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Inquietudine nazionale, dispute territoriali e costruzione della fiducia in Asia nell’ambito della strategia di ribilanciamento USA

Creato il 27 dicembre 2014 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Inquietudine nazionale, dispute territoriali e costruzione della fiducia in Asia nell’ambito della strategia di ribilanciamento USA
Introduzione: l’ascesa e la caduta delle grandi potenze e la transizione di potere

L’Impero Romano cadde in rovina nell’arco di cinquecento anni. L’Impero britannico ne durò trecento. Esiste la possibilità che gli Stati Uniti abbiano un altro secolo?

Dunque, è necessario analizzare la transizione di potere all’interno di un contesto più ampio e più storico.
Nonostante siano trascorsi solamente quattordici anni dall’inizio del XXI secolo, ciò che è accaduto nel mondo contemporaneo suggerisce il verificarsi di un mutamento di potere fondamentale all’interno delle relazioni internazionali come mai è accaduto negli ultimi 200-300 anni dell’era moderna.

Si verificherà una transizione di potere e un mutamento globale che avrà anche a che fare con il valore che viene assegnato al potere. La realtà del potere sta mutando. Si sta passando da un potere di tipo militare a uno di tipo economico, fino ad arrivare alla conoscenza tecnologica, al fine di decifrare i cambiamenti in corso nel pianeta.

Sono sette i punti connessi alla transizione di potere nel contesto della globalizzazione.

Il primo è rappresentato dal terrorismo e dalla guerra in Iraq (2001-2003), il passaggio dalla cosiddetta “hard security” alla “soft security”, con l’individuazione di nemici – identificati con i terroristi – nascosti tra la gente comune e con l’abilità di portare a segno attacchi al cuore dei grandi centri di potere urbani. Questo rende evidente i limiti della “hard security”, come i missili o la potenza nucleare.

Il secondo punto è rappresentato dalla crisi finanziaria scaturita dal fallimento della Lehman Brothers, che ha ampliato la crisi finanziaria mondiale e il crollo dell’influenza della valuta di riserva del dollaro.

Il terzo punto è rappresentato dalla crisi dell’euro. Questa è l’impasse della politica fiscale a cui sono andate incontro le istituzioni multilaterali in Europa nell’introdurre l’euro in contrasto con la valuta di riserva del dollaro. Questi tre punti rappresentano la fase di arresto dei paesi sviluppati dell’area occidentale.

Il quarto è il terremoto e lo tsunami nel Nord-Est del Giappone. L’autore del presente articolo ha trascorso un anno all’Università di Harvard in seguito a tale evento, ed ha avuto modo di entrare in contatto con il senso di responsabilità sociale, il crescente interesse nei confronti dell’incidente da parte di naturalisti ed esperti di scienze sociali e con le analisi pluralistiche che hanno interessato gli impianti nucleari e i disastri naturali. Pertanto, l’autore ha percepito marcatamente la differenza tra la risposta relativamente lenta del Giappone e gli sforzi umani del mondo occidentale nei confronti del disastro e della questione dell’energia nucleare. Dopo l’incidente nucleare e altri disastri naturali nel mondo, gli eventi causati dal terremoto sono stati definiti come “un problema universale che coinvolge l’intero genere umano”. In altre parole, seppure la scienza e la tecnologia hanno raggiunto altissimi livelli sul fronte della sicurezza, come in Giappone per esempio, ciò ha dimostrato quanto sono impotenti di fronte alle forze della natura. Inoltre, quanta responsabilità abbiamo noi esseri umani nei confronti della distruzione provocata dalla centrale nucleare che l’uomo stesso ha creato?

Il quinto punto riguarda lo sviluppo economico dei paesi asiatici emergenti, come la Cina, l’India e l’ASEAN.
Considerate nella loro interezza, queste aree si sono avviate verso un cambiamento fondamentale che prevede di andare oltre il processo di modernizzazione, iniziato nel XIX secolo, imposto dall’Occidente. È stato menzionato ripetutamente il Postmodernismo; tuttavia la crisi attuale ha messo l’umanità di fronte a sfide ancor più fondamentali nel lungo termine. I paesi asiatici, che come la Cina e l’India hanno da sempre rappresentato aree di potere sin dai tempi antichi, hanno superato l’Europa e l’America sul piano delle conoscenze; dall’altra parte, ciò che è avvenuto al reattore nucleare di Fukushima ha sollevato una questione fondamentale da parte della scienza, ovvero se gli esseri umani possano avere una responsabilità nei confronti del pianeta.

