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Infiltrazioni mafiose – La piovra a Reggio Emilia

Creato il 16 aprile 2014 da Margheritapugliese

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La provincia di Reggio Emilia conta circa 526 mila abitanti, terza a livello regionale dopo quella di Bologna e Modena. E’ “una realtà estremamente dinamica e florida” e “la diffusa ricchezza del territorio insieme alla forte crescita ed espansione del sistema economico, hanno costituito fattore di attrazione per attività speculative illecite da parte di elementi della criminalità organizzata e mafiosa”, come ha dichiarato nel 2010 alla Commissione Antimafia il Prefetto di Reggio Emilia, Antonella De Miro. Quest’ultima, Prefetto dal 2009 in questo territorio, ha risvegliato da un nefasto e antico torpore una terra che è stata, ed è tuttora, presa d’assalto e zona di conquista delle mafie, attraverso un lavoro fondamentale dal punto di vista giudiziario e anche in collaborazione con gli Enti locali .

Nel 2011 ha attivato con questi ultimi un protocollo d’intesa per la prevenzione dei tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti e concessioni dei lavori pubblici. In particolare in questa porzione di terra dell’ Emilia-Romagna, tra Brescello e Gualtieri, è nota la storica presenza della ‘ndrina cutrese (provincia di Crotone, ndr) Grande Aracri* che ha assunto l’egemonia del territorio. Questa ‘ndrina è stata “decapitata” nel marzo del 2013 con l’arresto di Nicolino Grande Aracri, capo dell’omonima cosca, con l’accusa di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso, in quanto avrebbe richiesto un milione e mezzo di euro alla titolare di un villaggio turistico di Cutro.

Nella provincia di Reggio Emilia , come ci racconta  il rapporto del 2013 della Fondazione Antonino Caponnetto*, sono presenti anche soggetti riconducibili alle ‘ndrine dei Barbaro, Strangio e Nirta di San Luca (RC), dei Bellocco di Rosarno, Gallo di Gioia Tauro(RC), dei Muto di Cetraro(CS) , degli Arena, dei Dragone, dei Nicoscia di Isola Capo Rizzuto(KR), dei Martino di Cutro. Presente anche la cosca crotonese Vrenna-Bonaventura, alleata della ‘ndrina Grande Aracri, secondo le dichiarazione del pentito di ‘ndrangheta Luigi Bonaventura.  E’ molto rilevante, inoltre il rapporto d’affari, ultra decennale, che si è creato tra le cosche calabresi e Cosa Nostra e la presenza molto attiva del clan dei casalesi, oltre al clan Belforte di Marcianise(Caserta). Questi dati descrivono la situazione di profonda infiltrazione mafiosa e di una situazione pericolosa per l’economia locale.

STORIA DELLA ‘NDRANGHETA A REGGIO EMILIA

Come ha documentato nel rapporto “Quaderni di città sicure” il prof. Enzo Ciconte *, la storia ha inizio con l’invio al soggiorno obbligato di Antonio Dragone, che all’epoca faceva il custode di una scuola elementare di Cutro. Egli arriva nel giugno 1982, appena scampato ad un agguato mafioso in Calabria. Nel reggiano arriva come uno sconosciuto ma portò con se la capacità di comando e di “rispetto” di cui era circondato (quando andò ad abitare a Montecavolo di Quattro Castella, frazione del reggiano, decine di giovani cutresi si recarono a riverirlo e omaggiarlo, ndr).

Ben presto però Dragone* venne arrestato e condannato a 25 anni di reclusione per omicidio, ma il suo comando continuò anche da dietro le sbarre. I Dragone avevano un “locale” di ‘ndrangheta, cioè potevano disporre di molti uomini, avere forza e peso nel panorama mafioso. In ragione di ciò, nel 1995 la Criminalpol, in un’informativa, scrisse che “a Reggio e a Modena la gestione del traffico di droga era nelle mani di un clan di cutresi”. I Dragone riusciranno, nel tempo, a realizzare un rapporto proficuo con la criminalità locale che si mostrò disponibile ad essere coinvolta in traffici illeciti e criminali.

