“Cominciò tutto quando io e Mary ci trasferimmo nel bush da Gulgong per “sistemarci” a Lahey’s Creek. Avevo venduto i due mezzi che usavo come contenitori e come staccionata e avevo caricato tutte le mie cose sul carro, in cima a un piccolo cumulo di provviste e di cibo per i cavalli che dovevo portare a un allevamento lungo la strada”.
Quel particolare tipo di solitudine che schiaccia gli abitanti di quel territorio immenso, selvaggio e sconfinato di praterie e boscaglie che è il bush australiano. In particolare le donne, che hanno abbandonato agi e disagi della civiltà moderna per seguire i loro uomini.
Protagonista di questa storia è la solitudine, la forza annichilente del bush, laddove ogni riga del racconto appare costruita in modo da far trapelare proprio questo angosciante sentimento. È la natura australiana stessa a creare il senso di sconforto, essendo tutt’intorno deserto, siccità e monotonia.
Rimanendo soli con se stessi, non si può esimersi dal riflettere e i momenti del ricordo diventano una parte essenziale, in quanto evasione dalla realtà che spesso questi personaggi rimpiangono di avere scelto. Ciò che accomuna gli abitanti del bush è la nostalgia per un passato forse migliore, o ricordato come tale. Ed è proprio questa “comunanza” a renderli più forti. Chi si trasferisce nel bush si condanna ad una vita primitiva, scevra di tutto. Eppure ciò che tiene in vita è l’illusione di poter costruire qualcosa. Lawson descrive la povertà di questi abitanti, unitamente al loro orgoglio.
“Innaffiate i gerani” che in quella realtà crescono a stento, assume il significato della resistenza. Si cerca con tutte le forze di mantenere vivi i ricordi di una vita passata, alla quale il pensiero ritorna con malinconia. Molto attento alla psicologia femminile, l’autore delinea le figure eroiche della storia, ovvero le donne che sanno affrontare la solitudine con fierezza d’animo.
Gli uomini, invece, preferiscono rifugiarsi nell’alcol per superare i momenti difficili. I personaggi femminili emanano un profondo senso di calore umano; non a caso, sono presenti due nuclei familiari: Mary e Joe Wilson, che hanno sperimentato di essere reciprocamente distanti, e la numerosa famiglia Spicer, nell’eroica figura della signora Spicer, madre e moglie lavoratrice. Nonostante lo sconforto iniziale, i Wilson decidono di rimanere, cercando un’esistenza che li nobiliti e li mantenga “umani”.
Indimenticabile la figura della signora Spicer, che lavora come un uomo, bada alla casa e ai figli, ha il senso dell’umorismo e, nonostante la povertà, è molto generosa ed ospitale. Essa assume una visione spettrale agli occhi di Mary: il bush può distogliere le donne dalla loro femminilità, snaturarle per la fame e le privazioni. Questa donna, bisbetica e forse un po’ pazza, il cui marito rimane lontano per lavoro anche per diciotto mesi consecutivi, trova comunque il tempo per annaffiare i suoi gerani, simbolo che il bush non le ha comunque fatto assumere una personalità maschile, bensì l’ha soltanto confusa. E nella morte, ella afferma quell’umanità che in vita la sua individualità “distrutta” stava perdendo.
Un’edizione dell’ottobre 2014, quella pubblicata da Ellint, corredata da un’illuminante introduzione di Giuliana Prato. Un volumetto maneggevole, quasi tascabile. Una storia commovente che ha fatto luce sulle condizioni dei pionieri del bush, uomini e donne che emigrarono nelle sterminate praterie australiane in cerca di fortuna e di una vita migliore.
Gente che, nonostante gli stenti, ha sempre cercato di mantenere viva la propria dignità.
Written by Cristina Biolcati