Il sesto è la crescente xenofobia e il nazionalismo, che aumentano in contrapposizione all’attuale tendenza verso la globalizzazione. Ciò è esemplificato dai movimenti sorti in Occidente negli ultimi anni, come il nazionalismo di estrema destra e la xenofobia in reazione all’afflusso migratorio. Per di più, a partire dal 2011, si sta rapidamente diffondendo nel Nord-Est asiatico, specialmente in Cina, Corea e Giappone, un sentimento anti-giapponese, anti-coreano e anti-cinese, che contribuisce ad aggravare il problema delle dispute territoriali, come quella relativa alle isole Senkaku (Diaoyu), alle isole Takeshima (Dokuto) e ai Territori del Nord.

Il settimo, ma non meno importante, riguarda gli accordi di libero scambio (FTA), di partenariato economico (EPA) regionali e interregionali, e la Trans Pacific Partnership (TPP), che stanno ampliando, diffondendo e creando nuovi network. Uno dopo l’altro, sono stati intrapresi l’accordo di libero scambio tra Cina e Taiwan, scambi diretti di valuta tra Giappone e Cina, l’iniziativa per una moneta asiatica, l’accordo di libero scambio tra UE e USA e la Trans Pacific Partnership. Sebbene possano risultare conflittuali nell’ideologia e nelle politiche, essi stanno cercando di espandere i loro mercati e profitti e di diffondersi al di là delle questioni politiche. Al di là dei conflitti di natura politica, i benefici economici possono creare una politica di tipo win-win. Questo può rivelarsi una soluzione nella direzione di un passo in avanti verso la transizione di potere.

1. Che cos’è una transizione di potere?

Che cos’è una transizione di potere? Essa è stata illustrata nel 1990 nel testo di Alvin Toffler, Powershift: la dinamica del potere. Conoscenza, ricchezza e violenza alle soglie del XXI secolo (ii).

Toffler_powershift

Il potere è inscritto in un triangolo i cui vertici corrispondono al potere militare, al potere economico e alla conoscenza (scientifica e tecnologica), così come rappresentato dallo sviluppo dell’Europa moderna e dagli Stati Uniti. Come afferma Toffler, l’Occidente, acquisendo questi poteri, ha ottenuto una significativa influenza nel mondo.

Il potere militare ha avuto il suo peso per tutto l’arco del XIX e del XX secolo; il potere economico è stato importante nel XX e nel XXI secolo, mentre la conoscenza lo è stata dal XIX fino al XXI secolo. Nel XXI secolo, ad acquisire maggior peso è stata non già la forza di tipo militare, ma la conoscenza, intesa quale forza complessiva, di espansione globale e intelligenza sostenibile. Ciò appare estremamente significativo, poiché al contrario l’espansione del potere militare e “i furti” territoriali tendono a creare nemici.

Il potere economico, tuttavia, può produrre benefici per entrambe le parti. La conoscenza possiede una forza e una sostenibilità globali, contribuendo ulteriormente allo sviluppo del mondo. In quanto momento decisivo della transizione di potere, il XXI secolo ha un significato importante. Il confronto sovietico-americano durante la Guerra Fredda è stato un conflitto ideologico (intelligence) e militare (l’equilibrio del potere nucleare). Nel XXI secolo, d’altra parte, il potere economico ha guadagnato terreno e il potere militare degli Stati Uniti non è più stato il simbolo dell’egemonia globale. Al contrario, l’Europa con il suo soft power, il “potere normativo”, è diventata più influente.

Negli Stati Uniti e in Europa, centinaia di migliaia di persone provenienti dalla Cina e dall’India studiano per conseguire titoli universitari e specializzazioni presso università come Harvard e Oxford. Dopo aver conseguito questa formazione, essi fanno ritorno nei loro Paesi d’origine o rimangono all’estero e occupano posizioni di rilievo all’interno delle principali aziende e laboratori del mondo. Anche i giapponesi necessitano di tali strategie. Angus Maddison ha scritto che la crescita dell’Asia non è un miracolo, ma un “ricorso storico” in un più ampio contesto.

