crisi. Siano piuttosto coloro che l’hanno prodotta». E propongono anche una loro ricetta che prevede la tassazione delle rendite finanziarie, delle transazioni e dei patrimoni mobiliari e immobiliari. «Le risorse ci sono, si trovano nel mondo della finanza», spiegano a Napolitano, aggiungendo che «c’è una generazione esclusa dai diritti e dal benessere».
Più che proteggere, i blindati sono una frontiera tra due mondi che, ammesso che l’abbiano mai fatto, ormai non si parlano più. Quelli che pagano e quelli che incassano. Da una parte giovani – l’età media di chi protesta è di 25/28 anni – stufi di fare sacrifici anche perché hanno già sacrificato il proprio futuro sull’altare del debito pubblico. Al punto che hanno aggiornato anche il vecchio Marx: «Indebitati di tutto il mondo unitevi», urla il cartello portato da una ragazzo. Dall’altra il vuoto si una strada protetta da poliziotti in tenuta anti sommossa, un’immagine che parla da sola. Musica e magliette colorate contro completi grigio scuro.
Si montano le prime tende e un gazebo, mentre sui blindati si appendono manifesti che riecheggiano slogan obamiani, come «Yes, we camp». Il riferimento, eplicito, è all’intenzione di accamparsi su via nazionale fino al 15, giorno della manifestazione europea degli indignati quando, secondo le previsioni, a Roma confluiranno decine e decine di migliaia di persone. Ben presto, però, arrivano anche i primi inviti della polizia a smobilitare.

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