Dalla metà degli anni Novanta fa il suo ingresso nel panorama ‘ndranghetista Nicolino Grande Aracri *, detto “Mano di gomma”. In verità, dalla metà degli anni Ottanta, con l’arresto di Raffaele Dragone, cominciò ad affermarsi come figura carismatica all’interno della cosca, ma nei primi anni dovette dividere il potere con il recluso Antonio Dragone. Grande Aracri comandava a Cutro, faceva il “supplente” quando i Dragone si spostavano al nord. Per raggiungere l’obiettivo di avere un ruolo egemone all’interno della cosca, l’ostacolo era rappresentato da Raffaele Dragone, figlio del boss in galera, che venne ucciso nel 1999 (Grande Aracri su assolto da questo addebito, ndr). Negli anni successivi ci fu una lotta interna alla cosca ‘ndranghetista che ha visto “vincitori” la famiglia dei Grande Aracri, oggi alleata con i Nicoscia di Isola Capo Rizzuto.

Per descrivere l’importanza criminale di Grande Aracri *, si può dire che il suo nome compare nel rapporto che ogni anno stila il Ministero dell’Interno sul fenomeno della criminalità organizzata. Viene descritta anche il suo “curriculum mafioso”, ossia ” da feroce killer al soldo di tradizionali capi clan ha recentemente costituito un’autonoma e forte cosca con oltre 60 affiliati ed un esteso territorio d’influenza”, fino ad arrivare a Reggio Emilia. Inoltre, l’ex sostituto procuratore nazionale antimafia, Vincenzo Macrì, lo considera “il personaggio di riferimento della ‘ndrangheta calabrese in Emilia.  

TRAFFICO DI DROGA

Secondo un rapporto della Dia*, datato 2008, la ‘ndrangheta  “nei traffici stupefacenti continua a costituire un profilo non marginale” e quello reggiano è “un mercato complesso dove convivono droghe di alto valore commerciale come la cocaina che può essere acquistata da chi ha determinati redditi e droghe sintetiche a basso cosso che possono essere acquistate da chi ha poco denaro da spendere. Sono due mercati che confinano ma non si sovrappongono”. Nel 2012 , secondo i dati del Ministero dell’Interno rielaborati da Libera* , nella provincia di Reggio ci sono state 157 operazione antidroga (8,4% del totale), quinta “classificata” a pari merito con Ferrara, dopo Bologna (che è prima) ,Ravenna, Rimini e Parma, per un totale di 74,54 kg di stupefacenti sequestrati.

APPALTI, EDILIZIA, ESTORSIONI E USURA

Ad Ottobre 2010 erano iscritte presso la Camera di Commercio di Reggio Emilia 13.246 imprese di costruzioni, di cui 10.756 sono artigiane *. Questo dato indica l’alto numero di imprese di costruzioni presso la provincia reggiana, uno dei più alti a livello nazionale. Questo è stato uno dei fattori che hanno incentivato la penetrazione delle organizzazioni criminali, soprattutto ‘ndranghetisti, oltre all’elevato grado di irregolarità nel comparto. In questo ambito economico la criminalità calabrese*  esercita una formidabile pressione, grazie al fatto che molti degli addetti provengono da Cutro e dai comuni della provincia crotonese, dunque conoscono e sono ben conosciuti. Bisogna ribadire il concetto che la comunità di Cutro che si è trasferita nel reggiano (10mila solo a Reggio Emilia, ndr) è, in gran parte, vittima degli ‘ndranghetisti,  poichè sono i primi che sopportano le continue angherie esplicite e implicite “fatte di parole, di insulti a mezza bocca, di sorrisetti, di sguardi obliqui che dicono più cose di tanti discorsi”, come ha scritto Enzo Ciconte nella sua ricerca “Quaderni di città sicure”.

I mafiosi rappresentano solo una minoranza e non sono identificabili nell’intera comunità cutrese. In essa, però, non ci sono solo vittime ma persone subalterne, spaventate, che hanno un comportamento di servilismo nella speranza di un’utilità futura, come nel caso della “processione” di impresari e imprenditori che portarono soldi ad Antonio Dragone * appena uscito dal carcere. In questi rapporti di commistione, rapporti e sudditanze inconfessabili, si annidano e si mascherano fatti illeciti come l’emissione di false fatture e la giustificazione dell’estorsione come pagamento di una fornitura o lavoro mai effettuato. Negli ultimi anni, come hanno fatto emergere varie indagini come l’“operazione Pandora” * della DDA di Catanzaro (in collaborazione con la Squadra Mobile di Bologna), c’è stata, talvolta, la trasformazione del tradizionale rapporto di soggezione passiva degli imprenditori  in un ruolo di collaboratori o associati delle cosche, con opportunità di reinvestimento di proventi illeciti.