2. Le statistiche mondiali del PIL di Angus Maddison – Transizione di potere e confini

La transizione di potere è stata già presa in considerazione nelle statistiche della Banca Mondiale e del Fondo monetario internazionale. Nel 2010, il PIL cinese ha leggermente superato quello del Giappone. Nel maggio 2013, è stato annunciato che il PIL cinese era circa 1,5 volte quello del Giappone, a seguito del grande terremoto del Tohoku, e si apprestava a chiudere con un risultato che corrispondeva alla metà del PIL degli Stati Uniti. È stato detto che la Cina supererà il PIL degli Stati Uniti entro il 2030, se non nel 2020 o prima. L’idea che “qualcosa debba necessariamente accadere prima che ciò si verifichi” è anch’essa diffusa. La transizione di potere ha dato origine a tensioni e minacce. Maddison era un macroeconomista di fama mondiale, che ha preannunciato una serie di dati davvero interessanti ed è divenuto estremamente famoso prima della sua morte, nel 2010. Egli ha presentato dati macro-economici per un arco di quasi 2030 anni. È stato un professore inglese di macroeconomia che ha lavorato nei Paesi Bassi, ed ha rappresentato il potere nazionale attraverso il calcolo del PIL nell’era moderna, medievale e perfino in quella antica.

Secondo i suoi dati (Tabella 1), nel 1820 l’Asia ha rappresentato la metà del PIL mondiale.

Maddison_statistics_GDP

Egli ha calcolato i dati a partire dall’anno 1 d.C. fino al 2030, al fine di dimostrare il trend storico, che ha rivelato che l’era moderna è una “eccezione” all’interno della storia, una realtà che caratterizza solo gli ultimi 300 anni. Prima di tale epoca, l’Asia ha sempre detenuto la metà della potenza economica, della ricchezza, e della forza culturale mondiale. Egli ha mostrato un fatto interessante nei dati economici degli Stati Uniti. Nel 1820, gli Stati Uniti hanno rappresentato solo l’1,9% del PIL mondiale, quasi nulla. Nell’ambito dei dati riguardanti il PIL nel corso della storia umana, i 300 anni di prosperità dell’Europa e i 100 anni di prosperità degli Stati Uniti rappresentano “l’eccezione”, mentre l’Asia ha sempre posseduto ricchezza ininterrottamente nel corso della storia.

Il fatto che “la crescita dell’Asia non è un miracolo, è una ricorrenza”, è stato dimostrato dai dati. Tutti questi fatti corroborano la rapida ascesa di Cina e India nei primi anni del XXI secolo ed evocano un senso di minaccia e inquietudine nei Paesi sviluppati. Si tratta di una destabilizzazione dell’equilibrio di potenza nel momento in cui la transizione di potere è in fase avanzata. Nella fase di transizione del potere, si verificano storicamente episodi di collisione nelle zone di frontiera e nelle regioni di confine, che diventano a volte conflitti e dispute territoriali. Sia la Prima che la Seconda Guerra mondiale hanno avuto origine da contenziosi in zone di frontiera. (L’autore ha conseguito il suo dottorato di ricerca con una dissertazione sul crollo dell’Impero e la rivoluzione nella Prima Guerra mondiale).

Un colpo di pistola a Sarajevo uccise Francesco Ferdinando, successore al trono imperiale, e in quel momento ebbe luogo un grande mutamento nell’equilibrio di potere in Europa, causando la Prima Guerra mondiale. I paesi coinvolti erano Austria, Germania, Russia, Francia e Gran Bretagna. Sullo sfondo di questi eventi, vi erano stati segni che lasciavano presagire la transizione di potere, come ad esempio il declino dell’impero asburgico, germanico, russo e Ottomano, e la crescita dei movimenti di indipendenza nazionale. In riferimento alla Seconda Guerra mondiale, la “politica conciliante” della Conferenza di Monaco del 1938 e l’intervento tedesco nella regione dei Sudeti, insieme al patto di non aggressione tra la Germania e l’Unione Sovietica nel 1939, hanno condotto alla guerra, iniziata con l’invasione tedesca della Polonia. Pertanto, entrambe le guerre mondiali del XX secolo si sono sviluppate a partire dalle regioni periferiche e di frontiera, dall’espansione e dal declino delle grandi potenze e dagli scontri nelle aree di confine.

