Indiscrezioni sul bello. Prolegomeni alla fondazione di un’estetica del piacere 6/6

Creato il 20 febbraio 2015 da Criticaimpura @CriticaImpura

Jacques – Louis David, “Cupidon et Psyché”, 1817 (dettaglio)

Di VINCENZO LIGUORI

VI

Nel Fedro platonico, il tema dell’amore, insieme a quello del piacere legato all’erotica dei corpi, esce finalmente allo scoperto. L’affollata casa di Agatone in cui si svolse il celebre Simposio, è ormai alle spalle. Dopo la chiassosa irruzione di Alcibiade, soltanto il sonno in cui sprofondarono i convitati poteva mettere le cose a posto. Il tema dell’amore, così, rimase ridicolmente sospeso sulle loro bocche che, a turno, erano state chiamate a parlarne. Per il piacere, invece, come si sa, non vi fu tempo. In punta di piedi Socrate, l’unico rimasto sobrio, abbandonò il ronfante consesso e si dileguò nella notte. Il piacere lo incontrò più tardi, per strada, nel discorso di Lisia che il giovane Fedro premurosamente nascondeva sotto il suo mantello. L’entusiasmo del filosofo per quella pergamena è paragonabile soltanto a quello di Falaride dinanzi al toro di bronzo ricevuto in dono. Perciò, egli volle sapere, conoscere, vedere. E il giovane amico non disattese la sua curiosità.

Per il logografo Lisia, non v’è alcun dubbio: i piaceri della carne vanno consumati senza altri coinvolgimenti o ritrosie. La malattia dell’eros va tenuta a bada, a distanza e trattata come un qualunque altro malanno. Il maturo amante (erastès) che mette gli occhi su un giovane perché diventi suo (eròmenos), non accarezza idee o cesella concetti, egli va al sodo e passa ai fatti.

Tra Lisia e Socrate, invece, rimbalza il corpo del giovane Fedro. Su quel corpo i due esercitano la loro abilità oratoria per trasformarla con maestria in un’etica erotica. Essa prende la forma di un logos che aderisce, centimetro per centimetro, all’epidermide del curioso discepolo, infuocata più dalle parole del filosofo, che dai raggi del sole a picco sull’Ilisso.

[Fine]


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