Innocenzo Ratti: Fra Ratt.

Creato il 22 settembre 2015 da Il Viaggiatore Ignorante

Innocenzo Ratti nasce a Milano l’11 febbraio 1806, figlio di Felice e Galletti Angiolina.I Ratti appartengono ad una famiglia benestante residente a Massiola in Valstrona già da diverse generazioni, proprietari di miniere nella stessa valle, una sulla montagna sopra Massiola e una all’alpe Penninetto,sopra Campello Monti.
Felice e Angiolina mettono al mondo dieci figli, cinque maschi e cinque femmine; tra i fratelli maschi ben quattro prendono i voti. Parenti stretti di Achille Ratti conosciuto poi con il nome di Papa Pio XI, Don Giulio Ratti fu il più celebre, prevosto di S.Felice a Milano, cav.ufficiale dei S.S. Maurizio e Lazzaro, celebre autore e predicatore, amico del Torti, del Grossi, del D’Azzeglio e del Manzoni, il quale proprio nella casa milanese dell’amico prelato, la vigilia di Natale del 1848 per una grande abbuffata fece un’ indigestione di cui all’epoca parlò tutta Milano.Altro fratello che vestì l’abito talare fu don Alberto canonico di S.Babila a Milano; don Battistino a Moncalieri e lo stesso Innocenzo che fu ordinato frate l’11 marzo 1827 presso i Fatebenefratelli di Milano.A Massiola si ricorda ancora l’unica messa celebrata un giorno da tutti e quattro i fratelli, ritrovatisi per l’occasione e passata alla memoria come la messa “di quatar ratt”.
Tra questi sicuramente il personaggio più interessante resta Innocenzo, figura eclettica, uomo di aperto ingegno, d’animo ardente e attivo; prima frate e allievo prediletto del famoso padre Appiani, poi medico valente e popolarissimo, botanico e agronomo e geologo di spicco,si diceva fosse anche dotato di poteri parapsichici.Socio di diverse accademie produsse molti scritti tra i quali si evidenzia una monografia sulle Regie Terme d’Acqui. Nelle sue “Memorie” pare ci fossero anche le confessioni della madre di Alessandro Manzoni, fatte dalla stessa al confessore e confidente don Giulio Ratti, che proverebbero l’insolita genealogia del romanziere il quale non sarebbe nipote di Cesare Beccaria ma di Pietro Verri e, addirittura, che non fosse nemmeno figlio di Pietro Manzoni ma di Giovanni Verri, fratello minore del Pietro!Il “Frà Ràtt”,come viene ricordato oggi in Valstrona, unitosi a Garibaldi, fece la campagna del 1848-49, fu luogotenente medico nell’armata meridionale nel battaglione Cattabeni. Nel 1859-60 fu ancora medico di battaglione al 2° reggimento dei Cacciatori delle Alpi. Si trovò poi a combattere come guerrigliero il potere temporale del papa e venne ferito a Mentana.In pieno Risorgimento bisogna però ricordare che Innocenzo aveva già abbandonato l’abito talare, uscito dall’Ordine per amore di una donna.Andando ancora più indietro nel tempo, a quando Innocenzo era ancora un giovane ma per niente sprovveduto frate, si sa che da Roma dovette partire alla volta di Parigi su ordine preciso, probabilmente del papa stesso, per consegnare una missiva segreta. Questi affari diplomatici lo riportarono di passaggio vicino alla sua terra per valicare il passo del Sempione ed arrivare in terra francese. Lungo il viaggio il destino volle che si fermasse ad Anzola d’Ossola, piccolo paese all’imbocco della Val d’Ossola per riposare almeno una notte. Quella notte però non vi trovò riposo ma un oste disperato perché non riusciva a trovare una levatrice per la moglie presa da doglie. Il frate, che aveva già fama di medico ed erborista, offrì il suo aiuto per un parto che si era presentato difficile fin da subito ma che ottenne un felice risultato.Presto si levarono le prime luci dell’alba che già frate Innocenzo era pronto a ripartire, l’oste traboccante di gioia in segno