3. La globalizzazione del XXI secolo è un vantaggio per i Paesi in fase di crescita?

La globalizzazione, che ha preso l’avvio a partire dalla limitazione delle risorse e dalla crisi petrolifera nel 1970, si è propagata attraverso l’influenza degli Stati Uniti e ha causato l’espansione delle compagnie multinazionali nel 1980, così come la rivoluzione informatica, la rivoluzione dell’Europa orientale e il crollo dell’Unione Sovietica tra il 1989 e il 1991. La globalizzazione nel XXI secolo, tuttavia, ha comportato l’aumento della competitività e la crescita dei Paesi emergenti che stanno riducendo il gap con le nazioni più sviluppate (si vedano i dati della tabella di Maddison).

Le tre condizioni della competitività sono 1) manodopera a basso costo, 2) merci economiche e 3) un enorme mercato (mercato della produzione e mercato di consumo). I Paesi in crescita sfidano i Paesi sviluppati attraverso i tre fattori sopramenzionati; negozi che vendono merce a un dollaro, a un euro o a cento-yen, sono ormai presenti in tutto il mondo. Questi tre punti erano in realtà simboli di povertà nel XX secolo. Essi si sono tuttavia mutati in fattori di potere e competitività. La ragione è legata alla presenza di due fattori: ingegno e tecnologia, che devono essere presi seriamente in considerazione. Nei Paesi meno sviluppati, come ad esempio quelli dell’Africa centrale, senza la conoscenza, le condizioni di cui sopra restano ancora simboli di povertà. Questo è l’emblema di come la conoscenza abbia trasformato una condizione di povertà in una fonte di potere.

4. Transizione di potere e questione territoriale. Perché si verifica un conflitto territoriale?

Nel 2010 e nel 2011, proprio quando la Cina aveva superato il PIL del Giappone, è emerso ancora una volta un conflitto territoriale tra il Giappone e i Paesi confinanti a Ovest. Dispute territoriali di vecchia data continuano a verificarsi nell’era della formazione delle reti di conoscenza. Si può anche considerare che ciò sia avvenuto in relazione al verificarsi della transizione di potere.

Perché si parla di “integral territory” (o native territory)? Con “integral territory” si vuole indicare, o rendere oggetto di studio, il “territorio d’origine” in tempi remoti; così i punti focali che vengono generalmente indagati sono: quale fosse la nazionalità del popolo nativo o quale nazione sia stata occupata e chi abbia vissuto in quei luoghi in origine. Controversie riguardanti l’”integral territory” sono esistite tutt’intorno ai confini europei, trasformandosi in conflitti e guerre (Haba, 2013). (iii)

In seguito alle due guerre mondiali, nel vedere le proprie città nel mezzo del disastro e della rovina, l’Europa decise di rinunciare alla propria sterile e crudele guerra per la conquista dell’”integral territory“. Ciò è ben rappresentato dagli Accordi di Helsinki nel 1975, l’istituzione del CSCE (Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa) e dalla decisione di riconoscere l’inviolabilità delle frontiere per fermare i conflitti territoriali. Ciò accadeva quando la Germania era divisa in Est e Ovest. Brandt e Schmidt approvarono tale soluzione, in attesa della “possibilità di un cambiamento pacifico”, senza passare attraverso una futura guerra, sebbene la nazione fosse ormai caduta in “grande disgrazia”. Il risultato fu che la Germania fu poi accettata in Europa.

“Terra di nessuno”, la linea di confine rappresenta solitamente il segno di un limite, come punto o simbolo del confine tra due regioni o paesi, come un grande albero di cedro sulla cima di una collina, una scogliera, etc.
La complessità del problema delle isole Senkaku (Diaoyu) e Takeshima (Dokuto) ha origine, non in epoca antica o medievale, ma più recentemente dall’epoca della modernizzazione dell’emergente Giappone in opposizione al declino dell’impero asiatico continentale. Prima di tutto, in Europa, non è possibile definire un territorio occupato nel XIX e XX secolo come “integral territory“. (Questo perché generalmente l’”integral territory” veniva conteso faccia a faccia con i nativi che rivendicavano i propri diritti in epoca antica o medievale).
È più corretto ritenere che questo sia il motivo per il quale Cina e Corea del Sud hanno iniziato a rivendicare queste isole a seguito dell’espansione del potere di Cina e Corea del Sud e del relativo declino del Giappone nei primi anni del XXI secolo, proprio come il Giappone ha rivendicato e occupato quelle isole, quando l’equilibrio di potere tra Cina, Corea e Giappone è mutato tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX secolo.

