Eppure, non so, c’è qualcosa che mi rende perplesso, qualcosa che rassomiglia a certe superfici scivolose oppure alla leggerezza di certe stoffe. Forse è solo che non capisco i miei tempi, ma il fatto che si accorra in piazza su ispirazione di quanto sta accadendo in Spagna, mi sembra ancora una volta occasionale e spia di una certa passività.
In Italia ci sono molti motivi di essere indignati, molti più che in Spagna, specie per i giovani travolti non solo dalla disoccupazione, ma dalla precarietà permanente e da governi che tengono palesemente bordone allo sfruttamento. Non da ora, ma da parecchi anni, molti più che in Spagna. E poi quell’italian revolution che corre sul web, fa tanto discoteca o marca di jeans e mi pare fatuo, anche un po’ desolante. Forse perché so da quali asfittici cespugli nasce questa apparente modernità, su quali risvolti di copertina può essere letta.
Si abbiamo avuto dieci anni e un milione di motivi per indignarci in proprio e far sentire la nostra voce, anzi per scendere in permanenza in piazza, per inventare forme di protesta. Invece anche questa azione vitale ha bisogno di suggerimenti esterni, di una miccia che sta altrove. Ha bisogno del coraggio di altri.
No, decisamente non credo nel flash mobbismo che va tanto di moda, non credo nei palloncini bianchi che hanno un senso in Spagna e uno molto diverso da noi. Si lo confesso, sono di altri tempi. Forse è per questo che comincio a sentirmi moderno.