di ringraziamento, mandò ad aiutare il viaggiatore a caricare la carrozza una giovane servetta originaria della Val Anzasca.Lui, giovane e d’animo ardente, capace di cogliere e godere delle bellezze del creato e quindi attento anche alla bellezza di una giovane e prosperosa ragazza. Lei dai lineamenti raffinati nonostante i suoi umili natali. Come poteva lui non rimanere colpito da due grandi occhi celesti come i laghi alpini, da labbra rosse piene di vita, contornate da gote rosee che rivelavano la giovane età della ragazza che le porgeva un fagotto?L’abito che i frate portava non bastò per sopire il tumulto di sentimenti e sensazioni che lo invasero in quel momento e senza esitare si fece strappare la promessa di aspettarlo, le giurò che sarebbe tornato per portarla via con sé, le baciò la mano che stringeva nelle sue,guardò ancora per un lungo attimo quel dolce viso per imprimerlo bene nella mente e partì.Come da promessa fatta il frate tornò e portò via dalla valle la ragazza.Lei divenne “la Teresa dal Frà” e cominciarono a vivere insieme quell’unione illegittima senza una fissa dimora, frequentando i salotti della Milano bene, caffè letterari nelle varie città italiane, a seconda di dove le imprese dell’uomo lo portarono. Il Frà, chiamato ancora con questo nome nonostante avesse lasciato l’ordine, decise poi di sposare la donna tanto amata e per regolarizzare tutti quegli anni di libera convivenza fu aiutato dal fratello don Giulio, che pare abbia ottenuto dispense speciali per poter celebrare l’atteso matrimonio.
Mi piace pensare che il detto tanto noto tra Ossola e Cusio “Par la cùmpagnìa a sa marià anca un frà”(Per la compagnia –intesa come le amicizie che si trovano in osteria-si è sposato anche un frate) possa risalire proprio all’episodio che ha fatto incontrare il Frà Ratt con la bella Teresa.Da questa unione nacquero due figli, Bernardino e Angiolina. Il primo lavorò per alcuni anni ai restauri dei grandi quadri di Palazzo Reale a Torino e ottenne da Carlo Alberto la prima licenza per vendere Sali e tabacchi a Massiola. Angiolina diventò un’ottima insegnante e si prodigò per il bene del suo paese natale.La bella figura di Teresa si può riconoscere in alcune opere dell’Hayez, grande pittore neoclassico, per il quale posò diverse volte. Una bellezza che viene addirittura definita afrodisiaca da un cronista dell’epoca e ci sono anche diversi episodi che raccontano della morbosa gelosia del frate; nessuno poteva avvicinare e tantomeno toccare l’avvenente moglie e ne fu ben consapevole, suo malgrado, un uomo che un giorno a Milano passando davanti al caffè Biffi notò la coppia seduta ad un tavolo. Cominciò a guardare la donna e non sapendo poi resistere all’impulso scavalcò le sedie che si ponevano davanti e si lanciò tra le sue braccia per rubarle un bacio. Riuscì a toccare le labbra di Teresa ma subito dopo assaggiò anche il pugno di ferro ben assestato del frate che lo stese a terra esanime.Solo Garibaldi potè avvicinarsi a lei. Amico di Innocenzo l’eroe dei due mondi conobbe Teresa in occasione di una sua visita sulle sponde piemontesi del Lago Maggiore esattamente a Intra dove sbarcò acclamato dalla folla festante e dove primi fra tutti a riceverlo c’erano proprio l’amico con la moglie. Garibaldi li raggiunse per i saluti, anche lui non potè resistere all’avvenenza della donna di cui aveva già sentito parlare e la baciò ancora prima di salutare l’amico. In questo caso il nostro frate dovette soffocare la gelosia, tenendosi in tasca i pugni stretti e abbozzando un amaro sorriso, Garibaldi poteva questo e altro!Il Frà Ratt tentò anche la carriera politica candidandosi al collegio di Biandrate nel 