Inediti di Fernanda Cataldo

Creato il 03 luglio 2015 da Wsf

Fernanda Cataldo di origine salentina ma che ho sempre vissuto nella svizzera francese, da poco mi sono trasferita a vivere nel Salento. Organizzo dei recital di letture e ho collaborato a degli spettacoli di teatro – danza. Le mie pubblicazioni di poesia: “io non parlo” “se non nevica piove” e il racconto “sì marta sono io”, su Lulu.com.

fino ad allora

l’inattitudine di quando ancora non si conosce la vita
la timidezza non guarisce mai completamente
ma un giorno o l’altro prende la parola per esteso
la soggezione in fondo rimane
nelle ultime immagini virate al rosso
in un vecchio vestito di raso
ho aspettato tutto questo tempo
perché ci parlassimo, stavo seduta e parziale
una luce quasi abbandonata
in un museo fantasticato di ritratti sublimati
e da un dolore misterioso
in piedi non avrei avuto nulla da dire
non sarei riuscita a creare quel vuoto
che si apre sulla memoria del nostro primo inverno
diverso da quelli passati fino ad allora
lo schizzo di un quotidiano stravagante
in quei quattro bicchieri colmi di neve
e sciroppo di amarena, eravamo un poco felici.

***

rose bianche

le certezze cambiano, il mondo cambia
sono molto più interessanti i ritratti dopo
dalle etichette rassicuranti messe lì
sul momento
ho conservato la tua fotografia, fantasticando
mi chiedo se dove dormi puoi ascoltare
il canto grave delle cicale nel manto di rose bianche
della tua ultima dimora e nel sole brutale
che continua a riscaldare il tuo nome
alla chaux è quasi sempre autunno dalla finestra
avvolge le gru, l’ardesia dei tetti
i campanili e la verde lastra della foresta
quel tanto d’avvertire che tutto
rimane ancora vivo
impressione bizzarra prima della salita
tagliato il filo di lana si crolla a terra sfiniti
con l’affannoso fiato.

***

idea geometrica

corremmo stringendoci per mano
sotto la luna fredda di febbraio
come nubi di seta
tra montagne silenziose

presto, nel buio non buio
si accese di giallo
la stradina del nostro esilio

era solo un flirt con la speranza
con le piccole belle cose
diventate ormai inutili.

***

segno particolare

immaginavo in modo vago
l’armadio delle mie antenate
colmo di lenzuola ricamate
splendido punto croce
accostato a ricorrenze afose
nonostante una vibrante vitalità
la notte selezionava un’impressione fugace:
flusso nello spazio
sequenza unica e curva assente
nelle pieghe di raso rosso
l’indolenza di ambienti sospesi
celebrati nei giorni defilati
apparentemente così poco rivoluzionari
nel mio strabismo da venere sensuale
mio padre serafico, raccontava delle storie
affiancate da investigazioni improbabili
là dove le lacerazioni non si percepiscono
speranza inalienabile di orizzonti migliori
angolature e la ricostruzione
realtà incomprensibile in una lingua deformata
come l’erba sorta tra le pietre
coniata da dolci fantasmi e che alla fine
l’iride scompone.

***

dimmi in quale sogno ti posso trovare

nulla è banale se non la razionalità architettata
logica della continuazione
memoria a scatti
la perfezione porta alla menzogna
svuotata da ogni fantasia
saremo vissuti per niente il pensiero uniforme
le parole misurate, il gusto degli altri tende la mano
con una carezza di solo andata
stritolata negli ingranaggi della storia
una tenaglia mortale blocca la sua circonferenza
nei dettagli generati dal caos
nella fiumana delle cause
ed è innaturale cambiare d’abito
mentre si alterna la voragine del mar morto
e la caligine esistenziale
il destino individuale un segno dove ci si riconosce
graffito indelebile sulla pelle
le pareti mentali ristrette ed elargite
da una personale convenienza
il diniego della singolarità nel centro del nulla
semmai disimparare il ruolo assegnato
annullando il calcolo geometrico
prima della nascita
l’atto del morso che tradisce il turbamento
in bilico tra piacere e angoscia
a strapiombo sul mito
l’inspiegabile, la polvere che il vento solleva
come un manto e copre gli oggetti
le figure incerte della notte che tornano
a risplendere in piena luce.

***

le rose di notte

la parola nel gelo del proprio senso
non è mai abrasiva falsifica l’apparenza
macchiata di sangue
realizzata sulla mappa geografica del sentire
rinuncia nella pratica per troppa superbia
spaventata dal probabile e dalla direzione inesistente
oggi tutto cambia
indovini che lascerai questa lucidità errata
la fede dell’istante condizionato
senza ferita né traccia
la disperazione non si lascia mai aggredire
si consuma da sé
se ne andrà senza dubbio nella tristezza
bisogna dare molto per ricevere poco
in veglia lo spirito e l’orecchio
gli altri sensi sollecitati
nell’irregolarità di un sogno surrealista
la natura è più tenace di ogni cosa
dove l’uomo non trova il posto adatto
lascia delle tracce transitorie
nello scorrere dei luoghi
e i paesaggi non hanno nulla di ostile
primo piano sull’infinito
nel colore delle rose durante la notte.

***

lo sguardo serafico

non spiare la ristrettezza del tempo
le sue coperte, il suo nutrimento
sulle vaste pianure moribonde
i topi corrono
bisbigliano
complottano
perché rimanga la peste
sul grano
sulla rosa
sulla felicità
dal sentore
perfezionato, noi
dormiamo
nell’eternità,
in un secondo
lo sguardo serafico
che silenzio!
le ossa si urtano deposte laggiù
il becchino raschia e gratta
quel che avanza
la carne e dopo
il grido.