Sono molti gli esempi di imprenditori, anche reggiani, che stipulano questi accordi, diventandone sottomessi. Come spiega il prefetto di Reggio Emilia in una delle sue Informative interdittive *, riguardanti un imprenditore facoltoso come Giuseppe Giglio *, originario del crotonese, che “ostenta un elevato benessere e contribuisce a finanziare le cosche calabresi ricavandone, a sua volta, vantaggi in termini di aumento del volume d’affari e reimpiego di somme illecitamente costituite”.  Oppure c’è l’esempio della Bacchi srl *, in cui il TAR di Parma ha bocciato il ricorso presentato dall’azienda Bacchi Spa di Boretto contro l’interdittiva antimafia emessa dalla prefettura di Reggio, che ha nuovamente bloccato il cantiere per la costruzione del terzo stralcio della tangenziale di Novellara (RE) e l’appalto di manutenzione delle strade provinciali del reparto Nord, perchè risulta che “la Bacchi Spa si sia radicata negli anni sul territorio emiliano, inserendosi nel settore degli appalti pubblici e intrattenendo rapporti commerciali e di affari con imprese gestite prevalentemente da calabresi e siciliani colpiti da provvedimenti penali e contigui, se non diretti esponenti, della malavita organizzata». Inoltre “Anche l’insieme dei rapporti di amicizia e interpersonali tra i componenti della famiglia Bacchi e noti malavitosi vicini alla ’ndrangheta trasferitisi al Nord, denota una trama di rapporti squisitamente elettivi, dunque non occasionati dalle inevitabili contiguità derivanti dalla conterraneità o dalla convivenza sullo stesso territorio, bensì scelti consapevolmente”.

Il 5 febbraio 2014,  una nuova interdittiva antimafia, emessa dalla prefettura contro “il pericolo di infiltrazione mafiosa”, ha colpito questa volta un’azienda nel cui consiglio di amministrazione siedono nomi piuttosto noti a Reggio Emilia. Lo stop per i lavori pubblici e per la ricostruzione post sisma, è stato dato all’azienda edile Sincre Spail . Come si legge in questo articolo, “Il presidente del consiglio di amministrazione della Sincre è Enrico Zini, già presidente del Rotary Club nel 2011-12, che attualmente figura nella commissione saggi dell’associazione, ex presidente della Cna e vicepresidente del consiglio direttivo dell’Ance reggiano, il collegio costruttori edili degli Industriali. Amministratore delegato dell’azienda è Saverio Bari, 44 anni, attualmente componente del consiglio direttivo dell’Ance reggiano. Consiglieri di Sincre Salvatore Bari e Glauco Zambelli, noto ingegnere già responsabile dei lavori per la messa a norma dello stadio Giglio nel 2008. “Sono stati acquisiti oggettivi elementi per ritenere comprovato il pericolo di tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della ditta Sincre Spa” anche attraverso episodi gravi, quali la distruzione dell’auto in uso al figlio di Glauco Zambelli ed altri tre veicoli usati da familiari di Salvatore e Saverio Bari”

Solamente nella seconda metà del 2010, il prefetto De Miro ha utilizzato “l’arma” delle misure interdittive nei confronti di imprese per le quali ha ritenuto “sussistere il pericolo di condizionamento di tipo mafioso” *. Fra queste si segnalano: la Vertinelli Srl (sede in Montecchio Emilia, RE), riconducibile alla ‘ndrina Grande Aracri; la Morrone Trasporti Srl (sede in Cadelbosco di Sopra, RE), riconducibile alla ‘ndrina Pane-Iazzolino di Belcastro (CZ) e il Consorzio Primavera (sede in Reggiolo, RE), riconducibile alla famiglia Dragone. Enrico Bini, presidente della Camera di Commercio di Reggio Emilia* , ha descritto la situazione ai commissari dell’Antimafia, indicando nel fallimento di un modello economico e finanziario, di un mondo imprenditoriale che non è stato in grado di difendere i propri imprenditori e li ha consegnati alla voracità mafiosa, al cosiddetto “esproprio mafioso”: “Molte imprese, che nel passato operavano agilmente sui mercati nazionali e internazionali, oggi stentano a sopravvivere e quando sono in evidente stato di bisogno, si presenta qualcuno che spesso in modo gentile e bonario, quasi amichevole, si propone per aiutarli a superare le tante difficoltà. Gli uomini della malavita si offrono inizialmente a risolvere il problema esistente e lentamente, quando non si è più in grado di pagare, diventano titolari dell’impresa nell’indifferenza generale. In questo modo entrano nel tessuto imprenditoriale  ed economico in genere sano, cacciando i vecchi proprietari e attribuendo la direzione a uomini e donne compiacenti. Accade spesso che le operazioni societarie avvengano con pagamenti in contanti senza lasciare alcuna traccia del denaro“.