1865, convinto da un vecchio amico d’armi, Benedetto Cairoli, ma l’impresa non ebbe buon esito.Partecipò attivamente ai congressi scientifici di Genova, Napoli e Venezia e fu per diciassette anni consigliere provinciale, difendendo con coscienza gli interessi della Valstrona.Fece anche fortuna, a Massiola si diceva che un giorno lo videro entrare in valle con un asino che portava due sacchi pieni di marenghi e che servirono per ristrutturare una sua vecchia casa in paese.Certo è che si adoperò moltissimo per il paese e la valle stessa, dove era conosciuto col nome di Sciùr Padar, operò come valente medico, fu sindaco di Massiola e cooperò, anche di tasca propria, alla costruzione della strada che avrebbe allacciato Omegna a Forno e Campello Monti, ultimi paesi in cima alla valle. Portò abbellimenti al suo paese per esempio con la sua particolare casa vista come un palazzo dai massiolesi, la stessa casa dove ospitò più volte Massimo D’Azzeglio in quanto all’epoca il politico e scrittore viveva parte dell’anno a Cannobbio, sul Lago Maggiore, ed era solito salire in Valstrona per consultare il frate mosso dall’interesse per esperimenti di spiritismo, fatti che rivelano l’inclinazione verso la magia bianca da parte del padrone di casa.Il Frà fece costruire anche dei terrazzamenti sul versante della montagna che da Massiola va verso Inuggio. In inverno quando gli alberi del bosco, che ora si è impossessato di quelle coltivazioni, sono spogli e la neve marca i lineamenti del terreno si possono ancora scorgere e immaginare per un momento gran parte del versante coltivato a vigne e alberi da frutto e forse qualche specie di pianta inconsueta ma che l’abile botanico avrebbe coltivato.Intanto gli anni passarono, sia per il frate che per la moglie che vedendo sfiorire la sua bellezza si rifugiava sempre più spesso nell’unica ebbrezza rimastale, quella del bicchier di vino.Arrivarono gli anni tristi della vecchiaia, lui deperiva sempre più e la moglie ormai alcolizzata non sapeva darle il sostegno dovuto. In più la figlia Angiolina con l’arcivescovo di Torino, il vescovo di Novara e il parroco di Massiola fecero di tutto per riportarlo in seno alla Chiesa, riuscendoci quando una mattina di ottobre del 1883 Innocenzo Ratti bussò alla porta del Convento dei Fatebenefratelli di Milano, proprio dove era partita la sua avventura, una vita piena di eventi e di passioni come l’animo romantico dell’epoca richiedeva. Morì dopo qualche giorno, come si dice, in grazia di Dio. La moglie gli sopravvisse ancora per nove anni rimanendo preda dei deliri dell’alcool nella sua casa di Massiola. Casa che purtroppo ne 1922 fu colta da un incendio che fece perdere irrimediabilmente la biblioteca lasciata dal frate con i suoi cimeli, documenti e le opere che aveva scritto, andate perse con chissà quali segreti. Quel poco che si era salvato venne bruciato da chi vedendo in quei fogli e carte solo vecchiume annerito, incomprensibili agli occhi troppo semplici di chi aveva solo la necessità di liberare uno spazio per far posto alle capre.Ora per la Valstrona resta solo il ricordo di una figura tanto intrigante quanto curiosa e a Massiola chissà se qualcuno ancora legge l’epitaffio che lo ricorda:
QUI’

DOVE VOLLE GIACEIL CAV.DOTT.INNOCENZO RATTIMEDICO,SINDACO,CONSIGLIERE DI PROVINCIA E COMUNEMASSIOLA E VALLE STRONA A LUI DILETTETUTELO’ IN VITA,BENEFICO’ MORENDOFU DELLA SCHIERA DI QUELLI CHE L’ITALICA REDENZIONE DIVINANDO FURONO GRANDI,MA DIMENTICATI,FAMIGLIA E PATRIA AL CUORE LA’ STRETTICOME VUOLE IL GRAN DIO

NEL SUO BACIO MORENDO.Barbara Piana.

Per le fotografie si ringrazia Alberto Scalabrini.

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