InnamoramenTea: le tazze “mishima” di Tohraku Morisato (su Hibiki-an)

Da Lasere

Colpo di fulmine.
L’ho viste e bam!: stesa, cotta, perduta.

Non ho memoria di alcun fidanzato (o futuro tale) che mi abbia fatto un effetto così repentino e travolgente d’incondizionato amore come queste due tazzine da tè. … Che sia il caso di iniziare a porsi degli interrogativi al riguardo? Eh ;-)

La grazia infinita del decoro parla da sé, e dice: Giappone.
Le due tazzine, realizzate dall’artigiano Tohraku Morisato, fanno infatti parte delle novità apparse sul sito Hibiki-an, di cui parlammo tempo fa qui e da cui le immagini di questo post sono tratte.

L’argilla di cui sono fatte, estratta nella prefettura di Nara (regione del Kansai, sull’isola di Honshū), ha un colore marrone-rossiccio che una volta accarezzato dallo smalto si dondola tra un rosa antico e un tenue color malva. Sopra a questa tela grezza spunta un ricamo delicatissimo di petali, che si spinge fin dentro la tazza e a bagnarsi fiorisce in merletto.
Romanticissime tazzine che non sono altro :-)

La tecnica usata per la decorazione, tipica della produzione Kyo Yaki (ovvero delle ceramiche modellate nell’area di Kyoto), è chiamata “mishima”: l’argilla è punzonata manualmente tramite appositi “stampini” – anch’essi minuziosamente realizzati a mano – che in questo caso riproducono corolle di fiori stilizzate; le forme, disposte e ripetute secondo il gusto dell’artigiano, vengono poi eventualmente arricchite con lievi tocchi di pennello e sobrie graffiture.

Invito i curiosi a visitare direttamente la pagina dedicata su Hibiki-an, suggerendo di dare un’occhiatina anche alla versione chawan (la ciotola normalmente utilizzata per la preparazione del Matcha), che trovo altrettanto degna di sospiri di struggimento e svergognata brama di possesso (brama frustrata, in questo caso, ché lascio lì sia lei che le sorelline minori. Sob!).

L’artigiano impegnato nella decorazione di un ampio chawan

Infine: si parla tanto in questi giorni della “sicurezza” dei tè giapponesi già presenti sul mercato internazionale, in risposta ad ansie evidentemente frettolose e poco meditate circa un “rischio radiazioni” che in Europa al momento ha ben poco motivo di esistere; quel che a ragion veduta dovrebbe preoccupare è invece la sorte delle foglie ancora attaccate alla pianta (e dei coltivatori/produttori che di quelle foglie vivono, beninteso), quelle che a breve dovrebbero trasformarsi in Shincha, in “tè nuovo”. Dubito fortemente che quest’anno riusciremo ad accoglierlo nelle nostre tazze, almeno nel suo freschissimo stato di Shincha, appunto: non tanto per la paventata contaminazione, che ci si augura pericolo scampato, quanto per le restrittive misure precauzionali adottate circa l’importazione in Italia. Chissà.

La speranza, in ogni caso, è quella di tornare presto ad onorare certe meraviglie d’argilla con tè nuovi, freschi, sani, nuovamente liberi di circolare nel mondo e di arrivare fino a noi: significherebbe l’aver girato almeno una delle tante pagine che necessitano di essere girate, per lasciarsi pian piano alle spalle il tremendo.

Speriamo :-)