La variazione del Pil giapponese e cinese si è rivelata molto influente. Essa evidenzia anche la transizione di potere del XXI secolo, che è andata a modificare non i rapporti di forza di tipo militare, ma di tipo finanziario. Tuttavia, come ho esposto all’inizio di questo articolo, ci troviamo attualmente in un periodo caratterizzato da una transizione di potere, in cui la conoscenza, la tecnologia e il potere finanziario si rivelano molto più influenti rispetto al potere di tipo militare e politico. Questo è il fenomeno della transizione di potere, per cui la Cina sta superando il Giappone nella sfera economica, non solo dal punto di vista qualitativo ma anche quantitativo. Areason ha affermato che a livello mentale vi è una transizione di potere, per cui la Cina ha intrapreso un cambiamento nell’approccio verso Stati Uniti e Giappone a livello quantitativo.

Joseph Nye ha sostenuto il soft power (2004) e lo smart power (2011) (iv) negli Stati Uniti. L’inizio del declino del potere della forza dominante è coinciso con la guerra in Iraq e, come previsto da “un’economia della guerra che crea un mondo insoddisfatto” (Stiglitz, 2008), con il conseguente stanziamento di spese militari per l’ammontare di 3 trilioni di dollari, “gettati via” da Bush (v). Le ragioni della stabilizzazione del conflitto sono state il “congelamento del problema territoriale e lo status quo” e la “condivisione delle risorse”, come indicato negli accordi di Helsinki, visti come i fondamenti della Comunità europea. La collaborazione economica tra le multinazionali dei vari paesi dà il via alla cooperazione regionale, e la creazione di network tra le varie aree del mondo crea una nuova era regionale tra gli Stati nazionali. La sovranità rimane all’interno degli stati e la libera collaborazione nella sfera dell’economia, del commercio e della politica ambientale può risultare importante. Fenomeni di tensione, tuttavia, iniziano ad apparire sotto un’altra veste, come conseguenza della globalizzazione. Si tratta della “xenofobia” presente in Europa, negli Stati Uniti e in Asia.

5. La crescente xenofobia entro i confini nazionali e psicologici

“Xenofobia” è un termine di derivazione greca, composto da “Xenos” (straniero, alieno) + “Phobos” (avversione, antagonismo). In origine, “l’avversione verso gli stranieri” è un limite di tipo psicologico, che fa sì che le persone percepiscano una propria identità, tendendo a separare ed escludere chi è diverso.

1) Nel saggio di Samuel Huntington, “Lo scontro di civiltà” (vi), si ritiene che lo scontro tra le nazioni nell’ambito dei conflitti regionali e le differenze di tipo culturale, religioso e ideologico, abbiano causato un confronto militare, e si è insistito sulla “presenza di fortificazioni” ai confini delle civiltà, in particolare tra l’Unione Sovietica e l’Occidente nel corso della Guerra Fredda. Ciò ha mostrato che la presenza di un confine psicologico e dell’ostilità hanno mutato la “logica di esclusione” nei confronti di stranieri/diversi/estranei. Questo è il principio della xenofobia. Gli oggetti dello “Xenos” nello scontro di civiltà sono i terroristi islamici e i Cinesi. Come risultato, l’estrema destra è diventata più potente grazie al sentimento di insoddisfazione e di inquietudine del medio e basso ceto. Il confine mentale che distingueva tra un “loro” e un “noi” si è aggravato in Europa a partire dalla metà degli anni ’90, e in particolare dopo il 9/11. In Asia, il nazionalismo e la xenofobia si manifestano nel momento in cui la questione territoriale demarca un confine tra un “loro” e un “noi” ed alimentano la problematicità del confronto con chi è percepito come esterno. (vii)

