INDILIBR(A)I – Il mio libro – Intervista a Cristina Di Canio

Creato il 29 aprile 2014 da Viadeiserpenti @viadeiserpenti

INDILIBR(A)I - Rubrica dedicata ai librai e ai lettori indipendenti

Libreria Il mio libro
Via Sannio, 18 – Milano
tel. 02 39843651
e-mail:  info@ilmiolibromi.it
www.ilmiolibromi.it

Questa volta siamo andati a Milano, in Via Sannio 18, a conoscere Cristina Di Canio della libreria Il mio libro. Qui è nata la libreria del buon romanzo, una sezione dedicata ai libri consigliati da scrittori, intellettuali, addetti ai lavori (riuniti in un comitato segreto). Qui ha preso piede il fenomeno del #librosospeso, un libro lasciato pagato per il cliente successivo.

di Anna Castellari

Quella che vedo, varcando la soglia di un piccolo negozio dal nome Il mio libro, color lilla – come la nuova metro milanese, “la lilla” – non è un posto normale. Non lo è, perlomeno, se seguiamo i canoni ormai consolidati di libreria in una città come questa, dove le catene stanno fagocitando tutto e tutti.
«Quando ho voluto aprire questo posto ho dovuto pensarci bene» mi spiega Cristina Lo Canio di fronte a una tazza di caffè fumante. «Io ho fatto una scuola di turismo e lavoravo in un’azienda, con contratto a tempo indeterminato. Avevo ventisei anni e la mia vita sembrava avviata. Ma di lì a poco avrebbero aperto una libreria grande in zona piazzale Lodi e io ho voluto mandare il curriculum. Almeno, diceva il mio compagno, tu farai qualcosa che ti piace, tra noi due. Ho lavorato lì per qualche tempo, ma mi rimproveravano il fatto che la mia indole mi portasse a passare troppo tempo con clienti che alla fine uscivano con un tascabile. Ed era vero: per le logiche di una catena, questo atteggiamento era inammissibile. Così, ho deciso di aprire una libreria tutta mia, ho visto l’insegna “affittasi” in questa strada, vicinissima al quartiere dove sono cresciuta, e ho deciso di aprire. Non prima, però, di essermi consultata con mia cognata e la mia nipotina, che poi è entrata nel logo della libreria».
La storia di Cristina mi è arrivata naturalmente, tra una battuta e l’altra, così come naturalmente la sto riportando in questo articolo. Non è stata un’intervista, ma una chiacchierata tra amiche, nella quale non sono mancati sorrisi, battute, scambi d’opinioni. Anche assieme a un’altra ragazza, lì per caso. Ed è giusto così: per riportare appieno l’atmosfera, per nulla radical chic, per nulla formale, per nulla intellettualoide della libreria, è bene cercare di raccontare al lettore quel che è successo una mattina del 18 aprile 2014, alla vigilia delle vacanze di Pasqua.
«La mia libreria non è solo fatta di quattro pareti riempite di scaffali e volumi, io ho sempre voluto che fosse un punto d’incontro per tutti gli appassionati di libri. Per questo, una volta al mese ci riuniamo per discutere di libri che ci appassionano. E credimi, c’è gente che viene qui apposta da Pavia». Non stento a crederlo. L’entusiasmo di Cristina, così come la sua semplicità diretta, sono travolgenti. Mi sono perfino ritrovata a dire: «Mi fai venir voglia di aprire una libreria nel mio quartiere». Perché io abito dall’altra parte di Milano, e qui da lei non è proprio dietro l’angolo. Ma non solo: il fatto è che via Sannio, vicina a Piazzale Lodi, non è certo una via di passaggio e shopping, e ci vuole una certa dose di coraggio per aprirci una libreria; e per mantenerla bisogna reinventarsi di continuo.
Tuttavia, un posto così soddisfa forse un bisogno che noi cerchiamo di affossare «tramite acquisti on line, che ci sembra ci facciano risparmiare tempo ma in realtà ci fanno perdere il contatto con la realtà». Con questo non significa che la libraia sia contraria al digitale e agli eBook; ciò che per lei è fondamentale è che venga mantenuto il contatto umano.
Per esempio, uno dei processi di fidelizzazione creati da quel vulcano che è Cristina è stato il comitato segreto, istituito da lei stessa, con scrittori, intellettuali, esperti del settore, addetti ai lavori, che consigliano i loro libri, «non importa che siano novità o ristampe, o semplicemente vecchi libri, l’importante è la sostanza», ma sotto pseudonimo, per non farsi riconoscere in quanto personaggi pubblici e non influenzare le scelte dei lettori.
Nasce così La libreria del buon romanzo, una sezione interamente destinata a questi volumi, che spesso sono disposti senza una logica contenutistica ma semplicemente secondo il gusto delle persone che consigliano i libri. Scherzando, dico: «Anch’io voglio far parte del comitato segreto!» e lei, serissima, mi risponde: «Non potrei nominarti, perché se lo facessi dovrei uccidere le nostre testimoni, perché il comitato altrimenti non sarebbe più segreto», e indica le due ragazze in libreria. Ridiamo.
Mentre parliamo, una ragazzina alle mie spalle fruga tra gli scaffali cercando un libro da leggere. È il primo giorno di vacanza da scuola, e lei viene a comprare un libro… è un piacere per chi fa il mio mestiere (sono redattrice in una casa editrice che fa libri per la scuola primaria).
La mia visita è nata perché sono venuta a conoscenza di un fenomeno che sta prendendo sempre più piede, quello del #librosospeso. Lo scrivo così, preceduto da un hashtag, ma forse non c’è niente di meno digitale che questa iniziativa. Un cliente di Cristina, un bel giorno, ha deciso di lasciare già pagato un libro che gli piaceva, alla maniera del “caffè sospeso”, tradizione napoletana per cui chi lo desidera può lasciare un caffè pagato a uno sconosciuto cliente successivo.
Tempo qualche giorno e questo piccolo gesto è diventato mania: tre milioni di utenti su Twitter hanno taggato il loro libro sospeso in una settimana, e forse ne hanno lasciato uno per un altro cliente anche loro. Dico “forse”, perché anche se ricevi un libro non è obbligatorio lasciarne un altro a un cliente. «Non voglio che diventi una catena di Sant’Antonio, né che qualcuno si senta obbligato a pagare un libro. Solo se lo sente, e se ne ha voglia. Per questo mi fanno sorridere quelli che parlano di questa iniziativa come di una cosa da radical chic. Se mi chiamano per chiedere come funziona questa cosa anche le librerie di provincia, significa che non è qualcosa di così vuoto e impossibile da realizzare, che una speranza per il piacere di donare un libro di carta c’è ancora».


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