Forse perché il mosaico finale è davvero molto, molto complesso da risolvere nella sua interezza e probabilmente una lettura non basta e forse nemmeno due, anche perché soprattutto tutta la prima parte serve per familiarizzare con nomi, soprannomi (certi personaggi ne hanno addirittura più d'uno, come per esempio il padre di Hal), luoghi, situazioni e costruirsi le coordinate base della vicenda non è cosa di poche pagine. E questo, devo dire alla fine nel mio caso ha portato un po' di delusione (ma i finali di DFW non sono mai scoppiettanti perché non si assiste mai un vero e proprio climax nella narrazione), come pure, a tratti, ho trovato difficilmente sopportabili alcuni lunghi passaggi scritti in flusso-di-coscienza (quello, molto lungo, sul finale, a tratti è davvero pesante e lo penalizza ancora di più il fatto di trovarsi in prossimità della coda del romanzo, quando per forza di cose in qualche modo ti aspetti eventi/rivelazioni che però non arrivano, o almeno non come penseresti tu - ma questo succede con ogni cosa di DFW). D'altro canto, se si pensa che nella stesura che DFW presentò inizialmente all'editore il romanzo era lungo circa il doppio, obiettivamente aver auspicato ulteriori tagli - sebbene forse avrebbero potuto giovare alla lettura - è di difficile ragionevolezza.
Per i medesimi motivi risulta anche molto arduo parlare dei temi del romanzo, senza semplificarli troppo o senza dimenticarsene qualcuno. D'altro canto c'è in giro una smisurata saggistica sul romanzo, e non ho certo la presunzione di poter aggiungervi qualcosa di notevole qui, in poche righe e avendo letto il romanzo una sola volta, qualcosa insomma che non sia già stato detto. Mi mantengo dunque a livello pseudoinformativo, dicendo - a beneficio di chi non ne sa un accidente - che i poli tematici forti del libro sono due: la dipendenza, realizzata attraverso differenti agenti, come la droga, l'alcool, le medicine, ma anche attraverso l'intrattenimento, di cui Infinite Jest rappresenta la punta suprema (chi si imbatte nella visione di questo film, ne trae talmente piacere da non potersene staccare più in alcun modo, fatto increscioso che ne causa la morte e la trama - peraltro non molto marcata - ruota proprio attorno al recupero del master della cartuccia di questo film realizzato dal padre di uno dei protagonisti) e la competizione estrema che la società occidentale richiede agli individui che la popolano per emergere e realizzarsi, metaforizzata attraverso le vicende dei giovani tennisti della Enfield Tennis Academy (lo stesso DFW praticò il tennis ad alto livello per tutta l'adolescenza, dunque non è un caso che sia uno dei suoi argomenti feticcio).
Così, chi ha voglia e riesce ad arrivare in fondo a IJ, non può non rendersi conto di trovarsi di fronte, ancora prima che a un'opera letteraria unica, a un autore straordinariamente unico, uno che ti ipnotizza con l'obliquità del pensiero, uno capace di sovrapporre il paradosso supremo della vita, la tragedia e la commedia, nella medesima narrativa, come non mi è mai capitato di sperimentare prima in letteratura, uno in grado di evidenziare la filigrana della realtà e delle sue conseguenze (non dimentichiamo che IJ è del 1996) e prendersi gioco di essa con una lucidità impressionante (cosa dire di uno che, per esempio, si inventa l'abbandono del Calendario Gregoriano - e ti spiega anche per filo e per segno come e perché - a beneficio dell'introduzione dell'Anno Sponsorizzato, cosicché - per dire - invece del 2012, tu ti trovi nell'Anno del Pannolone per Adulti Depend?) uno - l'unico? - che ha tirato fuori forse qualcosa davvero di nuovo dalla narrativa negli ultimi quindici anni, uno che, come dice Zadie Smith in una introduzione a uno dei suoi libri, ha un cervello che viene voglia di frequentare.
Alcune citazioni sparse:
Le mattine peggiori, coi pavimenti freddi e le finestre calde e la luce senza pietà - la certezza dell'anima che il giorno non dovrà essere traversato ma scalato verticalmente, e andare a dormire alla fine della giornata sarà come cadere da un punto molto in alto, a strapiombo.
Se una donna appena attraente fa tanto di sorridere a Don Gately quando gli passa accanto in una strada affollata, Don Gately, come quasi tutti i tossicodipendenti eterosessuali, nello spazio di un paio di isolati le ha già confessato eterno amore nella sua mente, l'ha scopata, si è sposato e ha avuto figli da quella donna, tutto nel futuro, tutto nella sua testa, e sta coccolando un piccolo Gately sulle ginocchia mentre questa Sig.ra G. mentale spolvera in giro con un grembiule addosso che certe notti indossa senza niente sotto. Quando arriva dove doveva andare, il tossicodipendente ha già divorziato dalla donna e si sta battendo come un leone per la custodia dei figlio oppure è ancora mentalmente felice insieme a lei negli anni del tramonto, seduti insieme in mezzo ai nipotini con le teste grosse sotto il portico su un dondolo speciale modificato per sostenere la mole di Gately, lei con le calze elastiche e le scarpe ortopediche, ancora maledettamente bellissima, e non hanno bisogno di parlare per capirsi, e si chiamano 'Mamma' e 'Papà', sapendo che tireranno il calzino a poche settimane l'uno dall'altra perché nessuno dei due può assolutamente vivere senza l'altro, e questo è il legame che li unisce dopo tutti questi anni.
Ogni palla che atterra nella vostra parte di campo ma non siete sicuri se è dentro o fuori: datela buona. Ecco come rendervi invulnerabili da chi usa mezzucci. Come non perdere mai la concentrazione. Ecco come ripetersi, quando l'avversario ruba punti, che una volta corre il cane e una volta la lepre. Che la punizione di un gioco poco sportivo è sempre autoinflitta. Provate a imparare dalle ingiustizie.
La vita è come il tennis. Vince chi serve meglio.
Infinite Jest, di David Foster Wallace (Einaudi Stile Libero)
[Credit: il ritratto in alto è di Tommaso Pincio, preso qui]