2) Perché la xenofobia si è espansa così rapidamente nell’Europa Occidentale dopo la svolta del nuovo secolo? Il motivo è che si riteneva che l’aumento degli immigrati sotto il processo della globalizzazione avrebbe inciso negativamente sulla vita dei cittadini, con l’aumento della disoccupazione, la diminuzione del livello di sicurezza, o che sarebbero aumentate le tasse per garantire la sicurezza sociale. L’immigrazione è aumentata in maniera esplosiva in Europa dopo la fine della Guerra Fredda. Da un lato, l’immigrazione dall’Est all’Ovest dell’Europa ha aumentato drammaticamente il numero di immigrati superando il milione di individui dopo la fine della Guerra Fredda, motivo per cui la Germania limita il numero di immigrati. Successivamente, gli immigrati “bianchi” sono stati infine assimilati entro entrambe le realtà sociali. In fin dei conti essi erano “bianchi” e il problema non si è visibilmente ingigantito, se si esclude una discriminazione di tipo psicologico. Dall’altro lato, islamici e arabi, come individui “di colore”, finirono sotto i riflettori in seguito al 9/11 e anche oltre. Il problema delle differenze di tipo “visivo” porta alla discriminazione da parte della cittadinanza, e ha portato come conseguenza al “terrorismo interno”. La seconda generazione di immigrati che hanno ottenuto la cittadinanza sono risultati essere i fautori del terrorismo domestico. Questo vedeva coinvolte persone di colore che avevano ottenuto la cittadinanza.

3) In Asia, in particolare nel Nord-Est asiatico, la xenofobia sta aumentando di pari passo con l’attuale crescita economica e militare della Cina. La questione dell’immigrazione ha a che fare in origine con la “logica dell’esclusione”, e in Europa essa è una questione economica e psicologica. Dal lato opposto, in Asia, essa si è concretizzata come una questione territoriale con radici storiche profonde. Alla fine della Guerra Fredda, in particolare nel corso del XXI secolo, le tensioni tra il Giappone e la Cina, il Giappone e la Corea del Sud e il Giappone e la Russia hanno preso forma tangibile. Ciò è strettamente connesso con la globalizzazione e la transizione di potere. In particolare, il fatto che il Giappone sia in conflitto con tre dei suoi vicini più prossimi favorisce l’isolamento del Giappone. Dal momento che il Giappone, in quanto leader dell’economia regionale, ha sempre avuto un’influenza costante sulla stabilità della realtà finanziaria (similmente alla Germania in Europa), i conflitti territoriali di confine con tutti e tre i propri vicini non risulta una strategia vincente. Ciò è connesso direttamente con la transizione di potere in Asia Orientale e con lo spauracchio della crescita cinese. Come accennato in precedenza, il nazionalismo e la xenofobia sono tacitamente collegate alla fine della Guerra Fredda, al declino dei Paesi sviluppati, alle potenze emergenti e alle transizioni di potere.

6. L’economia asiatica sorpasserà la UE e il NAFTA nel 2015

Secondo l’OCSE, nel 2015, l’economia asiatica sorpasserà la UE e il NAFTA (North American Free Trade Agreement). Come ha affermato Nye nell’ottobre 2010 su TED: “You need not have a fare for declining the US and emerging China”(viii). Dal momento che il conflitto tra il Giappone e la Cina relativamente alle Senkaku (Diaoyu) ha avuto inizio solo in seguito al mutamento dei rispettivi PIL, si può affermare che “qualcosa potrà accadere”, nella sola Cina, o nelle relazioni tra gli Stati Uniti e la Cina. La possibilità di tensioni o conflitti tra il Giappone, la Cina e la Corea sarà maggiore rispetto alla prospettiva di un conflitto tra gli Stati Uniti e la Cina. La transizione di potere porta a tensioni e conflitti diffusi, non solo all’interno dei governi, ma anche tra le varie nazioni.

Nei primi quattordici anni del XXI secolo, secondo dati recenti del FMI, della Banca Mondiale, e del Ministero dell’Economia, del Commercio e dell’Industria in Giappone, l’economia asiatica ha distaccato l’Unione europea, gli Stati Uniti, e il NAFTA. E questa potenza finanziaria ed economica, combinata con il potere della conoscenza ha portato alla transizione di potere. Questa è la ragione dell’attuale instabilità nel Nord-est asiatico. Il fatto che una ex colonia superi gli Stati Uniti e i Paesi europei, un paese nemmeno così modernizzato come lo è il Giappone, è un nuovo fenomeno storico. Ha demolito il concetto di superiorità dell’Europa e degli Stati Uniti nell’era moderna, qualcosa che quindi teoricamente non è concepibile. Il rifiuto o la riconsiderazione della civiltà europea e americana e della modernizzazione, avevano già preso l’avvio, ad esempio, attraverso le varie espressioni di Orientalismo o di critica all’Euro-centrismo.

