Informatori contro il crimine

Da Stukhtra

La matematica dimostra quanto siano importanti

di Ginevra Sanvitale

La criminalità è uno degli elementi più comuni e persistenti all’interno della società. Dall’antica Roma a oggi, dal villaggio dello Zimbabwe alla metropoli americana, ci sono sempre stati e sempre ci saranno individui che commettono reati. Altrettanto frequente è, di riflesso, la ricerca di soluzioni efficaci del problema. Aumentare il numero delle leggi? Eliminarle del tutto? Potenziare le forze di polizia e di controllo? Istituire pene più severe? Ciascuno di questi espedienti è il migliore o il peggiore a seconda dell’occhio di chi guarda. Ma, quando l’osservatore è un matematico, nuove e interessanti prospettive appaiono accanto a quelle tradizionali. Soprattutto se prendiamo in considerazione la teoria dei giochi, la branca della matematica che analizza le situazioni conflittuali cercando di predirne l’andamento attraverso modelli basati sulla correlazione tra le scelte dei soggetti studiati: ad esempio un team di ricercatori della California (fra i quali c’è anche Maria-Rita Rosaria D’Orsogna, che è di origine italiana) ci suggerisce, in un articolo pubblicato su “Physical Review E”, l’importanza che la figura dell’informatore potrebbe avere nella lotta contro il crimine.

Prendiamo una società idealizzata in cui ci siano quattro tipi di individui: i criminali (commettono reati e non testimoniano quando ne sono vittime o spettatori), gli informatori (commettono reati ma testimoniano), i paladini (non commettono reati e testimoniano) e gli apatici (non commettono reati e non testimoniano). Una volta operata questa suddivisione, iniziamo a far interagire i soggetti. Il gioco inizia quando qualcuno (un criminale o un informatore) compie un misfatto ai danni di un altro membro della comunità, conducendo a due possibili sviluppi: la vittima o testimonia o non testimonia. Nel secondo caso la partita si chiude, il delinquente avrà un guadagno e la vittima una perdita. La prima circostanza, invece, porta a un passo successivo: iniziano le indagini e per accertare l’accaduto occorre il parere di un terzo. Se questi confermerà i fatti, il colpevole sarà punito subendo una perdita mentre la vittima avrà un guadagno, altrimenti accadrà il contrario. Alla fine di ogni turno il giocatore a cui è andata male cambierà la sua strategia in favore di quella che è risultata vincente: se la giustizia avrà prevalso il malfattore smetterà di compiere reati diventando un paladino o un apatico, se si sarà verificata una sopraffazione chi l’ha subita inizierà a infrangere la legge trasformandosi in criminale o in informatore. Continuando a replicare questo nostro modello di società, osserviamo due possibili scenari finali. Il primo, che chiameremo utopico, vede la presenza di soli paladini e apatici: il crimine è stato sconfitto. Il secondo scenario, invece, sarà di tipo distopico: non c’è più nessuno disposto a collaborare con l’autorità e sono rimasti soltanto criminali e apatici. Nessuno di questi due equilibri include la presenza di informatori, tuttavia la condizione finale del nostro sistema dipende strettamente da quanti ce ne sono all’inizio del gioco.

Consideriamo, ad esempio, una situazione di partenza in cui non ci siano né apatici né informatori. A meno che il numero dei paladini sia maggiore di una certa soglia, sarà impossibile un’evoluzione utopica della società. Ma, se ce n’è appena uno in meno di quanti dovrebbero, basterà convertire un criminale in informatore per avere una discreta possibilità di raggiungere lo stato di utopia. Non solo: se anche a cambiare di ruolo fosse un paladino, lasciando inalterato il numero di criminali, si avrà lo stesso numero di chance di non ricadere nella distopia. Tornando al caso più completo, in cui anche gli apatici siano presenti, osserviamo che la presenza di informatori ha ancora una volta un ruolo fondamentale: la probabilità di evolversi in una società utopica sarà direttamente proporzionale al numero di conversioni che verranno operate all’interno del nucleo dei criminali e degli apatici. Unica nota importante, quella di stare attenti alla quantità di individui trasformati in informatori: se saranno troppo pochi, si rischierà di raggiungere l’utopia in tempi eccessivamente lunghi (durante i quali comunque verranno commessi reati) o addirittura di non raggiungerla affatto, restando in uno stato distopico e rendendo vane le conversioni effettuate.

Bonnie e Clyde: nessuno dei due sarebbe mai stato un informatore ai danni dell’altro.

L’idea su cui si basa il modello, ovvero l’introduzione della figura dell’informatore, non conosce analoghi all’interno della teoria dei giochi applicata al bene pubblico. Sebbene la formulazione sia costruita su una società stereotipata con schemi comportamentali estremamente rigidi, l’intuizione è un punto di partenza per l’elaborazione di modelli più realistici che partano non da ruoli fissi ma dalla probabilità che un singolo individuo testimoni o meno e commetta o non commetta reati.

Intanto, nel dubbio, sarà meglio comportarci sempre come paladini: di certo la strada più rapida per il raggiungimento di una società utopica.


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