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Ingeborg Bachmann, tra le prime espressioni del femminismo di lingua tedesca

Da Bambolediavole @BamboleDiavole

bachmann

  ..e allora le donne avranno occhi d’oro, avranno capelli d’oro. …il giorno in cui tutti, le donne e gli uomini riscopriranno la poesia del loro sesso. Questo giorno verrà, in cui saremo liberi da tutto, da questa sporcizia, da questa miseria. E saremo liberi, più liberi di qualsiasi libertà a cui abbiamo mai pensato. Saremo molto più liberi. E’ tutto ciò che ora ci fa a pezzi. Non saremo più malati, saremo liberi. Saremo liberi gli uni con gli altri, uomini e donne. E riscopriremo la gentilezza, e riscopriremo l’amore, e questa sarà la nostra libertà.

Il 17 ottobre 1973 muore nella sua casa di Roma, in seguito ad un incendio causato da un tragico incidente domestico, la scrittrice, potessa e giornalista austriaca Ingeborg Bachmann.
Era nata nel 1926 a Klagenfurt, nella Carinzia meridionale: una terra difficile, di confine, in un periodo ancor più difficile: la prima Guerra mondiale era appena finita portando con sé la dissoluzione dell’Impero e più di un milione di morti. La giovane Inge (come amava farsi chiamare) vivrà giovanissima la guerra civile, l’avvento del nazismo, a cui il padre prenderà parte attiva, e la seconda Guerra mondiale. La Bachmann ricorderà questi anni in un’intervista del 1971

«C’ è stato un momento preciso che ha distrutto la mia infanzia. L’ entrata delle truppe di Hitler a Klagenfurt. Fu qualcosa di così orrendo che il mio ricordo inizia con questo giorno, con un dolore troppo precoce, così intenso come forse dopo non l’ ho più provato»

Questo influenzò molto il suo pensiero letterario, specialmente per quanto riguarda il rapporto col padre che nel suo immaginario rappresenta il simbolo del potere arbitrario, maschile e maschilista.

Si laureò in legge e filosofia e nel 1950 consguì il dottorato con una tesi su (o per meglio dire contro) Martin Heidegger, al quale contesta “strutturale inadeguatezza del linguaggio filosofico in ambito esistenziale”. La sua tesi è stata tradotta in molte lingue e rimane tutt’ora una delle più notevoli critiche al pensiero del filosofo tedesco. Durante gli anni dell’Università scoprì la passione per la radio e per le poesie e con la sua prima raccolta di poesie “Il tempo dilazionato” ottiene il prestigioso premio del Gruppo dei 47, primo di una lunga serie di premi e riconoscimenti lungo la sua carriera letteraria che comprende poesie, drammi radiofonici, saggi e prosa.

Due suoi racconti “Un passo verso Gomorra” e “Udine va”, del 1961, vengono considerati tra le prime espressioni letterarie del femminismo in lingua tedesca del dopoguerra, ma gli anni sessanta furono un decennio doloroso per la scrittrice, che si ritrovò a soffrire di una profonda depressione che la portò ad assumere psicofarmaci che le tolsero persino la voglia di scrivere, tanto da dover lasciare Roma, città dove si era trasferita dopo una serie di viaggi, per accettare lavori radiofonici in Austria.

Nel 1967 le fu conferito il premio Büchner e con i soldi vinti si trasferì definitivamente a Roma (dirà in un’intervista che “Solo stando lontano da Vienna posso amarla”), dove iniziò a lavorare alla creazione del suo primo grande romanzo, Malina, che fa parte della trilogia incompiuta “Todesarten“(Cause di Morte) e sul quamalinale mi piacerebbe soffermarmi perché è proprio con questo libro che la Bachmann anticipa i tempi, scrivendo di figure femminili che la società patriarcale vuole plasmare a propria immagine. La protagonista è una donna, di cui non conosciamo il nome ma che si rivolge a sè stessa come “Io” il cui amore è diviso fra due uomini: Ivan, un ungherese cinico e senza alcun interesse intellettuale e Malina, uno studioso di storia che lavora in un museo. Scorrendo le pagine  ci si trova intrappolati in mezzo a tecniche narrative strabilianti che ci trascinano, lasciandoci quasi senza respiro, in questo abnorme triangolo amoroso in cui il rapporto fra l’Io narrante e Ivan, di cui è innamorata, si raffredda fino a svanire, mentre il rapporto fra Io e Malina si trascina in una lotta in cui quest’ultimo arriverà ad essere la personalità dominante, creando in lei una necessità, una dipendenza psicologica da lui . Il capitolo centrale, dal titolo “Il terzo uomo“, è intriso di simbologia ed è dedicato alla trascrizione di alcuni sogni. Qui  viene presentato il padre, ma non semplicemente il padre di Io, quanto il principio maschile che usa la forza del potere istituzionale e soprattutto culturale, la violenza e la crudeltà fisica per piegare le figlie, quindi il genere femminile. Una delle immagini centrali del capitolo è il cimitero, che ritorna nella descrizione di tre sogni diversi, che rappresentano da vari punti di vista la totale dipendenza delle figlie dal padre. Come scrive Rita Svandrlik in Ingeborg Bachmann: i sentieri della scrittura (2001, Carocci):

downloadSimbolo di questo mortale legame è l’anello, che il padre dà prima ad Io, poi alla sorella Eleonore e quindi all’amante Melanie. Così nel sogno in cui le figlie assassinate sorgono dalle loro tombe mostrando una mano senza il dito anulare, il padre le uccide una seconda volta, ordinando alle acque del lago di sommergere il cimitero. Egli usa tutte le donne della famiglia, ne abusa sessualmente e le rende oggetti interscambiabili, grazie alla loro passività e arrendevolezza, alla loro complicità e disponibilità al compromesso.

Se le donne son sempre state “usate” da parte degli uomini, per esempio come merce di scambio, dall’altro lato una parte dell’universo femminile si mostra quasi “compiacente” a questo tipo di mentalità, vuoi per costrizione, per ignoranza o per paura. Resta il fatto che per liberarsi da tutto questo le donne devono salvarsi anche da se stesse e sconfiggere il “padre violento”, sempre inteso come genere maschile, che le domina.

Non ci sono croci, ma sopra ogni tomba si formano cumuli densi e neri. Le tombe, le targhe con le epigrafi si riconoscono appena. Mio padre mi è accanto e ritrae la mano dalla mia spalla perché il becchino ci si è avvicinato. Mio padre guarda imperioso il vecchio, il becchino si volta impaurito dopo quello sguardo di mio padre, dalla mia parte. Vuole parlare, ma muove a lungo solo le labbra, muto, e sento appena la sua ultima frase:

Questo è il cimitero delle figlie assassinate.

Nell’ultimo capitolo la narratrice finisce per entrare in un’Impasse, e il suo destino si avvia verso una tragica conclusione fatta di metafore, fino alla sparizione dentro una crepa del muro di casa, simbolo dell’annullamento più totale.

La seconda e la terza parte delle “Cause di morte” ci sono arrivate solo in frammenti: Il caso Franza  e Requiem per Fanny Goldmann in quanto la scrittrice morì prima di completarli.

A lei è dedicato il concorso letterario che annualmente si tiene nella città natale in coincidenza della ricorrenza della nascita.

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