Per quanto riguarda il confronto sulle Senkaku (Diaoyu) e sulle Takeshima (Dokuto), esso rappresenta l’aspetto di una nuova guerra per procura nel periodo del post-Guerra Fredda e della post-modernità. Nel 2012, il PIL di Giappone, Cina e Corea del Sud messi insieme è stato quasi pari a quello degli Stati Uniti, che si prevede vengano sorpassati entro il prossimo anno. Osservando le non troppo buone relazioni tra Cina e Giappone, tuttavia, non viene da pensare che una cooperazione Cina-Giappone-Corea nel corso di questi primi anni del XXI secolo possa andare a buon fine. Di conseguenza, ciò significa che i moderni sistemi di governo europei e americano continueranno a durare. In attesa di capire se le politiche di FTA e di RCEP (Regional Comprehensive Economic Partnership) tra Giappone-Cina-Corea si riveleranno efficaci oppure no, il superamento delle tensioni politiche rappresenta un importante punto di svolta per far sì che le tre nazioni siano in grado di stabilire il nuovo ordine nel XXI secolo superando il processo di modernizzazione dell’Europa. Fino a quando ciò non si verificherà, l’economia asiatica continuerà ad essere mantenuta sotto il controllo da parte di Europa e America, anche se l’economia asiatica arriverà a rappresentare la metà, o anche più, dell’economia mondiale.

7. Evitare una guerra locale

La disputa sulle Isole Senkaku e il programma di sviluppo del nucleare da parte della Corea del Nord sono simboli della simulazione di una nuova guerra per procura nel periodo del post-Guerra Fredda.

La tensione e i conflitti ai confini di Cina e Giappone, sulla sovrapposizione della rispettiva Air Defense Identification Zone (ADIZ), e la questione del nucleare e dei confini territoriali per quanto riguarda la Corea del Nord, danno luogo alla possibilità di una vera e propria guerra locale che vada oltre i confini. La simulazione di una guerra “difensiva” e il prepararsi ad una reazione contro il cyber-terrorismo è una strategia che è già stata più volte intrapresa. L’Asia dovrebbe evitare la prospettiva di diventare il campo di battaglia della transizione di potere. Per gli esperti di politica delle relazioni internazionali, è un dovere ed un preciso obiettivo quello di evitare una guerra locale in Asia orientale.

Dunque, come è possibile superare la crisi?

Prima di tutto, è necessario il rafforzamento della fiducia individuale e della fiducia reciproca, che è il tema di questa conferenza internazionale. È indispensabile collaborare alla ricerca e allo scambio accademico tra le università e gli studenti, così come tra i governi, i ministeri, le realtà commerciali e i media. Il XXI secolo è l’era della conoscenza e della competenza specialistica. Il progresso e lo sviluppo delle conoscenze richiede competenze nelle scienze naturali, nelle scienze sociali e nelle scienze umane, anche a livello di collaborazione universitaria.

Come seconda cosa è necessario il controllo e lo sviluppo congiunto dell’energia, come avvenuto con CECA e EURATOM per esempio. Il piano di sviluppo della cooperazione ha già avuto inizio in Asia.

Per terzo, è necessaria una cooperazione regionale multilaterale, e l’integrazione regionale (la riconciliazione, l’istituzionalizzazione dei conflitti e della guerra, l’evitare la guerra). Queste soluzioni sono state storicamente già utilizzate, come si può vedere nel caso dell’Unione Europea, che in tal senso dovrebbe fungere da stimolo per il Nord-Est asiatico.

La quarta rappresenta una soluzione realistica: la creazione di reti di accordi di libero scambio e di partenariati economici. La strategia degli accordi di libero scambio e di partenariato economico regionale giapponesi, cinesi e sudcoreani, è stata avviata nel 2013 dal Ministero per il Commercio e l’Industria giapponese.
Per quinto, vi è l’importanza di stabilire una convivenza con le varie realtà nazionali e l’accettazione della diversità, l’eterogeneità, l’importanza della formazione dei giovani e dell’istruzione. È fondamentale l’integrazione regionale ottenuta attraverso la riconciliazione e la convivenza con l’avversario, e la collaborazione regionale ottenuta attraverso le decisioni istituzionali al di là degli antagonismi regionali.

