Mi colpisce immensamente questa narrazione pubblica e privata, i suoi sguardi sempre così consapevoli, seri, professionali, quasi prestazionali, le sue sfumature limpide eppure così sapienti di attrice e di donna. Misteriosa suo malgrado, senza affettazione. Ho la sensazione che lei non volesse essere un personaggio di se stessa, ma che pretendesse di poter essere, fuori dal set, una persona. Certamente consapevole della sua bravura, del suo fascino e del suo potere, ma come se tutto per lei si esprimesse attraverso il voler essere soprattutto, prima di ogni cosa, una Grande Attrice. E che conquistato questo titolo per meriti, lei pretendesse di essere totalmente libera di scegliere come vivere la sua vita, non fare compromessi, di seguire il suo cuore, la sua volontà. C’è questa sfida nei suoi occhi: non volersi piegare a niente, al giudizio di nessuno, agire solo sulla base della sua coerenza interiore. Ingrid Bergman non può essere incapsulata, compressa, orientata. È la sua prestazione che conta, sul resto mai chiudersi in una parte, farsi mettere un’etichetta.
E mi ha colpito tremendamente, vedendo la mostra alla sua inaugurazione, quanto la sua bellezza a cinquant’anni, completa di rughe, splendesse come un faro a confronto della lucida, irreale, grottesca bruttezza di alcune delle donne presenti: rifatte, tutte uguali, inquietanti. Non so se lei sarebbe caduta nella trappola della chirurgia estetica, avesse vissuto oggi, ma prego di no, prego di questo viso dirompente e ammutinante con ogni sua caratteristica, che qualcuno chiama "imperfezione". Molto da imparare, se alcune donne volessero guardare. Sull’essere se stesse in ogni declinazione. Grazie Ingrid.
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