I CASALESI A REGGIO EMILIA

Nella provincia di Reggio Emilia c’è il dominio della ‘ndrangheta ma le difficoltà delle ‘ndrine, i numerosi arresti dei capi più prestigiosi (ultimo Grande Aracri, ndr), gli omicidi nel crotonese e la ristrutturazione negli ultimi anni hanno fatto emergere uomini legati al clan dei Casalesi *.  Ne è esempio l’arresto, avvenuto il 30 dicembre 2010, di Francesco Caterino, da anni residente a Reggio Emilia, personaggio di spicco del clan camorristico. L’infiltrazione casalese nel tessuto imprenditoriale ed economico si è sviluppato grazie alla stipulazione di accordi con i mafiosi calabresi, come ha ricordato il pentito Domenico Bidognetti *, in quanto “ognuno impone il pizzo ai negozianti e ditte create in Emilia da emigrati della zona d’origine, riproducendo al nord omertà e regole di casa“. Nel 2009 la DIA indicava nella provincia di Reggio Emilia, Modena e Parma la presenza di “affiliati del clan camorristico dei casalesi, attivi nelle estorsioni, nel supporto logistico ai latitanti e nel reimpiego dei proventi illeciti in attività economiche”. La Direzione investigativa antimafia ha individuato nel mercato immobiliare e delle imprese l’ambito economico più infiltrato dai mafiosi campani *.

E’ importante anche il ruolo dei prestanomi, fiduciari dei clan, le “facce pulite” usate per riciclare i proventi di illecita origine nelle operazioni economiche e finanziarie. Uno dei casi più importanti fu quello, nel dicembre 2011, di Pasquale Pirolo che, secondo secondo l’accusa avrebbe attraversato la storia della camorra da Raffaele Cutolo a oggi riuscendo a cavarsela nelle guerre tra clan combattute in un arco più che trentennale (è passato anche dalla corte del presidente del Banco Ambrosiano Roberto Calvi e avrebbe usato l’auto blindata del consulente del Sismi Francesco Pazienza ai tempi della P2).

Anche in Emilia c’era una rete così ben integrata, poichè vi erano molti emiliani – compresi amministratori pubblici – che, definendosi oggi “ignari e sorpresi”, hanno comprato casa dai referenti della camorra residenti in zona. La società era intestata ad una trentunenne nata a Reggio, Elisa Capaldo, figlia di Nicola, 54 anni, di San Cipriano d’Aversa, altro destinatario dei provvedimenti. Quest’ultimo, secondo gli investigatori napoletani, fin dal 2002 sarebbe stato inserito da Pasquale Pirolo nella “catena di occultamento” i cui anelli sono per lo più società immobiliari (tra queste l’Espansione Commerciale, la Aenneci e l’Azzurra la cui eredità arriva fino in Emilia).

Sono stati sequestrati beni immobili e aziende per un ammontare di 50 milioni di euro. Tra le aziende c’è la Delta Costruzioni, che si trova a Fabbrico(RE) e di cui Nocera(altro prestanome del clan, ndr) è presidente del consiglio d’amministrazione. Sempre qui ha sede legale la Lor.Al Srl, sequestrata in toto, compresa la metà delle quote che detiene della Media 4 Srl di Reggio Emilia. E poi due aziende di Correggio, Il Cubo Immobiliare (gli investigatori hanno congelato il 27,5% delle quote e in questo caso Nocera è vicepresidente del Cda) e Media 3 Immobiliare con il casertano di nuovo al vertice della società.

BIBLIOGRAFIA (*):

- “Mosaico di mafie e antimafia. I numeri del radicamento in Emilia- Romagna” Dossier 2012. Libera con la collaborazione dell’Assemblea legislativa della regione Emilia-Romagna

- “Mosaico di mafie e antimafia. I numeri del radicamento in Emilia- Romagna” Dossier 2013. Libera con la collaborazione dell’Assemblea legislativa della regione Emilia-Romagna

-  “Per una Emilia-Romagna senza mafia”  Rapporto 2012 a cura della fondazione Antonino Caponnetto

- “Per una Emilia-Romagna senza mafia”  Rapporto 2013 a cura di Renato Scalia, consigliere della fondazione Antonino Caponnetto

- “Quaderni di città sicure 39. I raggruppamenti mafiosi in Emilia- Romagna. Elementi per un quadro d’insieme” a cura di Enzo Ciconte in collaborazione con la regione Emilia-Romagna. 2012


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