L’integrazione regionale produce molti effetti in tutto il mondo. Come emerso nella conferenza internazionale di studi comparati sulla riconciliazione in Europa e in Asia, tenutasi a Berlino nell’ottobre 2013, sei milioni di ebrei sono stati massacrati durante la Seconda Guerra Mondiale, ed è stata la più orribile strage a danno di un minoranza mai verificatasi nel mondo. C’è necessità di costruire ponti tra vittime e responsabili per evitare ulteriori ostilità attraverso la cooperazione regionale, attraverso l’interazione con realtà giovanili sportive e culturali. L’istituzionalizzazione e la soluzione dell’antagonismo sono modelli importanti. I dieci paesi ASEAN, la Shanghai Cooperation Organization (SCO) fondata da Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, e Tagikistan, la South Asian Association for Regional Cooperation (SAARC) composta da India, Pakistan e altri paesi dell’Asia meridionale, sono modelli che presentano difficoltà ma anche casi di successo. Tutti loro presentavano tensioni e conflitti provocati dal nazionalismo e dalla xenofobia, la cui eliminazione è la raccomandazione politica più importante al fine di evitare la distruzione reciproca.

Il quinto punto consiste nell’importanza della coesistenza con gli stranieri e l’accettazione della diversità, di una società eterogenea, insieme con lo sviluppo dell’istruzione e dell’equilibrio tra i generi. Al di fuori di ogni retorica, nel vero senso della parola, il percorso verso la convivenza con il “nemico” è iniziata. Alla conferenza internazionale di Berlino, a cui l’autore ha partecipato, è stato discusso il fatto che sei milioni di persone (ebrei, zingari, e individui di etnia slava) siano state uccise durante l’Olocausto da parte dei tedeschi. Tuttavia, una riconciliazione tra tedeschi ed ebrei si è già avviata. Quindi non vi è alcuna ragione per cui non possa avere luogo una riconciliazione tra il Giappone e la Cina. Tutto questo rappresenta la più importante indicazione politica da perseguire al fine di evitare la reciproca distruzione, le tensioni e i conflitti causati dal nazionalismo e dalla xenofobia. Richard Nicolaus von Coudenhove-Kalergi, che è stato definito il padre dell’Unione europea, ha teorizzato la “Pan Europa”(ix) nel periodo compreso tra le due grandi guerre e ha illustrato i principi di convivenza e di armonia multirazziale. La Seconda Guerra mondiale è tuttavia infine scoppiata, e l’Europa ha raggiunto l’unità solo dopo essersi lasciata alle spalle terra bruciata. Sarà in grado l’Asia di fare miglior uso di quella lezione?

8. Conclusione: Quale soluzione per l’inquietudine nazionale e le dispute territoriali?

La variazione dell’equilibrio di potere conduce alla tensione e al conflitto. Che cosa dobbiamo fare per evitare i conflitti nelle zone di confine? Qui scaturiscono tre tipi di riflessione, legate al favorire gli interessi comuni e all’evitare la mancanza di chiarezza.

Il primo è il rafforzamento in Asia della formazione di reti di think-tank nei vari settori della conoscenza. Il secondo è lo sviluppo della cooperazione economica e regionale, al fine di prevenire i conflitti e favorire lo sviluppo di accordi di libero scambio e gli accordi di partenariato economico (EPA – Economic Partnership Agreement). Questo favorirebbe la creazione di reti tra i vari paesi e porterebbe all’istituzionalizzazione dell’integrazione regionale. D’altra parte, la creazione di un eventuale think-tank non coinvolgerebbe la singola nazione, ma si realizzerebbe anche grazie alla collaborazione di organizzazioni non governative e di attori esterni. Il terzo è la condivisione dell’energia e delle risorse, su modello dell’Unione europea. È necessario che vengano stabilizzate le ostilità che si verificano ai confini tra i Paesi e tenere in considerazione il punto di vista delle persone che domandano garanzie sulla propria sicurezza.

Le dispute territoriali che si verificano sotto una transizione di potere non costituiscono un investimento a lungo termine per nessun paese. La creazione di una cooperazione regionale attraverso la creazione di network trans-regionali è altrettanto importante. Al fine di evitare controversie oltre i confini, è necessario concepire una cooperazione fondata sugli interessi regionali e assegnare un valore maggiore al benessere dei cittadini piuttosto che ai singoli interessi nazionali.

(Traduzione dall’inglese di Priscilla Inzerilli)

Bibliografia

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